Allarme di Confedilizia sull’imposta sul mattone: rincari da record per l’acconto. E al saldo si rischia un salasso ancora più alto per i ritocchi previsti dai Comuni
Aumenti stellari per l’Imu sulle case affittate: rispetto all’Ici l’aggravio è mediamente fra il 300 e il 500%, ma si arriva fino al 2.330%, per un immobile affittato a canone concordato a Venezia.
Imu
Ingrandisci immagine
Un caso limite, certo: ma non dimentichiamo che il confronto, operato dall’ufficio studi di Confedilizia, riguarda solo l’acconto. È quindi evidente che gli aumenti saranno ancora più rilevanti al momento del saldo, quando quasi certamente le amministrazioni comunali stabiliranno - come peraltro alcune hanno già fatto - aliquote superiori a quella di base prevista dalla legge (7,6 per mille), arrivando magari alla massima misura consentita, il 10,6 per mille.
Una stangata, oltretutto, che non penalizza solo i proprietari di casa, ma avrà inevitabilmente effetti negativi anche sugli inquilini, su cui i proprietari cercheranno di «scaricare» il costo della nuova tassa, se addirittura non rinunceranno del tutto ad affittare, preferendo vendere l’immobile. Aumenterà quindi la tensione abitativa, soprattutto nelle grandi città dove sempre più famiglie sono costrette a ricorrere all’affitto perché non riescono ad accedere a un mutuo: tanto più che a essere particolarmente colpiti dall’Imu sono proprio i contratti dedicati alle categorie più deboli, a canone «concordato», cioè inferiore a quello di mercato. Che, in passato, erano favoriti con l’applicazione di aliquote fiscali agevolate o addirittura azzerate, mentre oggi sono inesorabilmente soggetti all’aliquota unica: risultato, un proprietario che oggi affitta l’immobile a costi ragionevoli con un canone concordato si trova a pagare un’Imu enormemente più alta, quindi si guarderà bene dal rinnovarlo alla scadenza.
«Anche solo il confronto tra acconti - dichiara il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani - indica che l’imposta va assolutamente ripensata, e al più presto. Il rimedio immediato è quello di abbandonare l’Imu sperimentale introdotta nello scorso dicembre e tornare all’Imu originaria, così salvando anche la locazione dalla fine alla quale viene condannata dall’aggravio di quest’anno, incompatibile con una minima redditività degli immobili locati».
Gli aumenti dell’Imu rispetto all’Ici infatti sono determinati da due fattori: l’aumento del 60% della base imponibile dell’imposta, dovuto alla variazione del moltiplicatore della rendita catastale, che ha riguardato la generalità degli immobili, e l’aumento dell’aliquota applicabile. Che, per gli immobili affittati, non era affatto previsto nella versione originale: anzi, il decreto legislativo relativo al federalismo fiscale municipale stabiliva che l’aliquota dell’Imu, prevista in via generale al 7,6 per mille, fosse ridotta alla metà (3,8 per mille) per gli immobili affittati.
Questo per introdurre un correttivo nei confronti dell’unica categoria di immobili per i quali il nuovo tributo si limitava a sostituire l’Ici ma non le imposte sul reddito. Viceversa, con l’Imu sperimentale varata dal governo Monti, la scelta se stabilire una aliquota differenziata per gli immobili affittati è stata demandata ai Comuni. Che ben difficilmente la faranno propria, a causa della norma che prevede l’attribuzione allo Stato, in ogni caso, della metà del gettito derivante dall’Imu. C’è da aspettarsi piuttosto una nuova stangata, peggiore di quella attuale.
Nessun commento:
Posta un commento