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venerdì 19 luglio 2013

La Camera spende 4 milioni per "depolverare" i libri

Non bastano i 1500 dipendenti della Camera per mettere a lucido la Biblioteca di Montecitorio la Camera spende un milione di euro all'anno


Melius abundare quam deficere. La sentenza latina sarà sicuramente contenuta in uno dei numerosi libri impolverati e riposti negli scaffali della biblioteca di Montecitorio.
E, nonostante i deputati abbiano di meglio da fare che dedicarsi alla lettura, c'è chi ha comunque pensato alla custodia, distribuzione e "pulizia" del patrimonio librario dellaCamera.
Chi? La Camera stessa, presieduta da Laura Boldrini, che in data 23 maggio ha pubblicato e indetto un bando (scaduto il 9 luglio scorso) dal contenuto a tratti surreale.
Rientra nella categoria di "servizi ricreativi, culturali e sportivi", si intitola "servizio di gestione dei depositi librari" e riguarda "il complesso delle attività di gestione dei depositi della Biblioteca della Camera dei deputati, di circolazione e distribuzione delle pubblicazioni, di fotocopiatura, di depolveratura del materiale librario, nonché lo svolgimento di attività ausiliarie”. Non è un refuso, la depolveratura è proprio una delle mansioni previste. Chissà quanti acari infestano le copertine dei volumi e chissà quanto tempo è passato dall'ultima volta che qualche parlamentari si è sognato di sfogliarne qualcuno, di questi volumi. 
Ma al di là delle battute, come segnalato dal Portaborse.com, non bastano i 1551 dipendenti di Montecitorio, così come evidentemente serve ad altro lo specifico servizio Biblioteca già esistente a Montecitorio. Per armarsi di spazzola e pulire i voluminosi tomi ci vuole altro personale. Precisamente 26 unità "per una prestazione effettiva pari a un monte ore di complessive 37548 ore all'anno", si legge sul bando pubblicato sul sito della Camera. Il tutto per un valore complessivo di quattro milioni di euro in 4 anni. Un milione all'anno per lucidare il patrimonio della Biblioteca.

lunedì 27 agosto 2012

LASORELLA Vi ricordate di Carmen? Esilio dorato Rai a 32mila euro al mese


La giornalista simbolo degli sprechi di viale Mazzini: allontanata dall'azienda, dal 2008 dirige la tv di San Marino ma a libro paga... italiano

