Ecco come buttano via i soldi: investimento record per informatizzare l'ente. E solo l'ospedale di Cagliari costa come tutta una Asl
L'Italia degli sprechi (assurdi): nell'isola i dentisti sono il doppio di tutti quelli presenti in Lombardia
di Cristiana Lodi
Nemmeno l’isola nuragica si salva. Nonostante le sue quattro Province cancellate con l’ultimo referendum e nonostante gli stipendi tagliati agli 80 consiglieri, la Regione Autonoma della Sardegna resta una delle cinque Regioni italiane a trattamento privilegiato, senza però offrire alcun vantaggio al cittadino. Anche qui, come in Valle d’Aosta, Friuli, Sicilia, Trentino, le agevolazioni restano ampie e i politici sprecano meglio. A spese del cittadino, ovviamente. La Sardegna come le sue “sorelle” a statuto speciale da decenni incamera quote di tassazione provenienti dal territorio che vanno dal 70 al 100%. Per intenderci, mentre l’Irpef, l’Irpeg e l’Iva di un abitante di Milano, di Roma o di Napoli finiscono nelle casse dello Stato, che poi ri-trasferisce le risorse alla periferia, le imposte di chi vive ad Aosta, Palermo, Cagliari, Trento o Bolzano restano sostanzialmente lì. Il meccanismo si traduce in entrate tributarie per abitante nelle Regioni speciali che superano i 3.500 euro (la cifra complessiva si aggira su un gettito di 20 miliardi l’anno) contro i 1.800 euro circa delle altre. In più, come le altre, queste Regioni si beccano comunque trasferimenti statali per settori centralizzati come la scuola, le infrastrutture eccetera. Complessivamente le entrate totali pro capite ammontano a 5.400 euro contro i 3.800 delle Regioni normali.
La Sardegna è però forse l’unica fra queste Regioni privilegiate ad avere dato un barlume di esempio positivo. Lo ha fatto abolendo quattro Province inutili e che erano state “inventate” nel 2005. Enti la cui esistenza era del tutto indifendibile: almeno in base ai numeri.
La più grande delle Provincie in questione: Olbia-Tempio Pausania, conta 157 mila abitanti. La più piccola, Ogliastra, non arriva a 58 mila. Ci abita meno gente che nel Comune di Fiumicino. Ma non basta. I consiglieri provinciali sono cento. Ognuna di queste quattro Province ha addirittura due capoluoghi, con situazioni ai confini della comicità. Prendiamo l’Ogliastra: a Tortolì, 10.838 abitanti, ha sede il consiglio provinciale; a Lanusei, 5.655 anime e 19 chilometri di distanza, si riunisce invece la giunta. Idem, eccetto qualche variante, accade nelle tre restanti Province. E tutto questo non è certamente gratis. E per usare le parole di Sergio Rizzo che sul Corsera (traendo dal libro di Andrea Giuricin, Abolire le Province curato da Silvio Boccalatte per Rubbettino-Facco), dice che si possono fare alcuni calcoli interessanti sul costo di quegli enti. E che la vicenda sarda resta un «esempio di moltiplicazione delle spese dovute all’istituzione di una nuova Provincia». Il caso di scuola è quello di Carbonia-Iglesias, i cui 23 Comuni appartenevano in precedenza a Cagliari. Già nel 2007 il bilancio preventivo della Provincia prevedeva un costo di 30 milioni di euro. Contemporaneamente, anziché diminuire, le spese della Provincia cagliaritana che aveva perduto tutti quei municipi erano invece salite a 172 milioni dai 133 del 2005.
L’abrogazione delle Province ha ovviamente scatenato un polverone di polemiche. L’Unione Province sarde, in prima fila nel criticare l’abrogazione degli enti, ha preparato un dossier per documentare come il costo politico della Regione sia in realtà più alto di quello delle Province cancellate.
