Tratto da agerecontra.it
A pochi giorni dal quarantunesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, la sua figura merita di essere ricordata e spiegata alle giovani generazioni, sovente ignare dell’importanza che quest’uomo ebbe nei primi anni della nostra Repubblica. Simbolo imperituro di quelle straordinarie capacità di intraprendenza, coraggio ed inventiva che così tante volte la nostra terra ha saputo offrire al mondo nel corso dei secoli.
A pochi giorni dal quarantunesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, la sua figura merita di essere ricordata e spiegata alle giovani generazioni, sovente ignare dell’importanza che quest’uomo ebbe nei primi anni della nostra Repubblica. Simbolo imperituro di quelle straordinarie capacità di intraprendenza, coraggio ed inventiva che così tante volte la nostra terra ha saputo offrire al mondo nel corso dei secoli.
Mattei
nasce ad Acqualagna nel 1906, in una famiglia piccolo borghese; inizia a
lavorare a quindici anni in fabbrica e a 22 è già direttore di uno
stabilimento. L’uomo è forte e determinato, non si accontenta della
rapida carriera e decide di trasferirsi a Milano dove respira l’aria
delle grandi opportunità che la metropoli lombarda offre in quegli anni,
diventando prima rappresentante di prodotti chimici per conto di una
ditta tedesca e fondando poi l’Industria Chimica Lombarda,
attiva nella produzione di olii e grassi per l’industria conciaria,
metallurgica ed edile. Lo scoppio della guerra sconvolge i suoi piani e
la sua carriera; se sino all’armistizio Mattei ha perlopiù pensato a
perseguire i suoi obiettivi professionali tralasciando la politica, dopo
l’8 settembre egli è costretto ad operare una scelta e decide di
schierarsi con gli antifascisti iniziando una militanza nelle fila dei
movimenti d’ispirazione cattolica. Le sue numerose qualità emergono
negli anni della resistenza e lo portano ad essere nominato, al termine
del conflitto, deputato, membro del Consiglio nazionale della DC e
commissario straordinario dell’AGIP (AGenzia Italiana Petroli, fondata
nel 1926 da Mussolini) per l’Italia settentrionale. Vi
è tuttavia poco di lusinghiero in questa nomina: poco tempo dopo, viene
invitato a liquidare l’azienda di Stato per ordine del ministro del
Tesoro Soleri, liberale, secondo il quale essa rappresenta solo un
costo, soprattutto riguardo l’intenzione di sfruttare i giacimenti di
petrolio e gas scoperti (prima e durante la Guerra) in Val Padana e in
Sicilia, di cui Mattei è a conoscenza. Nonostante la sua personale lotta
contro il Fascismo, Mattei ha il grande acume ed il coraggio di andare
controcorrente e di riconoscere come non tutto ciò che fosse stato fatto
durante il Ventennio fosse da scartare e condannare a priori. In questo
caso, capisce che liquidare l’AGIP lasciando così il Paese senza un
ente statale preposto all’energia, è sbagliato: Mattei è conscio che una
nazione, per essere una potenza industriale e avere una vera
indipendenza politica, deve prima di tutto assicurarsi di essere
indipendente il più possibile sotto il profilo energetico. Così, non
solo non liquida l’AGIP, bensì nel 1953 la rende più forte fondando
l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) a cui viene accorpata. Il problema
che gli si pone davanti è che però l’Italia, al momento, è tutto tranne
che indipendente e libera di decidere il suo destino autonomamente: ha de facto perso
la guerra e nonostante il maldestro cambio di schieramento del ‘43, non
ha titolo per sedersi al tavolo dei vincitori con voce in capitolo,
tutt’altro. Subisce le decisioni degli Alleati che in quel momento
ancora occupano il Paese e sovrintendono al governo transitorio cercando
di indirizzare tutti gli aspetti legati all’aspetto produttivo e
sociale a proprio favore. Fra questi, a ricoprire l’importanza
principale su cui bisogna subito chiarire a chi spetti sovrintendere –
in virtù del volume d’affari ad esso legato – è il settore energetico:
in principio silenziosamente e bisbigliando nelle orecchie giuste e
compiacenti, riappaiono sulla scena italiana dopo le nazionalizzazioni
di Mussolini allo scoppiare della Guerra, le cosiddette “Sette sorelle”:
la Standard Oil of New Jersey, la British Petroleum, laStandard Oil of California, la Gulf Oil, la Royal Dutch Shell, la Socony Mobil Oil e la Texas Oil.
Insieme, queste compagnie che formano un inattaccabile cartello con lo
scopo di spartirsi le risorse petrolifere mondiali, mantengono un
monopolio e fissano prezzi su cui non ammettono intromissioni e
cambiamenti di sorta (a tal proposito è emblematico il celebre motto del
fondatore della Standard Oil John
D. Rockefeller che ben sintetizza la linea di condotta del Cartello nei
confronti di eventuali concorrenti: “Se possibile convincere. Se no,
stroncare”).
