L
’episodio è di poco più di un anno fa, un’epoca in cui ancora il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, non si era accorta che il governo di Silvio Berlusconi non governava. Era il 26 marzo 2010, ora di cena. Alle 20,30 riunione straordinaria del consiglio di amministrazione della Marcegaglia spa. Il presidente della società, Steno Marcegaglia, chiede di rinviare l’approvazione del bilancio 2009 del gruppo anche dopo il 30 giugno, e cioè oltre i sei mesi previsti dalla chiusura dell’esercizio sociale. Un fatto straordinario. Che era accaduto? Una guerra? Un improvviso cambio di proprietà? Un satellite impazzito che stava per cadere su Gazoldo degli Ippoliti? Macchè. Assai più banale: c’era semplicemente l’occasione in extremis di prendere un po’ di soldi pubblici dal governo e riuscire così a pagare meno tasse.E infatti papà Marcegaglia spiega: «In considerazione delle misure in materia di agevolazioni agli investimenti produttivi delle imprese, introdotte con decreto legge n.78 del 1° luglio 2009 convertito con modificazioni dalla legge del 3 agosto 2009, n. 102 (in particolare per quanto riguarda la cosiddetta Tremonti ter) riterrebbe quanto mai opportuno procedere alla convocazione dell’assemblea dei soci (…) nel termine più ampio di 180 giorni dalla data di chiusura dell’esercizio…». E in effetti il bilancio della Marcegaglia viene riscritto grazie alla Tremonti ter abbattendo l’imponibile di circa 9 milioni di euro e riducendo le tasse di circa 2,5 milioni di euro. Un discreto regalino, anche se relativo in un’impresa che aveva 2,1 miliardi di fatturato con un utile netto finale di 28,5 milioni di euro.
L’episodio però illustra bene la vera vocazione degli imprenditori italiani, perfino in casa del presidente della Confindustria: attaccarsi alla mammella dello Stato in attesa ogni volta di una nuova poppata da tirare. Non avendo ancora depositato alla Camera di commercio il bilancio 2010 (c’è solo qualche trionfale riassunto sul sito dei Marcegaglia), non è noto se l’attesa di nuove poppate sia stata delusa nell’anno più difficile della crisi finanziaria internazionale. Il quadretto di quel 26 marzo 2010 forse andava appeso alle spalle ieri durante la conferenza stampa in cui Emma Marcegaglia insieme ai vertici dell’Abi, dell’Ania e di molte altre associazioni di coop, artigiani e commercianti, ha presentato la sua contromanovra-lezione al governo in carica. Non perché le proposte del gruppone fossero inutili: buona parte della contromanovra sembra presa proprio da quella delle libertà su cui insiste da un mese Libero.
Buona parte, non la patrimoniale, definita una “tassa accettata straordinariamente per abbassare le altre tasse sulle imprese”. Perché il difetto è proprio lì. La riforma fiscale immaginata dal governo già ha previsto come abbassare le tasse non solo alle imprese, ma a tutti: riducendo le poppate dello Stato a cui pochi - fra cui il gruppo Marcegaglia - sono usi abbeverarsi. Ecco da cosa nasce la proposta: per continuare a godere di generose poppate dalla mammella pubblica e fare pagare questo privilegio ad altri italiani. Magari si alza un po’ di fumo intorno per confondere le acque. Si spara sul governo che ora è come la Croce rossa, si infilza (ma guarda che coraggio) la casta dei politici. E invece il problema di chi guida Confindustria è proprio lo stesso della casta politica. Tutte le idee e le proposte tecniche si possono discutere, ma la loro forza discende sempre da chi le tira fuori dal suo cilindro. Come fa un politico a chiedere agli italiani di tirare la cinghia quando la sua casta sguazza ancora fra mille privilegi? Beh, per Marcegaglia e Confindustria la storia è identica. Staccatevi da quella mammella. Poi saremo disposti anche ad ascoltarvi.
di Franco Bechis
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