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martedì 1 febbraio 2022
domenica 15 febbraio 2015
sabato 22 marzo 2014
Anticipazioni di Giass Luca e Paolo imitano i marò e sul web si scatena la polemica
Un botta e risposta di fuoco. Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu
sono al centro delle polemiche degli utenti di twitter per alcune foto
che hanno pubblicato sui loro profili. Mentre stavano facendo le prove
del loro nuovo programma Giass, i due comici hanno pubblicato alcune anticipazioni della prossima puntata - come avevano fatto anche per l'imitazione di Laura Boldrini. Questa volta Luca e Paolo imiteranno i nostri due marò detenuti in India, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone,
e nelle foto i due comici compaiono in divisa. Per chi avesse ancora
dubbi, le fotografie sono accompagnate dalla frase "...nel frattempo, a
Nuova Delhi...".
Le polemiche - Gli scatti pubblicati dal duo comico sui social hanno subito scatenato l'ira sul web. Tra le numerose risposte si legge anche: "Dovete solo vergognarvi". A questo tweet Luca Bizzarri ha risposto chiedendo di cosa si dovesse vergognare e un utente ha risposto "A prendere in giro due uomini che rischiano la vita e non vedono da mesi le proprie famiglie. Penso ci sia poco da ridere".
fonte
Le polemiche - Gli scatti pubblicati dal duo comico sui social hanno subito scatenato l'ira sul web. Tra le numerose risposte si legge anche: "Dovete solo vergognarvi". A questo tweet Luca Bizzarri ha risposto chiedendo di cosa si dovesse vergognare e un utente ha risposto "A prendere in giro due uomini che rischiano la vita e non vedono da mesi le proprie famiglie. Penso ci sia poco da ridere".
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venerdì 17 gennaio 2014
Boicottate la festa ai carcerieri dei marò
Suonare
per i secondini dei marò dedicando il concerto dell'orchestra sinfonica
di Milano "all'India in occasione della Festa Nazionale" fa venire il
voltastomaco
Suonare
per i secondini dei marò dedicando il concerto dell'orchestra sinfonica
di Milano "all'India in occasione della Festa Nazionale" fa venire il
voltastomaco
Fausto Biloslavo
- Ven, 17/01/2014 - 08:27
I
marò sono ingiustamente trattenuti in India da quasi due anni ed in
Italia, invece che far quadrato, almeno simbolicamente attorno ai
fucilieri di Marina, ci mettiamo a strimpellare per gli indiani.
La musica è cultura, libera da condizionamenti, ma suonare
per i secondini dei marò dedicando il concerto dell'orchestra sinfonica
di Milano, Giuseppe Verdi, «all'India in occasione della Festa
Nazionale», fa venire il voltastomaco. Per non parlare dell'invito
all'auditorium di Milano del 26 gennaio, sovrastato dalla bandiera
indiana, annunciato dal console di un Paese che trattiene i marò da
troppo tempo. Verdi, compositore del Va' pensiero, si rivolta nella
tomba, ma gli orchestrali devono pure sbarcare il lunario in tempi di
vacche magre. Una buona idea sarebbe suonare oltre a Mahler l'inno del
reggimento San Marco, che è lo stesso della Marina militare. Giusto per
ricordare agli indiani un minimo di dignità nazionale. Oppure, per chi
ci crede, appuntarsi al bavero il fiocco giallo di solidarietà dei marò,
che campeggia sulla testata de il Giornale. L'esempio potrebbe darlo il
presidente della Fondazione che sostiene l'orchestra Verdi, l'ex
europarlamentare Pci, Giovani Cervetti famoso per «L'oro di Mosca». Ai
tempi del crollo del muro di Berlino fu anche ministro ombra della
Difesa dei comunisti. Sarebbe bello un fiocco giallo pure per gli ospiti
che proprio vogliono andare al ricevimento, a Milano o Roma, per la
65ima festa della Repubblica indiana. Altrimenti faremo la figura della
solita Italietta.
domenica 12 gennaio 2014
Caro Monti, li ha sulla coscienza
I professori sono responsabili della sorte dei nostri marò ma se ne lavano le mani. Ora si muove l'Ue ma non l'Italia
I professori sono responsabili della sorte dei nostri marò ma se ne lavano le mani. Ora si muove l'Ue ma non l'Italia
Vittorio Feltri
- Dom, 12/01/2014 - 07:47
Il
collega Riccardo Pelliccetti già ieri ha commentato in modo impeccabile
la storia dei marò sequestrati dagli indiani e che ora rischiano (sul
serio) di essere condannati a morte.