Bisogna
a questo punto illustrare brevemente il cuore della vicenda, per capire
il funzionamento del cartello petrolifero e il perché Mattei fosse
diventato così scomodo per gli interessi delle grandi compagnie e
andasse quindi stroncato. Il
prezzo del greggio stabilito a livello mondiale era unico a prescindere
dalla provenienza e si basava sul “costo di estrazione sopportato dal
produttore americano meno favorito, più il nolo dal Golfo del Messico
all’Europa occidentale” (questo perché tale combinazione veniva
considerata la più cara in assoluto per via degli alti costi di
estrazione negli Stati Uniti e della lunghezza della tratta da
compiere). Così facendo, al costo di produzione del petrolio americano
venivaagganciato il prezzo
mondiale del greggio, quest’ultimo tenuto artificialmente alto invece
che seguire i prezzi reali praticati dai vari paesi produttori al fine
di sviluppare l’industria petrolifera statunitense. In altri termini, ai
petrolieri americani fu concesso di continuare a crescere liberamente
senza nessun tipo di concorrenza e alcun criterio di economicità, poiché
essi vedevano garantita la redditività dal fatto che il loro prezzo
finale era il medesimo di quello ottenuto in Arabia Saudita o in
qualunque altro paese produttore, a prescindere dal fatto che avesse
potuto avere costi enormemente inferiori.
Mattei
entra in questo sistema a modo suo: se prima del suo avvento il prezzo
finale di vendita del greggio era costituito da un 15% di costo di
estrazione, un 42,5% di royalties pagate
ai governi dei Paesi produttori e un altro 42,5% di profitto netto
delle compagnie petrolifere, Mattei divide per due quest’ultimo dato e
garantisce perciò ai paesi produttori il 75% dei profitti invece che il
50% (sottraendo quindi un 25% degli utili al Cartello), contribuendo ad
arricchirli maggiormente e non solo. Oltre ad offrire condizioni
straordinariamente più vantaggiose, strappa prezzi migliori che si
tramutano in un risparmio per le imprese e le famiglie italiane,
garantisce condizioni di lavoro più umane e inserisce nelle trattative,
come contropartite, anche la fornitura di beni e servizi che possano
aiutare le deboli economie dei paesi produttori ad emanciparsi. Mattei –
per dirla parafrasando un noto proverbio – invece che dispensare pesci,
insegna a pescare. Non ci vuole molto a capire la portata
rivoluzionaria delle politiche del presidente dell’ENI; decenni prima
che l’argomento inizi appena, appena ad essere accennato, con grande
lungimiranza capisce che migliorare le condizioni di vita nei paesi
d’origine delle materie prime, invece che sfruttarli trattando le
popolazioni autoctone come bestie da soma, è più giusto e più
conveniente per tutti. Si genera rispetto invece che risentimento, si
trattano le genti che come noi s’affacciano sul Mediterraneo alla pari e
non dall’alto in basso, si fanno ottimi affari dove a guadagnarci sono
ambedue le parti ma soprattutto si evita a contribuire che in quei
territori aumentino la povertà ed il degrado, fenomeni che un giorno (e
quel giorno l’abbiamo già ampiamente superato) potrebbero tramutarsi in
massicce emigrazioni di massa verso i paesi più sviluppati e, ancor
peggio, in focolai di rabbia antioccidentale con conseguente comparsa di
fenomeni terroristici.
Ma non c’è solo un genuino spirito volto al praticare un commercio equo.
Oltre a questo, le idee di Mattei sono destinate a lasciare un profondo
segno anche e soprattutto nella politica italiana: il presidente
dell’ENI non vede di buon occhio l’appartenenza dell’Italia alla NATO e
l’opprimente ingerenza praticata dalle potenze atlantiche – Stati Uniti in primis –
in tutti i principali aspetti della nostra vita politica, interna ed
estera. Gli accordi che Mattei vuole porre in essere porterebbero
l’Italia ad approvvigionarsi direttamente dai paesi produttori
bypassando la (costosissima) intermediazione delle sette sorelle e
rompendo il monopolio americano sul greggio, dando il là ad un
progressivo smantellamento della presenza americana in Italia con il
fine ultimo di portare il nostro paese ad essere una potenza
mediterranea indipendente, senza basi militari straniere e libera di
decidere in autonomia la sua politica estera avendo una voce autorevole
in quello che secolarmente è sempre stato conosciuto come Mare Nostrum.
