lunedì 12 marzo 2012

Quello che non si dice sugli affari delle banche Un dossier europeo rivela che i costi dei conti correnti italiani sono i più salati Ma Bankitalia sostiene l’opposto. Gli stratagemmi applicati sulle commissioni

Si tranquillizzino i lettori e i banchieri che dovessero, per caso, imbattersi in questa lettura. Voglio solo dare voce a un sentimento comune, a una percezione diffusa: gli italiani non amano le banche!

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E per dare giustificazione a questa sensazione vorrei, per una volta, superare i tanti pregiudizi che ci sono sull’argomento. Non ci domanderemo, come faceva Brecht, se è peggio rapinare una banca o fondarne una, né cadremo in facili luoghi comuni di stampo catto-comunista che, storicamente, dibattono se il lucrare sull'attività creditizia ricada nelle categorie ancestrali del bene o del male. Le banche sono delle aziende che operano in un libero mercato competitivo e, come tali, hanno - giustamente - il diritto di rendere il più profittevole possibile la propria attività.
Sgombrato un po’ il campo dall’ideologia spiccia, andiamo a vedere i dati disponibili, gli unici che non possono mentire. Un’indagine condotta nel 2009 dalla Commissione europea ha rilevato che i conti correnti italiani sono mediamente i più cari d’Europa. I dati diffusi dal commissario europeo al Mercato interno, Michel Barnier, parlano molto chiaro: un utente medio paga in Italia ben 253 euro l’anno, a fronte di una media europea di soli 111 euro annui. Anche gli altri profili di consumatore individuati sono tutti penalizzanti per i cittadini italiani che sono costretti a pagare, nel migliore dei casi, il doppio del costo medio europeo.
Ma allora il discorso è già chiuso? Hanno ragione gli italiani a non fidarsi delle banche, a ritenerle troppo care, opache e poco efficienti? L’Associazione bancaria italiana (Abi) ha subito rigettato la tesi europea, contestando i dati forniti da Bruxelles e, affidandosi ai dati forniti da Bankitalia, ha inaugurando una guerra di cifre in cui non è semplice districarsi. Nella propria annuale rilevazione sul costo dei conti correnti bancari, l’istituto di via Nazionale afferma che il reale costo sostenuto da un utente medio nel nostro Paese, nel 2010, è di soli 110 euro annui, quindi al di sotto anche della contestata media europea.
Chi ha ragione? Come si giustificano risultati così differenti? Entrambe le rilevazioni sono metodologicamente corrette, solo si basano su parametri diversi. Quel che è certo che se vogliamo un raffronto internazionale, l’indagine di Banca d’Italia si rivela deficitaria, rimane quindi l’evidenza che nel contesto europeo le imprese e le famiglie italiane sono costrette a pagare un balzello spropositato, peraltro, non solo per il costo. Altre indagini condotte dalla Commissione europea negli ultimi anni dimostrano, infatti, come la soddisfazione per la qualità dei servizi bancari in Italia sia bassissima e come l’analisi dei livelli di trasparenza dell’offerta e la facilità di trasferimento da un fornitore a un altro ci releghino nel fondo delle classifiche europee. A tal proposito, nel marzo del 2011, dopo numerose segnalazioni dei consumatori e alla luce di un assetto del sistema bancario profondamente modificato in chiave concorrenziale, l’Antitrust ha avviato un’indagine conoscitiva sui costi del sistema creditizio nel nostro Paese. A breve, forse, potremo avere qualche elemento in più per valutare la situazione.
Più di recente, l’argomento dei costi bancari è talmente sensibile nell’opinione pubblica italiana che i tentativi di intervenire sull’abbattimento dei costi - peraltro falliti - attraverso emendamenti al decreto legge Monti sulle liberalizzazioni passato al Senato, hanno scatenato un acceso dibattito pubblico. In particolare, per quanto attiene al definitivo annullamento della clausola di massimo scoperto (cms), e di tutte le sue «filiazioni». Ricordiamo, al riguardo, che il legislatore è intervenuto a più riprese per disciplinare la fattispecie. Il decreto legge «anticrisi» di novembre 2008 escluse l’applicazione della cms a fronte di utilizzi in assenza di fido e la ammise solo sui conti con fido, a condizione che il relativo saldo fosse a debito per un periodo continuativo superiore a trenta giorni. Il successivo decreto legge «anticrisi» del luglio 2009 intervenne nuovamente fissando un tetto massimo (0,5 per cento per trimestre) al corrispettivo per la messa a disposizione dei fondi.
Anche in questo caso l’atteggiamento degli istituti di credito si è dimostrato quantomeno poco trasparente e penalizzante nei confronti dei consumatori italiani. L’Antitrust per prima, già nel 2009, intervenne sull’argomento inviando una segnalazione a Governo, Parlamento e Banca d’Italia in cui denunciò che le nuove commissioni bancarie, introdotte in sostituzione della cms, si stavano rilevando più costose per i consumatori. Anche altre voci autorevoli confermarono questa situazione. Il futuro presidente della Bce, Mario Draghi, nel 2008 parlò apertamente di un «istituto poco difendibile».

Una successiva indagine condotta proprio da Banca d'Italia, confermò, seppur parzialmente, i risultati dell’Autorità. A seguito degli interventi legislativi, le banche effettivamente adeguarono le condizioni contrattuali e modificarono la struttura delle commissioni, ma la cms sui conti non affidati - abolita per legge - venne sostituita con altre forme di remunerazione, quali la maggiorazione del tasso debitore e l’introduzione di commissioni di varia natura (commissioni fisse per periodo, proporzionali al numero di operazioni, ai giorni di utilizzo o all'importo). Quel che ne è derivato è che l’applicazione degli oneri sostitutivi della cms non è stata sempre in linea con la ratio dell’intervento legislativo. In particolare, la spesa complessiva generata da tali commissioni è risultata, in alcuni casi, superiore a quella sostenuta dalla clientela prima dell'intervento.
Fin qui una mera descrizione, parziale, della realtà, che giustifica ampiamente il disamore degli italiani nei confronti delle banche e dei loro comportamenti leonini. Ma, di converso, le banche sono parte integrante della vita delle famiglie italiane, nonché del tessuto produttivo del nostro Paese. Delle banche abbiamo bisogno, soprattutto nei momenti di crisi e nelle fasi di grande cambiamento tecnologico e organizzativo delle imprese. Più efficienza, più trasparenza, stare di più dalla parte dei clienti dovrebbero essere i «must» di ogni buon sistema creditizio per evitare continue invasioni di campo da parte del legislatore. E allora, perché i signori delle banche non si danno una «mossa», per guadagnarsi la fiducia di famiglie e imprese italiane? Ne va della loro stessa credibilità di imprese in un’economia di mercato. Se così non sarà, la voglia di nuove invasioni di campo aumenterà, fino magari alla soluzione finale: la loro pubblicizzazione. Speriamo prevalga il buon senso.

di

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