A me non rimane che aggiungere qualche considerazione sulla
conclamata stupidità delle nostre istituzioni, buone a nulla ma capaci
di compiere impunemente qualsiasi nefandezza.
Quando
spararono ad alcuni pirati (o pescatori: il loro mestiere è
un'opinione), i due militari non erano in crociera, ma in servizio, cioè
comandati di proteggere con le armi una nave italiana. La sparatoria
non avvenne in acque indiane, bensì internazionali, dove le autorità col
turbante non avevano e non hanno alcuna giurisdizione. Ciononostante,
il comandante della nostra imbarcazione ubbidì a un ordine straniero
illegittimo: attraccare in India e consegnare i cecchini alla polizia
locale. E questa è la prima assurdità, che non ha mai avuto una
spiegazione logica. Amen.
I marò, manco a dirlo, furono immediatamente fermati e sottoposti a indagini. Lo scopo era chiaro: processarli e condannarli. Perché? L'India è un Paese come tutti gli altri: quando si tratta di andare a votare, i candidati cercano di dimostrare di essere dei duri e di meritare il voto dei bischeri che si recano alle urne.
Il nostro ministero degli Esteri ne era consapevole, ma, non sapendo come gestire la grana, finse di fidarsi degli indiani. I quali fecero appunto gli indiani. Trattennero i militari e buona notte. Quando ormai tutto sembrava compromesso, gli stessi indiani si resero conto di averla fatta grossa e concessero ai marò di rientrare in patria per le feste: licenze premio. Paradossale.
Ma andiamo avanti nel racconto surreale. I soldati, a vacanza conclusa, si riconsegnarono ai loro aguzzini, perché i patti sono patti. E ricominciò il tormentone: che ne sarà di loro? Il nostro governo se ne sbatté totalmente. Non intervenne, non fece pressioni, non brigò.
Trascorse qualche tempo, e i soliti indiani del menga, verificato che gli italiani (i governanti) sono tonti, non esitarono a concedere ai marò la seconda licenza in occasione di altre feste religiose. I quali marò, pertanto, si fecero 15 giorni a casa loro, tra familiari, amici e parenti. A questo punto, l'unico ministro intelligente del nostro governo di professori (premier Mario Monti) e bidelli, Giulio Terzi di Sant'Agata, responsabile della Farnesina, fu folgorato da un'idea: tratteniamo in Italia i due soldati e che gli indiani vadano all'inferno.
La sua proposta venne accolta con entusiasmo a Palazzo Chigi, tant'è che il suddetto Monti, giulivo, si fece fotografare accanto ai militari «graziati» da Terzi per sottolineare la felice conclusione della vicenda dovuta al proprio illuminato esecutivo. Ma eravamo su Scherzi a parte. Alcuni giorni dopo, infatti, lo stesso Monti dichiarò che i marò sarebbero stati rispediti in India per essere massacrati. Però, che bella trovata! I soldati piegarono la testa (mannaggia a loro) e dissero signorsì. Roba da matti, da ubriachi, da fessi.
Non è finita. Giulio Terzi di Sant'Agata (Dio mio che cognome complicato) fu pubblicamente deplorato: come si permette questo qui di risolvere un problema? Puniamolo. Come? Costringiamolo a dimettersi dal governo. Sembrava una barzelletta, invece era la realtà. Infatti Terzi fu reintegrato nel ruolo di ambasciatore, cioè declassato: non sei degno di essere ministro. Castigato anziché premiato. Roba da chiodi.
Adesso si scopre ciò che era ovvio: i militari espulsi dall'Italia e ricacciati in India sono in procinto di essere bastonati in base a una legge che contempla la pena capitale. Ma vi rendete conto, cari lettori, di quanto siamo idioti? Prendiamo due soldati, ordiniamo loro di difendere una nostra nave, costoro eseguono il mandato e sparano in acque internazionali. Quindi dovrebbero risponderne al loro Paese. Il quale viceversa li impacchetta e li «recapita» illecitamente ai pazzi indiani (in campagna elettorale e assetati di sangue) e se ne lava le mani, dopo averli illusi che sarebbero rimasti qui da noi per venire giudicati, eventualmente, dalla magistratura italiana.