Il contesto internazionale in cui però opera Mattei, non lo aiuta di certo, anzi. Nel pieno della Guerra fredda e
della contrapposizione fra i due blocchi, il gioco di Mattei è
pericoloso: come un nuovo papa Borgia, tratta con chiunque senza alcuna
preclusione con il fine ultimo di realizzare il bene dell’Italia e di
aumentarne il peso a livello internazionale. Conclude affari con governi
dichiaratamente antioccidentali (come l’Egitto di Nasser e l’Iran di
Mossadeq) quando non addirittura con l’Unione Sovietica; sostiene anche i
patrioti algerini in lotta contro il regime coloniale francese per
strappare a quest’ultimo gli enormi giacimenti di petrolio sahariani e,
così facendo, in breve tempo si inimica l’intero mondo occidentale e
buona parte dell’establishment politico, industriale e finanziario italiano, oramai longa manus degli
Stati Uniti nel nostro Paese. L’uomo che ha strenuamente difeso e
ampliato l’ente statale voluto da Mussolini per far grande l’Italia, è
attaccato in modo veemente dalle formazioni cosiddette di destra (da
gran parte della DC fino al MSI passando per il Partito Liberale) ed è
invece difeso dall’ala sinistra della DC (principalmente nelle persone
di Gronchi e Fanfani) così come dal PSI e dal PCI, desiderosi di vedere
uno Stato forte e credibile che possa garantire la sua presenza in
settori strategici invece che renderli appannaggio di privati.
Non
a caso, la grossa borghesia industriale del Nord è restia alla
prospettiva di difendere l’ENI, prospettiva che impedirebbe la
possibilità di fare affari clamorosi in un ambito così proficuo tramite
la controllata Edison: la società privata che secondo la favola del
liberismo dovrebbe sostituire l’ente di Stato avvantaggiando
l’iniziativa privata e quindi il consumatore, ma che in realtà funge da cavallo di Troia per
le società del Cartello che s’accaparrerebbero così le concessioni sui
giacimenti che l’ENI sta iniziando a sfruttare in Italia. Con il suo
peso, la classe imprenditoriale osteggia Mattei in tutti i modi
attaccandolo a gran voce dalle colonne del Corriere della Sera di sua proprietà –
sul quale, a suon di menzogne, l’Ingegnere è paragonato ad un redivivo e
pericoloso Mussolini che sta trascinando l’Italia nel baratro – e
boicottandolo in politica – dove promuovendo la crescita della suddetta
Edison e insinuando il pericolo di “deriva comunista” che
l’Italia rischia, cerca di portare i vari governi che si succedono a
strappare all’ente statale le sue concessioni, facendo venir meno la
legittimazione dello Stato a portare avanti le sue coraggiose politiche.
Mattei
però è più forte di tutti questi attacchi; smentisce – sempre e in
prima persona – le calunnie di cui lui e l’ENI sono vittime a mezzo
stampa; fonda Il Giorno per
avere un giornale autorevole che difenda l’operato della sua creazione
portando la verità dei fatti a conoscenza di tutti; finanzia partiti e
correnti interne per garantirsi l’appoggio politico in materie
strategiche e istituisce un servizio d’informazione interno all’ENI
degno di quello di uno stato, coinvolgendo anche membri appartenenti ai
servizi segreti. A quest’ultima mossa Mattei è costretto dalle pressioni
che riceve da ogni parte e che si sono oramai tramutate in minacce,
portando il nostro coraggioso uomo di Stato a doversi difendere. Dopo
gli allarmanti rapporti della diplomazia americana e della CIA,
preoccupati di come l’Italia stesse pian piano scivolando via dalla sua
sfera d’influenza a causa dell’”uomo italiano più potente dopo
l’imperatore Augusto”, sembra che i numerosi e potenti nemici del
presidente dell’ENI vogliano passare ai fatti. Accade così che se nel
1961 sono solo l’accortezza e la scrupolosità del suo pilota – il quale
decide di effettuare un breve viaggio di prova prima di far salire a
bordo l’Ingegnere, scoprendo così il tentativo di sabotaggio – a
salvarlo da un primo attentato, il 27 ottobre del 1962, in piena crisi
missilistica a Cuba e con il contemporaneo appropinquarsi della lotta
finale in Algeria fra il FNL di Ben Bella e le forze d’occupazione
francesi (al cui interno si distingueva l’OAS per le atrocità commesse e
per le minacce all’Ingegnere), Mattei – al ritorno da un viaggio in
Sicilia – muore nei cieli di Bascapè, vicino a Pavia, dove il suo aereo
Morane-Saulnier viene fatto esplodere.
