Fino a poco più di un anno fa il termine “spread” era pressoché sconosciuto, ora è diventato quasi un tormentone. Il differenziale tra titoli di Stato italiani e tedeschi è sulla bocca di tutti: ne parlano giornali, tv, internauti, ed è convinzione comune che sia una sorta di unità di misura del rischio di insolvenza di un Paese: più lo spread è alto, maggiore sono le possibilità di “fallimento”. A colpi di spread è stato fatto fuori un governo eletto dal popolo e nominato un esecutivo “tecnico”, appoggiato da una vasta e trasversale maggioranza, affidandogli il compito di salvare l’Italia. I risultati in termini di spread sono stati deludenti: venerdì 6 luglio il differenziale ha chiuso a 470 pb, ben oltre la “soglia critica” dei 400 stabilmente superata da due settimane e assai vicino a quella ancor più preoccupante dei 500.
Ma c’è un altro dato, taciuto dai media e quindi sconosciuto ai più, esattamente come lo spread fino a un anno fa: è quello del Cds, il Credit Default Swap.
Per spiegare in modo chiaro cosa sia, rimandiamo quindi al blog crisi-finanziaria.myblog.it, che così li definisce:
Il Credit Default Swap (CDS) è a tutti gli effetti un contratto derivato di tipo credit derivatives, è dunque uno swap impiegato per trasferire l’esposizione creditizia di prodotti a reddito fisso tra le parti (…).
Tecnicamente è un accordo tra un acquirente (chiamato protection buyer) e un venditore (protection seller) attraverso il quale il venditore  si impegna, a fronte del premio rateale versato dall’acquirente, a effettuare un determinato pagamento nel caso si verifichi uno specifico evento chiamato credit event, che tipicamente è il default del debitore terzo. (…)
E’ sicuramente uno strumento finanziario molto evoluto ma non necessariamente complicato, in sostanza possiamo pensare al cds come a un’assicurazione sull’insolvenza di un emittente. Per  questo il CDS è spesso utilizzato come polizza assicurativa o copertura per il sottoscrittore di un’obbligazione.
Chiaramente più il mercato dei cds teme l’insolvenza di un emittente, più il cds di riferimento aumenterà di prezzo (…).
Per queste caratteristiche costitutive il cds è un parametro di riferimento fondamentale per comprendere il “reale” rischio di fallimento della società che ha sottoscritto il debito su cui il cds poggia. Attalmente il valore del cds è un parametro molto più affidabile e indipendente rispetto ai vari giudizi delle società di rating (i famosi AAA, AA, A, BBB, BB, … ) (…).
Lasciando da parte l’aspetto squisitamente finanziario, che interessa verosimilmente solo agli esperti e appassionati in materia, usiamo il Cds come semplice unità di misura del rischio insolvenza di un Paese.
Ebbene, il passaggio tra Berlusconi e Monti ha giovato all’Italia da questo punto di vista? Pare di no.
Con Berlusconi, il Cds dell’Italia era ancora a quota 177 punti base, quindi nient’affatto a rischio, a giugno 2011. La curva si è impennata tra giugno e novembre, quando è venuta a mancare in modo evidente la solidità e la forza del governo: numeri risicati in parlamento e di conseguenza meno autorità per prendere decisioni importanti.
Il 15 novembre 2011, tre giorni dopo le dimissioni di Berlusconi e un giorno prima del giuramento del governo Monti, il dato peggiore: il Cds dell’Italia tocca il massimo storico, a quota 601 punti base, chiudendo poi a 594.
L’inesorabile e clamorosa risalita del Cds italiano da 177 a 594 pb in soli 5 mesi lasciava intendere che con un nuovo governo, sostenuto da una larga maggioranza, il dato sarebbe migliorato. Un po’ come lo spread, che secondo Buttiglione ed Enrico Letta sarebbe calato vertiginosamente di 300 o 100 punti soltanto grazie alle dimissioni di Berlusconi.
Inutile ricordare che non è andata così: nonostante l’ampia maggioranza e le manovre lacrime e sangue, il Cds italiano non è affatto ritornato ai livelli di giugno 2011. Venerdì 6 luglio, ultimo dato, ha chiuso a quota 515, 16 pb. Altissima.
Il minimo con il governo Monti si è verificato lo scorso 19 marzo con 349,09 pb, livelli peraltro raggiunti anche ad ottobre 2011 ai tempi del governo Berlusconi, appena un mese prima dell’attacco speculativo costategli le dimissioni.
La quota “critica” dei 500 pb, superati ai tempi del precedente governo solo a settembre (in pochi giorni) e novembre 2011, con Monti è stata ampiamente varcata a dicembre 2011 e nella prima metà di gennaio 2012, ed ancora ininterrottamente dal 15 maggio ad oggi, con la sola interruzione del 2-3 luglio (468 e 464 pb).
Il Cds dell’Italia, con Monti, è rimasto ai livelli di quello di Spagna e Irlanda.
Dunque, dov’è questo governo di salvezza nazionale?