Vi ricordate di Carmen? Esilio dorato Rai a 32mila euro al mese
di Pierangelo Maurizio
I “gruisti” e la direttora. È la storia che ha per ambientazione la tv di Stato di San Marino e, almeno per una delle figure in gioco, la direttora, è certamente a lieto fine. Per gli altri, i “gruisti” per l’appunto, un po’ meno. Chi sono i gruisti? Sono i giornalisti che fanno i pezzi, vanno in video, eccetera, alla Rtv del terzo Stato più piccolo d’Europa. Nella Repubblica del Titano si respira ancora aria di utopia. Oltre a essere ancora nella lista nera dei paradisi fiscali e a contare frequenti tentativi non sempre fortunati di vari pm italiani nel cercare di penetrare i conti cifrati dietro ai quali - si racconta - si nasconderebbero depositi di politici e partiti italiani, San Marino ha un altro primato eccentrico: non riconosce la figura di giornalista. Quindi si applica la qualifica corrispondente ad uno stipendio di circa 1.700 euro al mese: “gruista”. “Gruista specializzato” se si conduce. Il direttore generale è invece, ormai da quattro anni, Carmen Lasorella, già inviata di guerra dei tg Rai, nominata e stipendiata da viale Mazzini, perché la televisione sammarinese è compartecipata dalla Rai al 50%. 
Casa, auto e autista - Lo stipendio della direttora pagato dalla Rai e in una certa misura dai contribuenti italiani? Trentaduemila euro al mese, a quanto si sa. Tanti quanti ne prende Luigi Gubitosi, il direttore generale di viale Mazzini. Nel caso della direttora si aggiungono i benefit: casa, auto, autista, lavanderia li passa la Repubblica di San Marino. Ed è, diciamolo subito, la parte bella di questa storia. Perché Carmen Lasorella, giornalista di razza, ha per anni lamentato di essere lasciata inoperosa alla Rai. Dal ’98 quando il governo D’Alema ha avviato questo gemellaggio via etere tra Roma e San Marino, l’incarico di direttore generale è riservato a giornalisti più o meno illustri, (da qui è passato anche Sergio Zavoli come presidente), per chiudere in bellezza la carriera. 
Di appoggi Carmen Lasorella non vuole nemmeno sentire parlare. «La mia carriera è sempre stata svincolata dalla politica»,  ha assicurato subito dopo la nomina. Quattro anni fa è bastata una visita al suo avvocato - ha raccontato - e il consiglio d’amministrazione della Rai “inaspettatamente” le ha offerto l’incarico a San Marino. E 450mila euro lordi (circa) l’anno, si sussurra.
E i giornalisti-gruisti? Sono assunti e pagati dall’Eras, l’ente radiodiffusione sammarinese. Lo stipendio di 1.700 euro è riservato a quelli col passaporto italiano, il doppio se si è giornalisti, sempre gruisti, ma cittadini sammarinesi. In redazione si respira a fasi ricorrenti aria di fronda, voglia di ribellione. «Le abbiamo provate tutte», dicono due colleghi, «ma non c’è niente da fare». E dopo il danno la beffa. Perché per effetto dei tagli dal 2013 la Rai sembra intenzionata a rinunciare alla convenzione con la tv del Titano. 
Niente sussidi  - Su 32mila abitanti, 4.500 sono dipendenti pubblici, 105 della tv. Senza l’apporto dei 3,5 milioni di euro garantiti da viale Mazzini, resteranno senza lavoro 35 dipendenti a tempo determinato, di cui una decina di giornalisti. Che ovviamente - come “gruisti” - non hanno diritto nemmeno al sussidio di disoccupazione dell’Inpgi, l’istituto di previdenza. Possibile che la Fnsi, il sindacato dei giornalisti italiani, l’Usigrai, l’ancora più potente sindacato dei giornalisti Rai, l’Ordine non abbiano nulla da dire?
Quanto a Carmen Lasorella il lieto fine prosegue. Rischiamo di ritrovarci a viale Mazzini due direttori generali. Lei ha tenuto la riunione con la redazione della tv di San Marino: «Traquilli, io resto. Vado in ferie e ci vediamo a settembre». I gruisti pare non ringrazino.
pierangelo.maurizio@alice.it

mercoledì 8 agosto 2012

La residenza del Senato ha speso 70mila euro di autolavaggio per l'auto blu



E dopo le auto blu, non poteva mancare l'autolavaggio blu.
70.000 euro di autolavaggio per l'auto blu della Presidenza del Senato.
Una vergogna tipicamente italiana: bisognerebbe mandarli loro a lavare a mano le auto blu!

Se ne e' discusso la settimana scorsa al Senato, potete leggere a pagina 37 del resoconto stenografico del primo agosto (che potete consultare cliccando su questo link del sito del senato http://www.senato.it/servicePDF/PDFServer/BGT/677139.pdf) questo breve stralcio che qui riporto integralmente:

Passo poi ad un altro numero, che e` quello del lavaggio auto. A proposito, ho chiesto al Servizio di Ragioneria quante auto blu ci sono e mi hanno risposto – ma credo non sia vero – che ce n’e` solamente una. Bene, l’autolavaggio e` costato 62.000 euro nel 2010, 61.000 euro nel 2011 e 70.000 euro nel 2012. Allora mi chiedo perche´, invece di lavarla, quest’auto non la compriamo nuova ogni anno, cosı` forse ci costa anche meno.

