lunedì 20 agosto 2012

Bimba down rischia la forca per blasfemia

Una cristiana di 11 anni incarcerata perché avrebbe strappato alcune pagine di un testo sacro islamico. Folla scatenata impone l'arresto e devasta un quartiere
di Roberto Fabbri

Quanto è facile essere accusati di blasfemia - che nella circostan­za significa oltraggio alla religio­ne islamica- nel musulmano Paki­stan.
Ne saprebbe qualcosa, se non fosse mentalmente ritardata e quindi assai poco consapevole dei propri atti, Rifta Masih, la bam­bina undicenne di religione cri­stiana che alcuni giorni fa è stata ar­restata a Islama­bad sotto l’accusa di aver strappato, bruciato e gettato nell’immondizia alcune pagine di un manuale che serve per impara­re a leggere il Cora­no, il testo sacro dell’islam.Un rea­to che in Pakistan può costare una condanna a morte perfino a un’undi­cenne.
Rifta abita - an­zi, abitava, visto che è stata portata in un riformatorio dove rimarrà per due settimane in attesa delle deci­sioni di un giudice sul suo caso - a Meharabadi, un quartiere povero alla periferia del­la capitale dove vivono circa 800 cristiani. Alcuni vicini musulma­ni l’hanno vista armeggiare con una copia del Noorani Qaida, un testo che serve per imparare la let­tura del Corano. La bambina, che è affetta dalla sindrome di Down e quindi anche visibilmente handi­cappata, avrebbe strappato una decina di pagine dal libro e avreb­be dato loro fuoco, gettando poi i resti del suo gioco in un secchio della spazzatura. Quel che ne è se­guito è un classico del fanatismo e dell’ignoranza: fingendo di (o non riuscendo a) capire che la bambina non poteva avere agito con un intento oltraggioso, i vicini hanno cominciato a gridare all’of­fesa all’islam. Altrettanto tipica­mente, il resto del vicinato musul­mano non si è minimamente cura­to di accertare la verità e di tener conto della disabilità della bambi­na accusata di blasfemia, e ha col­to l’occasione per scatenare un piccolo pogrom a Meharabadi: gente aggredita, oggetti distrutti, minacce di morte gridate, tanto che molti dei cristiani del quartie­re hanno preferito darsela a gam­be.
Questo non è riuscito a Rifta, che su insistenza della gente del posto è stata incredibilmente arre­st­ata e portata prima in commissa­riato e poi in un riformatorio. Di fronte all’evidenza dell’handicap della bambina, i poliziotti si erano dapprima rifiutati di procedere al fermo, ma ormai la sceneggiata si era avviata: il commissariato cir­condato da gente furibonda, men­tre un’altra folla altrettanto irra­gionevole bloccava una grande strada e minacciava un ultima­tum. Così, per evitare l’ulteriore degenerare della situazione, la bambina è stata arrestata e porta­ta via. E nessuno è sembrato far ca­so a un dettaglio che in realtà non è da poco: la persona che ha pre­sentato la denuncia per blasfemia contro Rifta Masih non era neppu­re presente ai presunti fatti.
L’assurda vicenda ha riaperto la questione di una legge che esi­ste in Pakistan dagli anni Ottanta, e che troppo spesso è stata utilizza­ta in modo strumentale per fini personali. Sono oltre mille i paki­stani che sono stati incriminati da allora in base a questa norma, cui vanno aggiunte le circa trenta che non sono arri­vate neppure al processo, perché assassi­nate da individui­ armati o linciate da folle fanatiche.
Dopo che Paul Bhatti, consigliere del pr­emier per le questioni dell’armonia nazionale  e fratello dell’ex ministro degli affari del­le minoranze Shahbaz Bhat­ti, come lui cri­stiano e ucciso da un comman­do armato nel marzo 2011, ha disposto un’as­sistenza legale per Rifta Masih e ordinato un’inchiesta sulle pres­sioni esercitate sulla polizia per­ché procedesse al suo arresto, è in­tervenuto lo stesso presidente Asif Ali Zardari. Il capo dello Stato pakistano ha chiesto entro venti­quat­tr’ore un rapporto sulla vicen­da e ha dato indicazioni alle autori­tà perché «proteggano la vita e le proprietà di chiunque e impedi­scano che qualcuno si arroghi il di­ritto di esercitare la legge». Zarda­ri ha aggiunto che se la blasfemia non può essere perdonata, a nes­suno potrà essere consentito di strumentalizzarla a fini personali. Vedremo se questo servirà a otte­nere la liberazione della piccola disabile, che per il momento resta in cella con davanti a sé l’incredibi­le prospettiva del patibolo.

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