lunedì 11 marzo 2013

Ucciso dal menefreghismo dello Stato


La Farnesina assente, i servizi altrove, mobilitazioni nessuna. Così l'isolamento è stato fatale a Trevisan



Ora è tutto tragicamente confermato. Silvano Trevisan, l'ingegnere italiano di 69 anni, rapito tre settimane fa nel nord della Nigeria, è stato ammazzato.
Assieme a lui sono stati trucidati i sei colleghi, tra cui uno inglese, uno greco e quattro libanesi, con cui era stato prelevato dal cantiere di Bauchi nel nord della Nigeria. Ci si chiede cos'abbia spinto i terroristi di Ansaru ad un eccidio così inutile ed insensato. Ma la ferocia o l'efferatezza degli assassini non può stupire. I terroristi islamici ci hanno abituati ad ogni genere di orrori. Sono la banalità del male. Quel che stupisce stavolta è il cinismo del bene. Il disinteresse con cui governo ed istituzioni hanno o, meglio, non hanno seguito, l'evolversi della tragedia. Il povero Trevisan è stato abbandonato al proprio destino. Per quale motivo? Perché lavorava all'estero? Perché non rientrava in Italia da dieci anni? Perché non aveva familiari e amici pronti a mobilitarsi per lui? Il motivo non lo si sa, ma di certo per lui non si è mosso un dito. Gran Bretagna e Grecia non hanno fatto di meglio. I fatti delle ultime 48 ore dimostrano un'inspiegabile e dolorosa indifferenza collettiva. La rivendicazione della strage e il fotogramma dei sette corpi crivellati girano su internet da sabato, ma Roma, Atene Londra e le autorità nigeriane devono attendere fino a ieri per confermarne l'autenticità. Per metterli in grado di farlo gli assassini devono, crudeltà loro, postare su Youtube un filmato supplementare con i dettagli dei volti e dei corpi crivellati. Solo dopo quel tempestivo aiutino i nostri diplomatici informano la signora Mirca Bellini, ex moglie di Trevisan, e la figlia Eria che l'ingegnere non tornerà più. Fino a quel momento la famiglia è rimasta in balia di supposizioni ed eventi. «Non abbiamo notizie ufficiali, sappiamo quello che sentiamo dalla tv» confermava sabato un nipote di Trevisan. La Farnesina anche stavolta racconterà di aver mantenuto il silenzio per agevolare la trattative.
Ma molto più probabilmente in questo triste affare né la Farnesina né i nostri servizi hanno mai saputo molto di più. Né nelle settimane passate, né nelle ultime 48 ore. Ed infatti nessuno sa neppure dove andare a recuperare i cadaveri. Le nostre autorità attendono anche per questo un aiutino degli assassini. Come dire che dal 17 febbraio ad oggi né la diplomazia, né i servizi segreti hanno trovato uno straccio d'intermediario con cui trattare la salvezza di Trevisan. Di fronte a tanto disinteresse fa impressione ascoltare le parole appassionate con cui il presidente Napolitano ricorda che l'ingegnere «onorava la migliore tradizione del lavoro italiano all'estero». Forse sarebbe stato meglio ricordarsene prima, sussurrarlo ad una diplomazia e ad una intelligence che se non dormivano sicuramente latitavano. L'iperbole dell'improntitudine arriva però dalla Farnesina: «In questi momenti - fanno sapere i Terzi boys - ci teniamo in costante contatto e ci stringiamo con grande solidarietà ed affetto attorno alla famiglia del nostro valoroso connazionale Silvano Trevisan». Un connazionale, per cui non hanno mosso un dito. Nella galleria dell'ipocrisia nazionale Mario Monti non sfigura. Tempestivo come sempre spiega che il governo «s'impegna fin da ora a condurre ogni sforzo affinché i responsabili di questo crimine atroce vengano al più presto assicurati alla giustizia...». Quel «fin da ora» davanti ad un sequestrato già morto non si sa se suoni più comico o più sgradevole. Non c'è da sorprendersi. Quando un anno fa, in Nigeria, un gruppo di terroristi della stessa risma trucidò Franco Lamolinara Monti lo apprese al telefono da un ministero della difesa inglese che non l'aveva neppure informato dell'avvio del blitz costato la vita all'ostaggio. Fin da allora, più che da ora, l'assenza di servizi e diplomazia sul quadrante nigeriano è tristemente chiara.

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