I costi dell'autolavaggio e' possibile verificarli a pagina 40 del "Progetto di bilancio interno del Senato per l'anno finanziario 2012" nel capitolo  Cap. S.1.23. - Pulizie e facchinaggio: http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/docnonleg/23324.htm

martedì 24 luglio 2012

Allarme per la sanità lombarda A rischio 4mila posti letto La salute in tempi di crisi potrebbero andarsene in 12mila fra medici e infermieri


Due infermiere portano un letto nella corsia di un ospedale (Newpress)
Due infermiere portano un letto nella corsia di un ospedale (Newpress)

Milano, 24 luglio 2012 -Quattromila posti letto a rischio (quelli garantiti in Lombardia sono 40mila)oltre a tagli «non ancora quantificati» con certezza (ma ipotizzabili) al personale che «già oggi con 105 mila impiegati nel pubblico e 35 mila nel privato non sono sufficienti». La Cgil Lombardia lancia la sua campagna d’autunno e prospetta alcune delle conseguenze dei tagli del governo alla sanità regionale, già nel mirino delle inchieste della magistratura. «Vogliamo lanciare un vero e proprio allarme - ha spiegato Giacinto Botti, segretario Cgil Lombardia durante il sit in sotto Palazzo Lombardia - una lotta agli sprechi è necessaria ma tagli di questo genere non sono sostenibili». Anche perchè, come spiega Florindo Oliverio, segretario generale funzione pubblica Cgil Lombardia, «le ricadute occupazionali rischiano di pesare non poco. Naturalmente sono ancora stime ma se dovessero essere confermati i tagli del 10% su personale infermieristico e 20% sui medici in Lombardia potremmo avere 12 mila persone in meno».


Da qui la necessità, auspica Oliverio, «di sedersi presto attorno ad un tavolo, con l’assessore regionale alla sanità, per discutere della riorganizzazione dei servizi ospedalieri». Nemmeno per il sindacato i «tagli sono un tabù», «a patto che si provi a tradurre i numeri in servizi partendo dal fabbisogno del territorio». Difficile? «Complicato, ci vuole una nuova politica sanitaria che punti più alla prevenzione che alla prestazione e quindi favorisca il pubblico e meno il privato.
Rivedendo quindi il sistema di accreditamento delle strutture private. E se il governatore, su pressione della Lega, sembra disponibile a discutere di posti letto e a «darci un taglio ai fondi per i privati», di fatto sinora nulla di concreto è stato fatto. Certo è che nei grandi ospedali pubblici gli organici sono già ridotti all’osso,con un blocco contrattuale che è già in atto dal 2009. «In questo momento di forte crisi - interviene Alberto Villa, segretario Funzione Pubblica Cgil - la Regione Lombardia dovrebbe mettere nero su bianco le risorse e spiegarci come intende spenderle».
di Stefania Consenti

lunedì 16 luglio 2012

I COSTI SARDI Sardegna, sprecona per statuto: 2 mld di debiti e 100 mln in pc


Ecco come buttano via i soldi: investimento record per informatizzare l'ente. E solo l'ospedale di Cagliari costa come tutta una Asl

Sardegna, sprecona per statuto:
2 mld di debiti e 100 mln in pc
L'Italia degli sprechi (assurdi): nell'isola i dentisti sono il doppio di tutti quelli presenti in Lombardia

