N
on ci riescono proprio. È più forte di loro. Prima decidono di abolirne una trentina. Poi cambiano idea e le mantengono in vita. Poi tornano sui propri passi e di nuovo le aboliscono. Contemporaneamente, però, riescono ancora una volta a non eliminarle. Un pasticcio o, più verosimilmente, una scientifica operazione di maquillage istituzionale dalla quale emerge una sola ed unica certezza: le Province italiane sono immortali. C’erano ieri, ci sono oggi e ci saranno pure domani. Eterne. E chi se ne frega se gli italiani, da tempo immemorabile, ne hanno le scatole piene degli enti inutili.È andata così: il Consiglio dei ministri, come previsto, ieri ha approvato il disegno di legge costituzionale sull’abolizione delle Province. E non si è limitato a scrivere nero su bianco che le Province scompaiono e che i loro compiti passeranno alle Regioni. Troppo semplice e definitivo. Dopo un approfondito dibattito, e anche un’accesa discussione fra Giancarlo Galan e Roberto Calderoli, il Consiglio ha scritto che le Province non esistono più e che al loro posto nascono le cosiddette “aree vaste” o “città metropolitane” o “supercomuni” o “miniregioni”. In pratica, ha scritto che le Province cambieranno nome. Geniale. Una volta concluso il tortuoso iter di approvazione del disegno di legge, gli italiani finalmente non dovranno più dire: «Basta, aboliamo le Province, sono enti inutili». Dovranno dire: «Basta, aboliamo le aree vaste». Se vogliono, potranno anche aggiungere che si tratta di enti inutili.
Ve la spieghiamo meglio, altrimenti penserete che i pazzi siamo noi. Il disegno di legge ha un titolo: «Soppressione di enti intermedi». Di buon auspicio. Dopo il titolo, però, ci sono gli articoli. Per la precisione, tre articoli. Il primo stabilisce che la parola Provincia dovrà essere soppressa, ovunque ricorra, dalla Costituzione. Giusto: trattandosi ormai di una parola indecente, è bene che scompaia. Il guaio è che il secondo articolo afferma: «spetta alla legge regionale istituire sull’intero territorio regionale forme associative fra i Comuni per l’esercizio delle funzioni di governo di area vasta, nonché definirne gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale». Se le parole hanno un senso, e ce l’hanno, anche se compaiono in astrusi disegni di legge, vuol dire che i nuovi soggetti intermedi, quelli che saranno al centro fra i Municipi e le Regioni, avranno specifiche funzioni (grosso modo quelle che erano delle Province), specifici organi (grosso modo quelli che erano delle Province) e pure un’apposita legge elettorale. Terra terra: se ieri eravamo chiamati alle urne per eleggere presidenti e consiglieri provinciali, domani saremo chiamati alle urne per eleggere presidente e consiglieri (o come diavolo vorranno chiamarli) delle aree vaste o città metropolitane. È come se avessero preso le infinite poltrone provinciali e, anzichè gettarle in una discarica, le avessero portate da un tappezziere. Compito: rifoderarle e metterle esattamente laddove stavano prima, con sopra una scritta differente. Tutto qui. Per fare questo, però, ci vorrà tempo. Comprendeteli: stiamo parlando di un cambio di insegna, mica si può fare dalla sera alla mattina.
Tempi previsti per la presa in giro: le Regioni provvederanno entro un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale alla creazione dei nuovi enti, che a loro volta diventeranno operativi quando finirà il mandato delle singole Province. Prima la legge costituzionale, poi un altro anno ancora, poi la fine del mandato. Vogliamo metterci per il 2017 o 2018? Con qualche intoppo anche il 2020. E mica finisce qui. Il disegno di legge (quando si dice le cose fatte per bene) stabilisce che dalla soppressione delle Province dovrà “derivare in ogni Regione una riduzione dei costi di organi politici e amministrativi”. Nient’altro. Non c’è neppure scritto: riduzione significativa. Possiamo presumere che, se le Regioni risparmieranno cinquanta centesimi, l’obiettivo sarà raggiunto. In ogni caso, le province autonome di Trento e Bolzano sopravviveranno. E lo Stato, come prevede il ddl, dovrà “razionalizzare con una legge la presenza dei propri organi periferici”. Significa che le Province rimarranno al loro posto, ma le Prefetture probabilmente scompariranno. È già una cosa.
Dimenticavamo di aggiungere: ieri pomeriggio Roberto Calderoli si è mostrato molto soddisfatto per le decisioni del Consiglio dei ministri e parlando dei nuovi enti ha usato il termine di “Province regionali”. Almeno lui ha avuto il coraggio di parlare chiaramente. P.S. I presidenti delle Province, anche ieri, hanno protestato per l’abolizione delle loro amate creature. Fanno finta di non aver capito. Lo abbiamo detto: operazione maquillage. Che a volte comporta l’uso di una maschera. Di bronzo.
di Mattias Mainiero
Nessun commento:
Posta un commento