di Roberto Fabbri
Quanto è facile essere accusati di blasfemia - che nella circostanza significa oltraggio alla religione islamica- nel musulmano Pakistan.
Ne saprebbe qualcosa, se non fosse mentalmente ritardata e quindi assai poco consapevole dei propri atti, Rifta Masih, la bambina undicenne di religione cristiana che alcuni giorni fa è stata arrestata a Islamabad sotto l’accusa di aver strappato, bruciato e gettato nell’immondizia alcune pagine di un manuale che serve per imparare a leggere il Corano, il testo sacro dell’islam.Un reato che in Pakistan può costare una condanna a morte perfino a un’undicenne.
Rifta abita - anzi, abitava, visto che è stata portata in un riformatorio dove rimarrà per due settimane in attesa delle decisioni di un giudice sul suo caso - a Meharabadi, un quartiere povero alla periferia della capitale dove vivono circa 800 cristiani. Alcuni vicini musulmani l’hanno vista armeggiare con una copia del Noorani Qaida, un testo che serve per imparare la lettura del Corano. La bambina, che è affetta dalla sindrome di Down e quindi anche visibilmente handicappata, avrebbe strappato una decina di pagine dal libro e avrebbe dato loro fuoco, gettando poi i resti del suo gioco in un secchio della spazzatura. Quel che ne è seguito è un classico del fanatismo e dell’ignoranza: fingendo di (o non riuscendo a) capire che la bambina non poteva avere agito con un intento oltraggioso, i vicini hanno cominciato a gridare all’offesa all’islam. Altrettanto tipicamente, il resto del vicinato musulmano non si è minimamente curato di accertare la verità e di tener conto della disabilità della bambina accusata di blasfemia, e ha colto l’occasione per scatenare un piccolo pogrom a Meharabadi: gente aggredita, oggetti distrutti, minacce di morte gridate, tanto che molti dei cristiani del quartiere hanno preferito darsela a gambe.
Questo non è riuscito a Rifta, che su insistenza della gente del posto è stata incredibilmente arrestata e portata prima in commissariato e poi in un riformatorio. Di fronte all’evidenza dell’handicap della bambina, i poliziotti si erano dapprima rifiutati di procedere al fermo, ma ormai la sceneggiata si era avviata: il commissariato circondato da gente furibonda, mentre un’altra folla altrettanto irragionevole bloccava una grande strada e minacciava un ultimatum. Così, per evitare l’ulteriore degenerare della situazione, la bambina è stata arrestata e portata via. E nessuno è sembrato far caso a un dettaglio che in realtà non è da poco: la persona che ha presentato la denuncia per blasfemia contro Rifta Masih non era neppure presente ai presunti fatti.
L’assurda vicenda ha riaperto la questione di una legge che esiste in Pakistan dagli anni Ottanta, e che troppo spesso è stata utilizzata in modo strumentale per fini personali. Sono oltre mille i pakistani che sono stati incriminati da allora in base a questa norma, cui vanno aggiunte le circa trenta che non sono arrivate neppure al processo, perché assassinate da individui armati o linciate da folle fanatiche.
Dopo che Paul Bhatti, consigliere del premier per le questioni dell’armonia nazionale e fratello dell’ex ministro degli affari delle minoranze Shahbaz Bhatti, come lui cristiano e ucciso da un commando armato nel marzo 2011, ha disposto un’assistenza legale per Rifta Masih e ordinato un’inchiesta sulle pressioni esercitate sulla polizia perché procedesse al suo arresto, è intervenuto lo stesso presidente Asif Ali Zardari. Il capo dello Stato pakistano ha chiesto entro ventiquattr’ore un rapporto sulla vicenda e ha dato indicazioni alle autorità perché «proteggano la vita e le proprietà di chiunque e impediscano che qualcuno si arroghi il diritto di esercitare la legge». Zardari ha aggiunto che se la blasfemia non può essere perdonata, a nessuno potrà essere consentito di strumentalizzarla a fini personali. Vedremo se questo servirà a ottenere la liberazione della piccola disabile, che per il momento resta in cella con davanti a sé l’incredibile prospettiva del patibolo.
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