di Cristiana Lodi
Nemmeno l’isola nuragica si salva. Nonostante le sue quattro Province cancellate con l’ultimo referendum e nonostante gli stipendi tagliati agli 80 consiglieri, la Regione Autonoma della Sardegna resta una delle cinque Regioni italiane a trattamento privilegiato, senza però offrire alcun vantaggio al cittadino. Anche qui, come in Valle d’Aosta, Friuli, Sicilia, Trentino, le agevolazioni restano ampie e i politici sprecano meglio. A spese del cittadino, ovviamente. La Sardegna come le sue “sorelle” a statuto speciale da decenni incamera quote di tassazione provenienti dal territorio che vanno dal 70 al 100%.  Per intenderci, mentre l’Irpef, l’Irpeg e l’Iva di un abitante di Milano, di Roma o di Napoli finiscono nelle casse dello Stato, che poi ri-trasferisce le risorse alla periferia, le imposte di chi vive ad Aosta, Palermo, Cagliari, Trento o Bolzano  restano sostanzialmente lì.  Il meccanismo si traduce in entrate tributarie per abitante nelle Regioni speciali che superano i 3.500 euro (la cifra complessiva si aggira su un gettito di 20 miliardi l’anno) contro i 1.800 euro  circa delle altre.  In più, come le altre, queste Regioni si beccano comunque trasferimenti statali per settori centralizzati come la scuola,  le infrastrutture eccetera. Complessivamente le entrate totali pro capite ammontano a 5.400 euro contro i 3.800 delle Regioni normali. 
La Sardegna è però forse l’unica fra queste Regioni privilegiate ad avere dato un barlume di esempio positivo. Lo ha fatto abolendo quattro Province inutili e che erano state “inventate” nel 2005.  Enti la cui esistenza era del tutto indifendibile: almeno in base ai numeri.  
La più grande delle Provincie in questione:  Olbia-Tempio Pausania, conta 157 mila abitanti. La più piccola, Ogliastra, non arriva a 58 mila. Ci abita meno gente che nel Comune di Fiumicino. Ma non basta. I consiglieri provinciali sono cento. Ognuna di queste quattro Province ha  addirittura due capoluoghi, con situazioni ai confini della comicità. Prendiamo l’Ogliastra: a Tortolì, 10.838 abitanti, ha sede il consiglio provinciale; a Lanusei, 5.655 anime e 19 chilometri di distanza, si riunisce invece la giunta. Idem, eccetto qualche variante, accade nelle tre restanti Province. E tutto questo non è certamente gratis. E per  usare le parole di  Sergio Rizzo che sul Corsera (traendo dal libro di Andrea Giuricin,  Abolire le Province curato da Silvio Boccalatte per Rubbettino-Facco), dice che si possono fare alcuni calcoli interessanti sul costo di quegli enti. E che la vicenda sarda resta un «esempio di moltiplicazione delle spese dovute all’istituzione di una nuova Provincia». Il caso di scuola è quello di Carbonia-Iglesias, i cui 23 Comuni appartenevano in precedenza a Cagliari. Già nel 2007 il bilancio preventivo della Provincia prevedeva un costo di 30 milioni di euro. Contemporaneamente, anziché diminuire, le spese della Provincia cagliaritana che aveva perduto tutti quei municipi erano invece salite a 172 milioni dai 133 del 2005.
L’abrogazione delle Province ha ovviamente scatenato un polverone di polemiche. L’Unione Province sarde, in prima fila nel criticare l’abrogazione degli enti, ha preparato un dossier per documentare come il costo politico della Regione sia in realtà più alto di quello delle Province cancellate.  