L’Ups parte dai costi degli organismi istituzionali. E spiega che la Sardegna , comprendendo il bilancio del Consiglio e le spese politiche della presidenza della giunta e degli assessorati (esclusi cioé tutti i servizi amministrativi per l’esterno) ha una spesa complessiva di 104 milioni (71 solo il Consiglio), che valgono qualcosa come 62,3 euro pro capite per i sardi. Gli organismi delle Province, sempre secondo l’Ups, resterebbero invece più leggeri e arriverebbero a 6,5 milioni, pari a 3,89 euro per ciascun sardo. All’interno della spesa degli organismi c’è la parte che riguarda i compensi riservati agli eletti. E anche in questo caso la spesa risulterebbe molto più alta per la Regione: in totale (indennità per i singoli consiglieri più assegnazioni aggiuntive e spese dei gruppi politici) si arriva a 23,8 milioni, pari a 14,87 euro per ogni sardo. Il costo degli eletti alla Provincia è invece di 4,2 milioni, pari a 2,62 euro pro capite per i sardi.
I numeri non si fermano qui. Secondo l’Ups la Regione ha un debito di 2 miliardi e 152 milioni, mentre quello delle otto Province isolane è di 212 milioni. Grande differenza anche per i residui passivi: 5 miliardi e 120 milioni quelli della Regione, 841 milioni quelli delle Province.
Qualche passo verso il risparmio la Regione Sardegna sembrerebbe però averlo fatto. Ad esempio ha abolito il vitalizio, ridotto il numero dei consiglieri da 80 a 60, le indennità e i finanziamenti ai gruppi risparmiando, dice il presidente del consiglio Claudia Lombardo, «oltre 1 milione e 300 mila euro». Dalla prossima legislatura, si intende. Questo a fronte di altre spese però ben più consistenti. Ad esempio quelle per la gestione dei sistemi informatici regionali. Acronimi e sigle dietro cui si celano salassi per milioni di euro: il Si-Bar dell’Amministrazione Regionale, il Sisar della sanità, il Sira dell’ambiente e il Sil del lavoro. Secondo il consigliere Sel, Luciano Uras, nei prossimi tre anni si spenderanno almeno 85 milioni di euro. E poi ci sono il sito Regione e il sistema informatico per la pianificazione territoriale, per i quali si spendono circa 2 milioni di euro l’anno. Altri 5 milioni e 700 mila vengono sborsati per quello sanitario. Il Sibar costa 2 milioni di euro, stesso dicasi per il sito del lavoro. Uno smacco per il popolo sardo, da sempre in lotta contro la disoccupazione. Centinaia di milioni di euro spesi per l’informatizzazione della Regione. Solo Sibar e Sisar sono già costati alle casse della Regione quasi 100 milioni di euro.
C’è poi il settore sanitario: ovvero quello che grava maggiormente sul bilancio. Soprattutto con il lavoro interinale. Dice il consigliere regionale del Pd, Francesca Barracciu: «L’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari è il caso più lampante ed emblematico di creazione e mantenimento di quelle nicchie di potere dai risvolti economici che gravano pesantemente sulle risorse pubbliche di cui ha parlato anche la Corte dei Conti». Un duro attacco contro la gestione dell’azienda ospedaliera, con tanto di interrogazione all’assessore alla Sanità Simona De Francisci. Il consigliere Barracciu afferma che «i dati estrapolati dai conti delle aziende sanitarie del 2010 e 2011 registrati dall’assessorato regionale alla Sanità non lasciano dubbi: la spesa del Brotzu per il lavoro interinale è aumentata, in un solo anno, del 70% e supera, da sola, quella della Asl 8, la più grande delle Asl sarde, che ha quasi il triplo dei dipendenti del Brotzu». I numeri: secondo l’esponente del Pd, dal 2010 al 2011 il Brotzu è passato dai 3,473 milioni di euro del 2010 (2,641 per sanitari e 832 mila per non sanitari) ai 5,940 milioni del 2011.
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