L'ex militante dei Pac torna a predicare e fa una (finta) autocritica: "Chiedo perdono ma non sono pentito". E sul delitto Torregiani: "Ho pianto e provato compassione"
Che Guevara, Marx e Lenin campeggiano sulle pareti di un salotto brasiliano. Un poster recita "Forza Palestina" e un manifesto raffigura "Il quarto stato". E' il set dell'ultimo show di Cesare Battisti. Le lacrime di coccodrillo stentano a cadere sulle guance. Al centro della stanza, seduto sul divano, l'ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo, "spara" ancora, dalla casa di un amico (anche lui ex militante dei Pac) dove vive da tre mesi nel Paese che gli ha concesso asilo politico, salvandolo dalla condanna all'ergastolo per quattro omicidi. Gongola, Battisti.
Ripercorre nuovamente il passato, aggiungendo dettagli e impressioni che sanno di beffa. Indossa la stessa camicia bordeaux che indossava nel marzo del 2007 quando venne arrestato e portato in carcere a Brasilia. Anche questo è un dettaglio che fa scena. E che completa l'immagine del Battisti vittima-incolpevole-giovane-e-ingenuo. E allora si apre il sipario e via con lo spettacolo. "Quando c’è stato l’attentato a Torregiani e il figlio è rimasto ferito, ricordo che ho pianto, fin da subito, da quando ho letto la notizia su La Notte di Milano", dice Battisti all'Ansa. "Ho sempre avuto grande compassione per le vittime, vorrei che la si avesse per tutte, di una parte e dell’altra. Già all’epoca degli attentati sentivo compassione".
Poi respinge perentoriamente le accuse nei suoi confronti: "Triste e infame" definisce il fatto di essere stato accusato di quell’omicidio. Poi accenna a un pentimento, ma non è altro che la solita scena. "Alla luce di oggi, illudersi che si potessero cambiare le cose in Italia con la lotta armata è stato un errore. Non posso che fare autocritica. Quella della fine degli anni ’70 era una fase successiva ad un tentativo di colpo di stato, di attentati con bombe contro manifestazioni e sindacati, una fase in cui non c’erano più spazi politici. Chiedo perdono come responsabile politico, non come responsabile militare di una partecipazione diretta agli attentati". Ma una volta accortosi di essersi spinto troppo oltre, ecco che lo scrittore rettifica immediatamente: respingo la parola "pentimento, non mi piace, è una ipocrisia, sinonimo di delazione, è legata alla religione". Insomma, pentimento e perdono solo a parole.
Parole che hanno nuovamente colpito e suscitato la reazione di Alberto Torregiani, figlio di Pierluigi, il gioieliere ucciso dai Pac nel ’79 a Milano. "Battisti è stato mollato dagli amici e ora cambia versione. Non può voltare pagina ma solo continuare a mentire. L’unico modo che avrebbe per farlo è sottoporsi a un giudizio popolare e mostrare le prove della sua innocenza di cui parla da anni e che non si sono mai viste".
Di fare quello che dice Torregiani, Battisti non ne ha la minima intenzione. Ma la sfacciataggine, quella sì. Tanta da portargli a dichiarare con tristezza: "Mi porto dentro l’Italia del passato, quella che ancora sognava, un paese che lottava per la giustizia. Ho tanti ricordi visto che dall’Italia sono uscito non da bambino, ma da adulto. Là, c’è la mia infanzia, la mia famiglia". Battisti il buono si sente assediato dalla stampa sensazionalista che "vuole sbattere il mostro in prima pagina".
Sulle fughe fatte in diversi paesi (Francia, Messico, Brasile) si giustifica così: rischiavo di "finire per pagare con l’ergastolo in Italia delitti che non ho commesso". Martire, vittima, capro espiatorio. Battisti manda in onda sempre la stessa musica. Già qualche giorno fa aveva dichiarato inun'intervista video alla tv brasiliana Folha di non essere lui il colpevole, aveva ribadito che lui "voleva solo cambiare il mondo con le armi", che "avrebbe ucciso, se glielo avessero ordinato", che tutti ce l'hanno con lui. Ora la storia si ripete, le parole sono le stesse e l'indignazione che suscitano pure.
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