A 31 anni dalla vicenda schricchiolano le certezze sulla tesi ufficiale: l’accusatore di Mambro e Fioravanti fu scarcerato per un tumore. Che aveva un altro: doveva avere pochi mesi di vita, ma visse 20 anni. E le sue accuse erano solo bugie
Bologna Scricchiolano le certezze sulla strage di Bologna e l’impressione è quella di una verità per troppi anni congelata. Se è stato dimostrato che la pista palestinese era qualcosa di più di un’ipotesi, ora riemergono anche le bugie del superteste Massimo Sparti, uomo legato alla criminalità romana e ai neofascisti dei Nar, che fu determinante per la condanna di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro. Un anno dopo la strage, per uscire dal carcere, si impossessò del referto di un malato terminale di tumore al pancreas. Visse invece per vent’anni ma in carcere non tornò più. E chi gli procurò quel documento medico resta uno dei tanti misteri dell’inchiesta. Sparti sostenne che Fioravanti era andato da lui a Roma il 4 agosto del 1980, cioè due giorni dopo la strage alla stazione di Bologna, chiedendo dei documenti falsi per Francesca Mambro, temendo che potesse essere stata riconosciuta alla stazione di Bologna. In quella occasione Fioravanti gli avrebbe anche detto: «Hai visto che botto?...». Un passaggio chiave per la condanna. Sparti invece era in vacanza a Cura di Vetralla, come confermato da ex moglie, figlio e colf, e da lì non si è mai mosso.
Arrestato con Fioravanti, Sparti uscì di cella grazie al certificato che si basava su referti della clinica radiologica. L’esame venne effettuato all'esterno, a Pisa, dal professor Luigi Michelassi, e l'esito non lasciava scampo: tumore al pancreas con metastasi ai linfonodi. Nel 1982 venne così liberato per motivi di salute, peccato che il professore più tardi fosse venuto a sapere che il foglio apparteneva a un altro paziente: «Si verificò uno scambio ad arte». Non un errore accidentale quindi ma costruito su misura per liberare il «supertestimone», e che oggi va riletto anche alla luce della iscrizione nel registro degli indagati della procura di Bologna dei due terroristi tedeschi di estrema sinistra legati a Carlos lo sciacallo, detenuto in Francia. .
«Se davvero fosse stato un tumore al pancreas – sostiene il professor Francesco Ceraudo, a lungo guida del centro clinico del carcere di Pisa -, sarebbe morto in pochi mesi». Nel 2007, cinque anni dopo la morte del padre, il figlio di Sparti Stefano confermò che la malattia in base alla quale il papà fu scarcerato era falsa: «Aveva mentito» disse senza esitazioni. Ma su chi agevolò quella fuga legalizzato neanche una parola. Qualche tempo dopo l'arresto, Sparti era ricoverato al centro clinico del Don Bosco di Pisa. Finse di stare male, per uscire. Quel referto scambiato apposta confermava che le sue condizioni di salute non erano compatibili con il regime carcerario: morì di tumore ma nel 2002, vent’anni dopo la scarcerazione. Il professor Ceraudo insiste: «Tutti gli accertamenti diagnostici esperiti da me in precedenza non avevano evidenziato nulla. Improvvisamente emerse questa diagnosi catastrofica, non riuscivo a darmene una ragione plausibile». Per il medico lo scambio fu voluto: «Fatti, non illazioni o interpretazioni riferiti al processo per la strage di Bologna contro Ciavardini, dove sono stato sentito come teste - spiega amareggiato - Nella sentenza sono stato etichettato come inattendibile, perché allora non mi hanno perseguito per falsa testimonianza?». Perchè forse c’era qualcosa che non si poteva dire. «Quando si parla del centro clinico del carcere di Pisa molti lo associano al mio nome - dice ancora Ceraudo che lo ha diretto per molti anni - ma non fui certo io allora a certificare la finta malattia di Sparti». E, aggiunge: «Non venni creduto nè quando era detenuto e dissi che non aveva un tumore, nè anni dopo, quando ho testimoniato al processo».
Ma c’è dell’altro. Francesco Di Carlo, ex boss mafioso di Altofonte, Palermo, oggi collaboratore di giustizia, sostiene che la strage fu una vendetta libica contro l'Italia: «In Inghilterra, il mio compagno di cella era Nizzar Indaoui, agente segreto arabo e braccio destro di un colonnello siriano: mi raccontò che i servizi libici organizzarono la strega per ripicca contro i servizi italiani che avevano aiutato gli americani». Lo riferì nell’ottobre 1999 a Rosario Priore, il giudice che indagava sulla strage di Ustica, l'aereo Dc9 Itavia precipitato 31 anni fa. Un altro mistero. Ma adesso troppe verità di comodo cominciano a vacillare.
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