venerdì 28 giugno 2013

Marra: la necessità del linguaggio scurrile e il coraggio di chiedere agli altri come ci vedono..

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In antico questo problema non c’era, visto che vigeva addirittura l’uso di attribuire alle persone dei contronomi in base alle loro caratteristiche fisiche, morali o comportamentali, positive o negative che fossero.
Oggi invece, in virtù di una serie di principi non certo infondati, quali il rispetto per gli altri, la discrezione, il galateo eccetera, si è però giunti al punto che questa altrui ‘ingiudicabilità’ ha contribuito a causare tipologie umane caratterizzate da una totale indifferenza verso gli altri. Argomenti già trattati in miei precedenti scritti (L’uomo di merda naturale, La fase di Ilenya).
Occorre in sostanza – senza naturalmente ripristinare una cultura dell’uso meramente recriminatorio dei difetti o degli errori – che la società si renda però conto dell’importanza di non lasciare le persone prive del giudizio altrui, purché cauto, sincero e rivolto a finalità di recupero.
È importantissimo perché il modo peggiore di non rispettare gli altri è tacergli i loro errori, i loro vizi, i loro limiti, il modo in cui li vediamo, poiché equivale a negargli la possibilità di cambiare, di guarire, di risolvere; e quindi a condannarli a sprofondare in quegli errori di cui, se non glieli ricorderemo, tenderanno a dimerticarsi sempre più, rovinando così le vite loro e altrui.
Ovviamente il giudicare di cui parlo non ha nulla in comune con l’insultare – cosa che la società, specie degli internauti, sa già fare – ma deve consistere nel non far mancare il nostro sincero e responsabile giudizio di condanna a chi sbaglia.
Un impegnativo, difficile gesto di altruismo e di responsabilità, perché è probabile che il criticato non prenda le critiche nel modo che auspichiamo.
Fermo restando insomma che possono esserci casi in cui è meglio tacere (la realtà è molteplice), e che forme e contenuti vanno attentamente valutati ogni volta, va di sicuro eliminata questa cultura del riserbo, della ‘diplomazia’ a tutti i costi, di questo gravissimo, malinteso, senso del ‘rispetto della privacy’.
Un rispetto della privacy che ha reso normale – specie nel mondo anglosassone – che taluno possa rotolarsi, magari morente, su un marciapiedi da 100.000 persone al giorno, senza che nessuno se ne curi..
Mi ha detto una volta Francesco Naty, un mio amico, che Napoli è l’unica città dove, se si ode un’esplosione, la gente, anziché fuggire più lontano possibile, si precipita a vedere cos’è accaduto..
Non so quanto questo sia ancora vero, ma bisogna afferrare per la coda questo tipo di cultura, questo tipo di umanesimo, che sta per scomparire, e valorizzarlo..
Un buon metodo è forse farci coraggio e stimolare noi stessi il giudizio su noi, tanto più che, a ben pensarci, è un gran vantaggio: serve a capire il perché di quel che ci accade.
Anzi, per dare il buon esempio, comincio io: scrivetemi di me quel che vi pare su [email protected], e prometto che, scelte le mail più intelligenti, pubblicherò solo le più cattive.
E non importa se mi scriveranno soprattutto gli sboccati (o gli influencer) solo per insultarmi, perché se uno solo riuscisse a dirmi una sola cosa delle tante cose che non ho capito, ne sarebbe valsa la pena.
Anzi, giacché ci siamo, ne approfitto: oltre a qualunque cosa che a ciascuno possa venire in mente di dirmi, vorrei saperne due in particolare. La prima – che è la più importante – attiene alla sfera pubblica, ed è che vorrei sapere quali sono secondo voi i motivi del silenzio nei miei confronti, non semplicemente dei media, ma degli stessi cittadini, perché, me lo si può senz’altro dire e analizzerò con attenzione le tesi di chi me lo dirà, ma, a mio avviso, non è una questione di indifferenza. La seconda, che attiene alla sfera privata, e che possono dirmi soprattutto le persone che mi conoscono meglio, è perché divento spesso centrale nelle vite delle donne che incontro, ma tutte impegnano con me delle terribili lotte strategiche per vincermi. Secondo me dipende da quella che in La storia di Giovanni e Margherita ho definito come una «paura di perdermi in quanto simile senza sapere se mi ritroveranno in quanto diverso» nel momento in cui dovesse giungere l’omologazione politica e culturale delle mie tesi. Una paura che, nel mentre il perdurare del silenzio sociale nei miei confronti mi rende debole, fa scattare parallelamente il desiderio di dominarmi, il timore di non poterci riuscire, e la tendenza a schierarsi con la maggioranza che mi combatte con il silenzio. Fermo restando che la soluzione vera potrebbe essere che non ho capito niente, che le cose stanno in tutt’altro modo, che anzi sono stolto, illuso o troppo vecchio, benché non so quanto c’entri, perché mi capita da sempre, e inoltre non mi è mai sembrato un modo di rifuggirmi, ma di volermi irretire.
Comunque sia, avanti pure con i giudizi: iniziamo, vi prego, un’era dei giudizi su tutto e tutti.
Giudizi affettuosi, costruttivi, ma senza remore e senza riserve, perché molte cose cadranno, ma quello che resterà sarà quello che valeva la pena di conservare..
Iniziamo a chiamare, sul muso, senza giri di parole, uomini e donne di merda gli uomini e le donne di merda, lenoni i lenoni, egoisti gli egoisti, puttane le puttane, illusi gli illusi, idioti gli idioti, drogati i drogati, accattoni gli accattoni, invertebrati gli invertebrati; perché mille parole approssimative non ne valgono una esatta.
Gli eufemismi, amici miei, ci hanno rovinato, perché diceva Carlo Levi: «Le parole sono pietre»: pietre che vanno scagliate, o diminuirà sempre più la nostra capacità di distinguere tra il bene e il male..

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