Una domanda a Monti, contro il quale non abbiamo nulla di personale: scusi, professore, perché ha combinato 'sto casino? Prima si è dichiarato d'accordo con Terzi per trattenere i marò, poi ha cambiato opinione e li ha rispediti in India. Poniamo il caso che i due povericristi siano giustiziati, lei che fa? Va in chiesa a confessarsi o si butta dal sesto piano per fare pari e patta? Ci comunichi le sue intenzioni. Noi siamo fuori dalla grazia di Dio. Vogliamo giustizia.
fonte
I due marò italiani prigionieri in India dal febbraio 2012
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I marò, manco a dirlo, furono immediatamente fermati e sottoposti a indagini. Lo scopo era chiaro: processarli e condannarli. Perché? L'India è un Paese come tutti gli altri: quando si tratta di andare a votare, i candidati cercano di dimostrare di essere dei duri e di meritare il voto dei bischeri che si recano alle urne.
Il nostro ministero degli Esteri ne era consapevole, ma, non sapendo come gestire la grana, finse di fidarsi degli indiani. I quali fecero appunto gli indiani. Trattennero i militari e buona notte. Quando ormai tutto sembrava compromesso, gli stessi indiani si resero conto di averla fatta grossa e concessero ai marò di rientrare in patria per le feste: licenze premio. Paradossale.
Ma andiamo avanti nel racconto surreale. I soldati, a vacanza conclusa, si riconsegnarono ai loro aguzzini, perché i patti sono patti. E ricominciò il tormentone: che ne sarà di loro? Il nostro governo se ne sbatté totalmente. Non intervenne, non fece pressioni, non brigò.
Trascorse qualche tempo, e i soliti indiani del menga, verificato che gli italiani (i governanti) sono tonti, non esitarono a concedere ai marò la seconda licenza in occasione di altre feste religiose. I quali marò, pertanto, si fecero 15 giorni a casa loro, tra familiari, amici e parenti. A questo punto, l'unico ministro intelligente del nostro governo di professori (premier Mario Monti) e bidelli, Giulio Terzi di Sant'Agata, responsabile della Farnesina, fu folgorato da un'idea: tratteniamo in Italia i due soldati e che gli indiani vadano all'inferno.
La sua proposta venne accolta con entusiasmo a Palazzo Chigi, tant'è che il suddetto Monti, giulivo, si fece fotografare accanto ai militari «graziati» da Terzi per sottolineare la felice conclusione della vicenda dovuta al proprio illuminato esecutivo. Ma eravamo su Scherzi a parte. Alcuni giorni dopo, infatti, lo stesso Monti dichiarò che i marò sarebbero stati rispediti in India per essere massacrati. Però, che bella trovata! I soldati piegarono la testa (mannaggia a loro) e dissero signorsì. Roba da matti, da ubriachi, da fessi.
Non è finita. Giulio Terzi di Sant'Agata (Dio mio che cognome complicato) fu pubblicamente deplorato: come si permette questo qui di risolvere un problema? Puniamolo. Come? Costringiamolo a dimettersi dal governo. Sembrava una barzelletta, invece era la realtà. Infatti Terzi fu reintegrato nel ruolo di ambasciatore, cioè declassato: non sei degno di essere ministro. Castigato anziché premiato. Roba da chiodi.
Adesso si scopre ciò che era ovvio: i militari espulsi dall'Italia e ricacciati in India sono in procinto di essere bastonati in base a una legge che contempla la pena capitale. Ma vi rendete conto, cari lettori, di quanto siamo idioti? Prendiamo due soldati, ordiniamo loro di difendere una nostra nave, costoro eseguono il mandato e sparano in acque internazionali. Quindi dovrebbero risponderne al loro Paese. Il quale viceversa li impacchetta e li «recapita» illecitamente ai pazzi indiani (in campagna elettorale e assetati di sangue) e se ne lava le mani, dopo averli illusi che sarebbero rimasti qui da noi per venire giudicati, eventualmente, dalla magistratura italiana.
