di Maurizio Blondet
La Cancelleria suona le trombe: ecco il miracolo economico tedesco! I disoccupati sono scesi dai 5,1 milioni nel 2005 ai 2,8 oggi. Sono solo il 6,9% della popolazione attiva, un record storico e un sogno in confronto al 9,9% di disoccupati in Francia e al 9,1% negli Usa. Sembra ripetersi il miracolo del Terzo Reich, che in tre anni mise la popolazione al pieno impiego. Merito, dicono le trombe, della “moderazione salariale” dei lavoratori tedeschi, della “disciplina” accettata dai sindacati.
Nel 2001, il governo Schroeder comincia ad applicare le idee di Peter Hartz, il capo del personale (pardon, “risorse umane”) di Volkswagen: convinto, non a torto, che i grassi sussidi (di disoccupazione e sociali in genere) vigenti allora in Germania tendano a creare uno strato di fannulloni cronici, concepisce un marchingegno legale che “costringe” i disoccupati a trovar lavoro.
Prima della riforma Hartz, i disoccupati che durante il lavoro avevano versato i contributi, avevano il diritto ad una “allocazione” (Arbeitsengeld o AG1) che durava due, e in certi casi 3 anni. Dopo Hartz, il sussidio AG1 dura un anno soltanto.
Prima, i disoccupati di lunga durata che avevano esaurito il diritto al primo sussidio AG1, prendevano un AG2, molto più modesto. Esisteva anche un “aiuto sociale” (Sozialhilfe) per le persone ancora più lontane dal mondo del lavoro. Oggi, AI2 e Sozialhilfe sono fusi in uno, e distribuiti attraverso centri di lavoro speciali: presso questi centri di lavoro ogni disoccupato deve fare “passi positivi” presentandosi bi-mensilmente e accettare un impiego qualunque, anche meno pagato del precedente, sotto pena di perdere i sussidi.
Il sistema ha fatto cancellare milioni di persone dalle liste di disoccupazione…solo per farle riapparire nelle liste di “lavoratori poveri”, che hanno lavoretti di meno di 15 ore settimanali, e pagati di conseguenza: anche meno di 400 euro mensili. Il buono del sistema Hartz è che per questi “mini-jobs” e mini-salari, lo stato non esige il versamento dei contributi previdenziali e sanitari. Ciò ha incoraggiato molti datori di lavoro ad assumere mini-salariati sotto i 400 euro. Il lato sgradevole è che questi lavoratori, non contribuendo alla previdenza, non hanno pensione nè assicurazione sanitaria.
Secondo lo studio francese, i fruitori del sistema (Hartz IV) sono 6,6 milioni. Di cui 1,7 sono bambini, figli di ragazze madri o famiglie marginali. Il che fa che gli altri – 4,9 milioni di adulti, sono “mini-impiegati” da meno di 15 ore settimanali o precari d’altro tipo. Ci sono anche percettori di “lavori da un euro” – pagati un euro l’ora - per lo più per lavori d’interesse pubblico (“Socialmente utili”, diciamo noi).
Perchè qualcuno dovrebbe accettare “lavori” da un’euro l’ora? Perchè altrimenti perde i sussidi. I “mini-jobs” sono la forma di lavoro che è più straordinariamente cresciuta (+47% tra il 2006 e il 2009), superata solo dal lavoro interinale (+134%). I mini-job sono molto diffusi tra i pensionati: 660 mila di loro integrano la pèensione in questo modo. Dietro le cifre, c’è la tragedia sociale degli anziani licenziati: in base all’ultima riforma previdenziale tedesca, l’età pensionabile è stata alzata dai 65 ai 67 anni, il che ha aumentato il numero di quelli che non vengono più assunti, causa l’ìetà, se non in mini-jobs. Non a caso, se il numero dei beneficiari del sistema Hartz IV è ufficialmente calato del 9,5% tra il 2006 e il 2009, tra i tedeschi di più di 55 anni il numero dei beneficiari è cresciuto del 17,7%.
Nel maggio 2011, gli occupati con mini-jobs erano 5 milioni: si può parlare, senza offesa, di un esercito di sotto-occupati e precari? Ci sono stati anche scandali: aziende che preferiscono assumere due o tre mini-jobs (su cui non pagano i contributi previdenziali) invece di un lavoratore a tempo pieno. La Scheckler, una catena di drogherie, è stata accusata dai verdi di fare questo genere di “dumping salariale”.
