lunedì 15 aprile 2013

Ogni cinese spedisce a casa 2mila euro al mese (in nero)


La sola contraffazione è un affare da due miliardi. Che crea disoccupazione, annienta l'economia, non versa nulla all'Erario. E arricchisce altri Paesi

Lì a Prato i cinesi fanno un miliardo di euro di nero all'anno. Non è un invenzione. In Commissione Parlamentare d'inchiesta sulla Contraffazione l'esponente di un importante associazione di categoria a proposito delle imprese gestite dai cinesi: «Un giro d'affari di due miliardi di euro, per la metà presumibilmente sommerso».
É evidente come la contraffazione crea disoccupazione, annienta l'economia sana, fa svanire ingenti capitali e non versa quattrini nelle bisognose casse dello Stato. I dati relativi al fenomeno della contraffazione sono severi: per il Ministero dello Sviluppo Economico il mercato del falso sottrae ogni anno all'economia sette miliardi di euro e crea 110mila disoccupati all'anno. Vale a dire circa trecento al giorno. Perché il reato, anzi i reati, legati alla contraffazione non vengono perseguiti proporzionalmente al danno che creano all'economia? Due le risposte. Innanzitutto per anni la contraffazione è stata considerata da molte Procure un «reato minore». Anzi, si sentiva dire: «Se vendono borsette false, non spacciano droga».
Così in pochissimo tempo la piaga si è trasformata in bubbone. Il secondo motivo per cui la contraffazione non viene giustamente considerata è culturale: sono ancora in tanti che s'immaginano che la contraffazione sia unicamente la borsetta e la cintura venduta dal magrebino in spiaggia o lungo i marciapiedi. La domanda che in pochi sono posti è cosa tali commerci nascondono. Se è passato il messaggio, giusto o sbagliato che sia, che «la pelliccia gronda di sangue», non è ancora chiaro che dietro alla merce venduta dal magrebino in strada vi è la criminalità organizzata. Ed è semplice rendersene conto: un gran numero di venditori abusivi fanno vetrina sul tappetino mostrando la stessa merce. Stessa borsetta, stessa cintura, stesso capellino e stessi occhiali. Già questo avrebbe dovuto far scattare un qualche campanello d'allarme.
Gli investigatori dell'antimafia recentemente hanno spiegato come in moltissimi casi il cosiddetto «pizzo» sia stato sostituito dalla decisione da parte della criminalità di imporre ai negozianti la vendita di prodotti contraffatti. Fino ad ora il fenomeno della contraffazione è stato sottovalutato: non si è ben capito che si tratta di casi isolati, ma vi sono interi distretti industriali che si dedicano alla produzione, distribuzione e commercializzazione di tali beni. Senza dimenticare il sistema di pagamento al nero di tale gigantesca quantità di merce. É sufficiente sfogliare le carte dei sequestri effettuati all'interno di alcune agenzie di money transfer. Al titolare di un importante rete d'agenzie sono stati contestati «trasferimenti illecitamente riciclati in Cina» per un valore di 5,4 miliardi. É impressionante il numero di queste agenzie. Il gruppo Banca Intesa conta sul territorio 5.900 filiali, contro i 39mila sportelli di agenzie e sub agenzie di money transfer che trasferiscono 7,5 miliardi di euro all'anno. Le famose rimesse. D'accordo, sono i quattrini chi lavora invia al parente rimasto in Cina, però se andiamo ad analizzare i dati riscontriamo delle anomalie. In media ogni cinese trasferisce mille euro al mese. Un indiano 141. Se consideriamo la famiglia media composta da tre persone, di cui due adulte, significa che i cinesi spediscono in Cina duemila euro al mese. Ma quel'è la famiglia che si può permettere di sottrarre al proprio reddito duemila euro al mese? Forse tali trasferimenti nascono altro?

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