Una domanda a Monti, contro il quale non abbiamo nulla di personale: scusi, professore, perché ha combinato 'sto casino? Prima si è dichiarato d'accordo con Terzi per trattenere i marò, poi ha cambiato opinione e li ha rispediti in India. Poniamo il caso che i due povericristi siano giustiziati, lei che fa? Va in chiesa a confessarsi o si butta dal sesto piano per fare pari e patta? Ci comunichi le sue intenzioni. Noi siamo fuori dalla grazia di Dio. Vogliamo giustizia.
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lunedì 4 novembre 2013
giovedì 21 marzo 2013
L'ultima vergogna di Monti: i marò tornano in India
RETROMARCE E PROMESSE MANCATE
L'ultima vergogna di Monti:
i marò tornano in India
"Tanto non li ammazzano"
Prima del voto li ha usati per ottenere consenso. Ora il quasi ex premier li molla: "Abbiamo ampie rassicurazioni da Nuova Delhi"
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domenica 20 gennaio 2013
"Grazie giudici, li arrestiamo noi". Così l'Italia ha difeso (male) i marò
Dalle motivazioni del verdetto emerge la linea morbida del nostro governo e una lettera ossequiosa alle autorità indiane che 5 giorni dopo sbatteranno dentro i soldati
Dalle motivazioni del verdetto emerge la linea morbida del nostro governo e una lettera ossequiosa alle autorità indiane che 5 giorni dopo sbatteranno dentro i soldati
Fausto Biloslavo - Dom, 20/01/2013 - 08:46
La Corte suprema indiana ammette che nel tratto di mare dove i marò hanno sparato c'erano stati attacchi dei pirati e il peschereccio delle presunte vittime dei fucilieri di marina non poteva navigare in quella zona non essendo regolarmente registrato. Lo riporta, nero su bianco, l'ordinanza di venerdì sul caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Oltre cento pagine firmate dai giudici Altamas Kabir, presidente della Corte suprema, e J. Chelameswar, che svelano diverse «chicche» dell'imbarazzante vicenda.
Il lungo testo dell'ordinanza della Corte suprema, in possesso del Giornale, si apre con l'ammissione che la zona dell'incidente è a rischio bucanieri. «Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un acuto incremento degli atti di pirateria in alto mare al largo della Somalia - scrivono i giudici - e anche nelle vicinanze delle isole Minicoy che formano l'arcipelago di Lakshadweep». Territorio indiano di fronte alla costa sud occidentale dove si trova lo stato del Kerala, che per quasi un anno ha illegalmente trattenuto i marò, secondo la Corte suprema di Delhi.
Al punto 29 dell'ordinanza si scopre che il peschereccio St. Anthony, di circa 12 metri, scambiato dai marò per un vascello pirata, risulta registrato solo nel Tamil Nadu, un altro stato indiano. Però «non era registrato secondo l'Indian Merchant Shipping Act del 1958 (la normativa che regola la navigazione mercantile ndr) e non sventolava la bandiera dell'India al momento dell'incidente». L'importante requisito del rispetto della normativa del 1958 avrebbe permesso al peschereccio di navigare «al di là delle acque territoriali dello stato del'Unione (il Tamil Nadu ndr) dove l'imbarcazione era registrata». Questo significa che il 15 febbraio il St. Anthony non poteva far rotta nel tratto di mare dove ha incrociato i marò imbarcati sul mercantile italiano Enrica Lexie.
Al punto 6 dell'ordinanza viene sottolineata l'apertura dell'inchiesta della procura di Roma contro Girone e Latorre e la pena prevista: «Per il crimine di omicidio è di 21 anni almeno di reclusione». Forse ai marò conviene rimanere in India.
L'ordinanza cita ripetutamente l'avvocato Harish N. Salve, che si batte per la giurisdizione. «La Repubblica italiana ha un diritto di prelazione nel processare» i marò. Il legale chiama in causa due convenzioni internazionali, il Maritime Zones Act e l'Unclos, ambedue riconosciuti dall'India. L'articolo 27 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) sancirebbe che l'India non può processare i marò e tantomeno arrestarli per «un reato commesso a bordo di una nave straniera in transito». L'articolo 97 specifica che può procedere solo «il paese di bandiera della nave o lo stato di nazionalità delle persone coinvolte». Un altro cavallo di battaglia dell'avvocato Salve è l'articolo 100 dell'Unclos che invita «tutti i Paesi a cooperare nella massima misura alla repressione della pirateria al di là della giurisdizione dei singoli Stati».