Nell’agosto 2010, un rapporto dell’Istitutio del Lavoro dell’Università di Duisberg-Essen ha calcolato che più di 6,55 milioni di tedeschi ricevono meno di 10 euro lordi l’ora – sono aumentati di 2,3 milioni rispetto a dieci anni prima. Due milioni di lavoratori in oltre-Reno campano con meno di 6 euro l’ora, e molti nell’ex Germania comunista si contentano di 4 euro l’ora, ossia 720 euro mensili per un lavoro a tempo pieno.
I salariati con mini-job non sono i soli mal pagati. In Germania non esiste un salario minimo stabilito per legge (situazione unica in Europa). I “lavoratori poveri” (che restano in miseria pur lavorando) sono il 20% degli occupati germanici.
Quelli che lavorano per meno di 15 ore settimanali, con paghe in proporzione, sono chiamati Aufstocker: sono un milione, ed integrano il magrissimo salario con i magrissimi sussidi sociali. Il loro numero è in continua crescita. Quanto ai sussidi sociali, rende noto lo studio francese, non sono completamente cumulabili: “Per 100 euro di salario, il lavoratore perde il 20% del susidio, per un impiego da 800 euro ne perde l’80%.”
Il caso è stato portato da tre famiglie alla Corte costituzionale di Karlsruhe nel febbraio 2010: i loro sussidi non consentivano “un minimo vitale degno”, era la lagnanza. La Corte ha sancito la costituzionalità della Hartz IV, ma ha chiesto al legislatore di rivalutare l’allocazione di base. E’ stata infatti aumentata: da 359 euro a persona, a 374 euro. Adesso è “un degno minimo vitale”.
Se si toglie il milione di Austocker ai 4,9 milioni di attivi beneficiari di sussidi, si hanno 3,9 milioni di disoccupati di lunga durata, che vivono eslusivamente delle suddette allocazioni: essenzialmente famiglie con un solo genitore e anziani.
Un dirigente del centro-impiego (Arbeitsagentur) di Amburgo, sotto anonimato, dichiara: “Ma quale miracolo economico. Oggi, il governo ripete che siamo sotto i 3 milioni di disocupati, e se fosse vero sarebbe un fatto storico. Ma la verità è diversa, sono 6 milioni di persone beneficiarie di Hartz IV (che prendono i sussidi, ndr.), e sono tutti disoccupati o ultra-precari. La vera cifra non è 3 milioni di senza-lavoro, ma 9 milioni di precari”.
Si aggiunga che la percentuale trionfale di 6,9% di senza-lavoro nasconde forti disparità regionale. I disoccupati sono il 3,4% nella ricca e prospera Baviera, ma il 12,7 a Berlino. E ogni minimo accenno di rallentamento dell’economia colpisce più duramente, com’è ovvio, i milioni di precari o mini-jobs: i primi ad essere licenziati, come si vede nella tabella seguente (le riduzioni del 2009 rispetto al 2008, riguardano soprattutto gli “atipici”).
Che dire? La competitività tedesca ha il suo segreto in quel 20 per cento di sotto-salariati; il miracolo germanico si regge su un gigantesco dumping sociale. E’ questo il modello che ci viene proposto ad esempio: la cinesizzazione della forza-lavoro a basso livello di qualificazione.
Bisogna constatare che, nella nuova economia globalizzata, i popoli diventano superflui – o almeno, grandi porzioni dei popoli. Il che forse spiega la “crisi” della democrazia, ossia la devoluzione della sovranità popolare ai tecnocrati, operata dai politici di professione: maggioranze di cui non si ha bisogno per produrre o consumare, sono inutili anche politicamente. Hanno perso la dignità di cittadini.
Naturalmente, la medaglia ha anche un’altra faccia: in Germania, il costo della vita è inferiore a quello di Francia e Italia (perchè esiste, come abbiamo visto, un “mercato del consumo pauperistico”, per i sottoccupati), e i salari delle classi medie qualificate sono alti. Un professore di liceo ha uno stipendio iniziale di 3 mila euro netti. Il boom esportativo produce persino una mancanza di lavoratori qualificati, tanto che attualmente si arruolano giovani diplomati spagnoli. E’, fra l’altro, un effetto della crescita-zero demografica tedesca. “La riserva di persone disponibili al lavoro sta calando”, ha avvertito la ministra del lavoro, Ursula Van der Leyen. Attualmente, il numero di entranti nel mercato del lavoro è inferiore al numero di quelli che ne escono per anzianità, ed ecco un’altra causa che fa’ calare meccanicamente la disoccupazione…
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