L’Ups parte dai costi degli organismi istituzionali. E spiega che la Sardegna , comprendendo il bilancio del Consiglio e le spese politiche della presidenza della giunta e degli assessorati (esclusi cioé tutti i servizi amministrativi per l’esterno) ha una spesa complessiva di 104 milioni (71 solo il Consiglio), che valgono qualcosa come 62,3 euro pro capite per i sardi. Gli organismi delle Province, sempre secondo l’Ups, resterebbero invece più leggeri e arriverebbero a 6,5 milioni, pari a 3,89 euro per ciascun sardo. All’interno della spesa degli organismi c’è la parte che riguarda i compensi riservati agli eletti. E anche in questo caso la spesa risulterebbe molto più alta per la Regione: in totale (indennità per i singoli consiglieri più assegnazioni aggiuntive e spese dei gruppi politici) si arriva a 23,8 milioni, pari a 14,87 euro per ogni sardo. Il costo degli eletti alla Provincia è invece di 4,2 milioni, pari a 2,62 euro pro capite per i sardi.
I numeri non si fermano qui. Secondo l’Ups  la Regione ha un debito di 2 miliardi e 152 milioni, mentre quello delle otto Province isolane è di 212 milioni. Grande differenza anche per i residui passivi: 5 miliardi e 120 milioni quelli della Regione, 841 milioni quelli delle Province.
Qualche passo verso il risparmio la Regione Sardegna sembrerebbe però averlo fatto. Ad esempio ha abolito il vitalizio, ridotto il numero dei consiglieri da 80 a 60, le indennità e i finanziamenti ai gruppi risparmiando, dice il presidente del consiglio Claudia Lombardo, «oltre 1 milione e 300 mila euro». Dalla prossima legislatura, si intende. Questo a fronte di altre spese però ben più consistenti. Ad esempio quelle per la gestione dei sistemi informatici regionali. Acronimi e sigle dietro cui si celano salassi per milioni di euro: il Si-Bar dell’Amministrazione Regionale, il Sisar della sanità, il Sira dell’ambiente e il Sil del lavoro. Secondo il consigliere Sel, Luciano Uras, nei prossimi tre anni si spenderanno almeno 85 milioni di euro. E poi ci sono il sito Regione e  il sistema informatico per la pianificazione territoriale, per i quali si spendono circa 2 milioni di euro l’anno.  Altri  5 milioni e 700 mila vengono sborsati per quello sanitario. Il Sibar costa 2 milioni di euro, stesso dicasi per il sito del lavoro. Uno smacco per il popolo sardo, da sempre in lotta contro la disoccupazione. Centinaia di milioni di euro spesi per l’informatizzazione della Regione.  Solo Sibar e Sisar sono già costati alle casse della Regione quasi 100 milioni di euro. 
C’è poi il settore sanitario: ovvero quello che grava maggiormente sul bilancio. Soprattutto con il lavoro interinale. Dice il consigliere regionale del Pd, Francesca Barracciu: «L’azienda ospedaliera Brotzu di Cagliari è il caso più lampante ed emblematico di creazione e mantenimento di quelle nicchie di potere dai risvolti economici che gravano pesantemente sulle risorse pubbliche di cui ha parlato anche la Corte dei Conti». Un duro attacco contro la gestione dell’azienda ospedaliera, con tanto di interrogazione all’assessore alla Sanità Simona De Francisci. Il consigliere Barracciu afferma che «i dati estrapolati dai conti delle aziende sanitarie del 2010 e 2011 registrati dall’assessorato regionale alla Sanità non lasciano dubbi: la spesa del Brotzu per il lavoro interinale è aumentata, in un solo anno, del 70% e supera, da sola, quella della Asl 8, la più grande delle Asl sarde, che ha quasi il triplo dei dipendenti del Brotzu». I numeri: secondo l’esponente del Pd, dal 2010 al 2011 il Brotzu è passato dai 3,473 milioni di euro del 2010 (2,641 per sanitari e 832 mila per non sanitari) ai 5,940 milioni del 2011.