Una chicca riportata nell'ordinanza è la nota verbale 95/553 dell'ambasciata italiana inviata il 29 febbraio scorso al ministero degli Esteri indiano. Undici giorni prima, Girone e Latorre erano stati prelevati dalla polizia a bordo del mercantile Lexie fatto rientrare con un tranello nel porto di Kochi. I nostri diplomatici ribadiscono la giurisdizione italiana e l'immunità dei fucilieri di marina, ma «accolgono con favore le misure prese dal chief Judical Magistrate di Kollam per la protezione della vita e dell'onore dei militari della marina italiana». Peccato che cinque giorni dopo Girone e Latorre sono stati prelevati dalla guest house della polizia che li "ospitava" agli arresti e sbattuti in galera.
www.faustobiloslavo.eu
Il lungo testo dell'ordinanza della Corte suprema, in possesso del Giornale, si apre con l'ammissione che la zona dell'incidente è a rischio bucanieri. «Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un acuto incremento degli atti di pirateria in alto mare al largo della Somalia - scrivono i giudici - e anche nelle vicinanze delle isole Minicoy che formano l'arcipelago di Lakshadweep». Territorio indiano di fronte alla costa sud occidentale dove si trova lo stato del Kerala, che per quasi un anno ha illegalmente trattenuto i marò, secondo la Corte suprema di Delhi.
Al punto 29 dell'ordinanza si scopre che il peschereccio St. Anthony, di circa 12 metri, scambiato dai marò per un vascello pirata, risulta registrato solo nel Tamil Nadu, un altro stato indiano. Però «non era registrato secondo l'Indian Merchant Shipping Act del 1958 (la normativa che regola la navigazione mercantile ndr) e non sventolava la bandiera dell'India al momento dell'incidente». L'importante requisito del rispetto della normativa del 1958 avrebbe permesso al peschereccio di navigare «al di là delle acque territoriali dello stato del'Unione (il Tamil Nadu ndr) dove l'imbarcazione era registrata». Questo significa che il 15 febbraio il St. Anthony non poteva far rotta nel tratto di mare dove ha incrociato i marò imbarcati sul mercantile italiano Enrica Lexie.
Al punto 6 dell'ordinanza viene sottolineata l'apertura dell'inchiesta della procura di Roma contro Girone e Latorre e la pena prevista: «Per il crimine di omicidio è di 21 anni almeno di reclusione». Forse ai marò conviene rimanere in India.
L'ordinanza cita ripetutamente l'avvocato Harish N. Salve, che si batte per la giurisdizione. «La Repubblica italiana ha un diritto di prelazione nel processare» i marò. Il legale chiama in causa due convenzioni internazionali, il Maritime Zones Act e l'Unclos, ambedue riconosciuti dall'India. L'articolo 27 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) sancirebbe che l'India non può processare i marò e tantomeno arrestarli per «un reato commesso a bordo di una nave straniera in transito». L'articolo 97 specifica che può procedere solo «il paese di bandiera della nave o lo stato di nazionalità delle persone coinvolte». Un altro cavallo di battaglia dell'avvocato Salve è l'articolo 100 dell'Unclos che invita «tutti i Paesi a cooperare nella massima misura alla repressione della pirateria al di là della giurisdizione dei singoli Stati».
Una chicca riportata nell'ordinanza è la nota verbale 95/553 dell'ambasciata italiana inviata il 29 febbraio scorso al ministero degli Esteri indiano. Undici giorni prima, Girone e Latorre erano stati prelevati dalla polizia a bordo del mercantile Lexie fatto rientrare con un tranello nel porto di Kochi. I nostri diplomatici ribadiscono la giurisdizione italiana e l'immunità dei fucilieri di marina, ma «accolgono con favore le misure prese dal chief Judical Magistrate di Kollam per la protezione della vita e dell'onore dei militari della marina italiana». Peccato che cinque giorni dopo Girone e Latorre sono stati prelevati dalla guest house della polizia che li "ospitava" agli arresti e sbattuti in galera.
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I marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre
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giovedì 13 dicembre 2012
L'India arresta i marò e noi la premiamo
Continuiamo le missioni insieme. E in Libano il generale Serra ha perfino dato una medaglia a un ufficiale sikh
Continuiamo le missioni insieme. E in Libano il generale Serra ha perfino dato una medaglia a un ufficiale sikh
Fausto Biloslavo - Gio, 13/12/2012 - 08:47
Ancora 48 ore per sperare che Salvatore Girone e Massimiliano Latorre tornino a casa a Natale, se la Corte suprema indiana decidesse una volta per tutte il loro destino. Il giudice, Altamas Kabir, ha tempo oggi e domani per emettere la sentenza. Da lunedì la massima assise indiana va in ferie. Non a caso il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, volerà a Kochi domenica, dopo essere stato in Afghanistan. Tutti sognano che riporti a casa i marò, ma è ben più probabile che dovrà rincuorare i due fucilieri di marina in vista di un bel Natale in India. Per il governo era la linea del Piave di una strategia ultra morbida, che per ora non ha dato frutti. Talmente soft che, come ha scoperto il Giornale, a nessuno è venuto in mente almeno di congelare i rapporti con funzionari e militari indiani, soprattutto nelle missioni all'estero. Su uno dei fronti più importanti, il generale Paolo Serra, comandante della missione Onu in Libano, ha appuntato medaglie al petto dei soldati di Delhi e continuato a lavorare spalla a spalla con importanti funzionari di origine indiana, nonostante dieci mesi di ingiustizie subite dai marò. Non è colpa di Serra, un buon ufficiale, ma del governo Monti, che non ha osato mandare un segnale forte e chiaro all'India.
Si potevano almeno «raffreddare» i rapporti con gli indiani sul campo. Invece tutto è andato avanti come sempre. Il Giornale pubblica le fotografie che lo dimostrano. Il 9 dicembre, il vicesegretario generale delle Nazioni unite, Jan Eliasson, arriva nel sud del Libano per una visita ufficiale. Il generale Serra viene immortalato davanti alle bandiere dei contingenti impegnati nella terra dei cedri, con l'illustre visitatore e la sua delegazione, tutti sorridenti. All'estrema destra, in completo grigio, baffi, capelli color argento e carnagione olivastra si nota Mr. Sinha Ghirish. Dal sud del Libano confermano che si tratta del Director Mission Support, ovvero un alto funzionario civile dell'Onu di origine indiana. Non uno qualunque, ma il responsabile di tutta la logistica di Unifil a Naqoura nello staff del quartier generale sotto comando italiano.
Ieri il generale Serra non aveva tempo per rispondere al Giornale. Il portavoce civile della missione, Andrea Tenenti, si è limitato a precisare che «il Comandante è nominato dal Segretario generale dell'Onu. In quanto tale è al comando dei circa 12mila peacekeeper provenienti da 37 paesi. Tutti i paesi che partecipano alla missione Unifil non hanno agenda nazionale ma operano sotto la bandiera delle Nazioni unite». In pratica facciamo finta di niente se gli indiani hanno catturato Girone e Latorre, perché Serra porta il basco blu. Bisogna rimanere spalla a spalla con funzionari di origine indiana e soprattutto con i 7-800 soldati del battaglione di Delhi. A tal punto che altre fotografie immortalano il generale Serra mentre appunta una medaglia dell'Unifil sul petto di un barbuto ufficiale Sikh, con tanto di turbante blu, nella base dell'Indbatt nel Libano meridionale. La notizia è stata pubblicata su una rivista dedicata al personale dell'esercito indiano la prima settimana di maggio. Da Naqoura ben due portavoce non hanno risposto sulla data esatta della cerimonia. Serra ha assunto il comando il 28 gennaio, l'incidente dei marò è capitato il 15 febbraio ed in maggio, quando è uscita la notizia, Latorre e Girone erano in galera nel Kerala.
Nelle foto che accompagnano la cerimonia militare il comandante italiano è accompagnato dall'ambasciatore di New Delhi in Libano, Ravi Thapar e dall'onnipresente Girish Sinha, con il generale anche nella foto del 9 dicembre. Nel discorso ufficiale Serra «ha apprezzato il lavoro umanitario del battaglione» indiano.
domenica 4 novembre 2012
domenica 21 ottobre 2012
Cara Ferrari, riporta a casa i marò
Per esprimere solidarietà ai due militari chiediamo alle rosse "vestire" i fiocchi gialli al Gp d'India che si correrà il 28 ottobre: SCRIVI UNA MAIL ALLA FERRARI
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