domenica 15 luglio 2012

SPRECONI PER STATUTO Trentino Alto Adige peggio della Sicilia: l'autonomia dorata gliela paghiamo noi Tasse basse e fondi da Roma: così foraggiamo masse di dipendenti pubblici

Alto-Adige peggio della Sicilia: l'autonomia gliela paghiamo noi
Follie d'Italia: il governatore bolzanino Durnwalder guadagna più di Obama...

Si sono arroccati sulle montagne, con il loro tesoro e non vogliono mollarlo. In Trentino Alto Adige-Südtirol, il 31,7% del bilancio dei Comuni è costituito da entrate extratributarie. Anche perché da quelle parti le tasse incidono in misura molto minore rispetto al resto del territorio italiano, secondo i dati Istat relativi al 2010. Così, se in una regione a statuto ordinario come la Liguria la media pro-capite è di 572 euro, in Trentino Alto Adige si scende drammaticamente a 211 euro per abitante. Il motivo è presto detto: arrivano barcate di soldi da Roma. Nella Provincia autonoma di Trento sono riusciti a chiudere il bilancio 2011 in pareggio con un “fatturato” di 4,6 miliardi, garantiti quasi interamente (3,9 miliardi) dallo Stato, che restituisce all’autonomia trentina e bolzanina i nove decimi del gettito fiscale incassato localmente.
Eredità separatista - In confronto a quanto ricevevano dopo la “Notte dei fuochi”, cioè la stagione degli attentati ai tralicci dell’alta tensione con cui nel 1961 i separatisti altoatesini chiedevano il ritorno dell’Alto Adige all’Austria, è poco. Ai tempi del patto fra la Democrazia Cristiana e la Südtiroler Volkspartei di Silvius Magnago, le cifre dei trasferimenti si aggiravano sui 10mila miliardi l’anno per 500mila abitanti. Ora il rapporto fra la popolazione e i soldi non è più lo stesso, nonostante l’alto numero di suicidi.
Eppure le competenze affidate alle istituzioni locali rimangono costanti: soltanto il 60% di quanto ricevono è giustificato dalla spesa pro capite di 406 euro per lo stipendio del personale amministrativo. E va aggiunto che se ne approfittano anche, se si considera che il numero di dipendenti pubblici è superiore alla media nazionale del 32% e si spendono tra i 7 e gli 8mila euro per i servizi generali della Pubblica amministrazione. 
Ovvio che anche i parametri retributivi siano collocati a livelli stratosferici. Fanno eccezione i 70 consiglieri delle due Province autonome, che si sono autoridotti le indennità e ogni mese intascano 5.900 euro netti rispetto ai precedenti 9.100. Per gli ultimi eletti, è saltato anche il vitalizio. Dovranno consolarsi con i rimborsi per gli spostamenti pari a 0,33 euro al chilometro fino a ottomila chilometri l’anno. Quando gli stessi consiglieri siedono in Regione, invece, si vedono rimborsati appena seimila chilometri l’anno. Un capitolo a parte, invece, riguarda il presidente della Provincia di Bolzano, Luis Dürnwalder, che, tolte le tasse, guadagna  più del presidente degli Stati Uniti: 12mila euro al mese. Il calcolo è presto fatto: al presidente va il 50% in più che a un consigliere, a un vicepresidente il 25% e un segretario questore il 12,5 per cento.
«Si potrebbe gestire meglio la spesa», spiega Rodolfo Borga, consigliere provinciale del Pdl a Trento. Sotto accusa sono «l’eccesso di dirigismo che, stante la capacità maggiore di incidere sul tessuto sociale ed economico, impone una presenza eccessiva del settore pubblico. Anche a causa della legge elettorale, che dà enormi poteri ai governatori, il centralismo ha depresso la capacità d’iniziativa delle aziende». Non ritiene necessaria quindi una cura dimagrante, perché «siamo a costo zero: non contribuiamo al bilancio dello Stato ma non pesiamo nemmeno», in quanto «la scuola, l’asilo, l’università, le strade ricadono direttamente sotto la competenza della Provincia, mentre allo Stato rimangono la giustizia, i tribunali e l’ordine pubblico».
Semmai, si poteva pensare a un risparmio in occasione del referendum, promosso dalla Lega Nord e svolto nell’aprile scorso per l’abrogazione delle Comunità di Valle, costituite nel 2006. L’opposizione le contestava come uno spreco di risorse pubbliche e un’invasione nella sfera di competenza dei Comuni. Peccato che non sia stato raggiunto il quorum. Per Borga, si tratta soltanto di «un ulteriore ente intermedio», che si traduce nell’ennesimo «strumento di controllo politico del territorio».
Sprechi di risorse - L’alternativa, le «unioni di comuni per la gestione di servizi in forma associata» potrebbe rappresentare un buon suggerimento per chi dovrà rassegnarsi a vedere calare la scure della spending review fissata dal governo. In conseguenza del decreto, i tagli per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome si dovrebbero attestare a 600 milioni nel 2012 e a 1,2 miliardi nel 2013, senza contare il miliardo e mezzo di riduzioni previste a partire dal 2014. I governatori li sommano agli effetti delle manovre precedenti, che per il Trentino-Alto Adige ammontavano a 902 euro in meno di spesa pro-capite, e lanciano l’allarme, in nome del feticcio dell’autonomia, antico privilegio che si conserva fin dai tempi in cui facevano parte dell’Impero austro-ungarico. Per ora, la battaglia è a colpi di carta bollata. Dopo l’accordo quadro di Milano del 2010, sottoscritto con il governo precedente dai ministri Roberto Calderoli e Giulio Tremonti, sembravano essere state sistemate tutte le partite arretrate che da anni erano rimaste bloccate, impedendo il trasferimento di fondi dalle casse dello Stato. In cambio, le Province autonome si erano rese disponibili a un contributo rilevante purché fossero fissati alcuni paletti a tutela della loro “specialità”. Ma ora, con l’esecutivo Monti, la musica è cambiata. Si presenteranno impugnative e ancora una volta si finirà in un estenuante contenzioso giuridico.
Nel frattempo si tenterà l’ultima carta, pretendendo altro denaro per il passaggio di funzioni dalle Province ai Comuni. Tanto perché non finisca troppo presto l’ultradecennale stagione della pacchia.
di Andrea Morigi