Insieme
al presidente dell’ENI muoiono l’esperto e fidato pilota personale
dell’Ingegnere, Bertuzzi, e lo sfortunato giornalista americano Mc Hale
che lo accompagnava per intervistarlo, trovatosi quanto non mai nel
posto sbagliato e al momento sbagliato. Con la scomparsa del grande uomo
di Stato italiano, scompaiono anche tutte le sue idee, i suoi progetti e
le sue prossime iniziative (fra le quali meritano una menzione per la
loro carica innovativa la costruzione di un oleodotto per portare il
petrolio da Genova alla Germania, la penetrazione delle stazioni di
servizio ENI nel mercato britannico e la realizzazione di una raffineria
in Tunisia con oleodotti annessi verso il nostro Paese). L’Italia viene
riportata mansueta sotto l’ala atlantica e smette di turbare le sette sorelle ed i governi occidentali, ritornando ad essere quell’entità manovrata
dalle potenze straniere, incapace di esprimere una sua politica estera
in autonomia e di tutelare i propri interessi nel migliore dei modi. Con
la morte di Enrico Mattei scompare la figura più coraggiosa del
dopoguerra e l’ENI – da lui creato – pur formalmente salvato nella sua
integrità, diventerà una docile pedina facente gli interessi del
cartello petrolifero agli ordini del grigioEugenio
Cefis; una condizione che si protrarrà fino al 1989, quando in seguito
al venir meno della contrapposizione fra blocchi e della Guerra fredda, potrà riacquistare parte di quello spirito avventuriero e al servizio dell’Italia che così tanto Mattei aveva voluto creare.
La
morte di Mattei apparve immediatamente, agli occhi dei più accorti, per
ciò che era. Tuttavia, i depistaggi da parte di apparati dello Stato
che qualche anno dopo sarebbero diventati così comuni e funzionali a
quellastrategia della tensione contrassegnata
da attentati sanguinari, fecero una prima ed efficace comparsa a
seguito dell’assassinio del presidente dell’ENI. Interviste televisive
tagliate o alterate; ritrattazioni di testimoni oculari con contestuali
regali e favori a questi ultimi da parte di un ENI ormai avviato verso
un nuovo corso; madornali ed inspiegabili errori nel trattamento dei
reperti dell’aereo dell’Ingegnere; campagne stampa denigratorie e volte a
sottovalutare l’operato dell’Ingegnere; un assordante silenzio che
scende sulla vicenda e che decreta come causa dell’evento la tragica
fatalità, dovuta al brutto tempo ed alle precarie condizioni
psico-fisiche del pilota; ma soprattutto, la brutta fine che accomunerà
chiunque si avvicini alla morte di Mattei cercando di capirne la verità.
Saranno
solo le dichiarazioni di Tommaso Buscetta, nel 1994, a dare certezza ai
dubbi mai del tutto dissipatisi e a permettere di riaprire le indagini
accertando così l’esplosione di una bomba all’interno del
Morane-Saulnier di Mattei. Stando alle parole del celebre ex boss dei due mondi,
la morte del presidente dell’ENI sarebbe stata frutto del fortunato e
pluriennale sodalizio esistente fra le famiglie mafiose italo-americane e
il governo di Washington. In pratica, la mafia siciliana avrebbe
fornito lamanodopera per
sabotare l’aereo di Mattei su ordine dei padrini d’oltreoceano, a loro
volta incaricati dai servizi segreti americani di eliminare l’uomo che
stava minando enormi interessi di carattere economico e geopolitico.
Dopo
queste dichiarazioni, non fu difficile unire i puntini della vicenda e
dare una risposta a tutte quelle morti, ritenute sino ad allora solo
parzialmente spiegabili: la prima e forse più celebre perché
strettamente collegata è quella del giornalista Mauro de Mauro,
incaricato dal regista Francesco Rosi (autore del meritevole film “Il
caso Mattei”) di ricercare quante più informazioni possibili sulla morte
del presidente dell’ENI e che pochi giorni prima della sua scomparsa –
per mano della lupara bianca – aveva dichiarato ai colleghi di essere venuto a conoscenza di uno scoopche
avrebbe “scosso l’Italia”. Poi quella di Boris Giuliano, il
superpoliziotto ucciso dal boss Leoluca Bagarella e che aveva iniziato
ad indagare sui motivi della sparizione dello stesso De Mauro; il
generale dei Carabinieri CarloAlberto Dalla Chiesa che aveva dato il via
allo stesso tipo di indagini per conto della Benemerita. Infine, i
dubbi sulla morte del regista e scrittore Pierpaolo Pasolini, che con il
suo romanzo Petrolio si era
addentrato negli oscuri meccanismi che regolavano il mercato di
approvvigionamento e produzione del greggio, scoprendo forse anch’egli
cose di cui non sarebbe dovuto venire a conoscenza.
Se
tutti questi personaggi siano morti perché realmente legati in qualche
modo ad Enrico Mattei, non ci è dato saperlo con certezza. Ciò che
rimane sicuro, dopo una perizia ordinata dalla procura di Pavia in
seguito alle dichiarazioni di Buscetta, è la mano assassina dietro alla
morte dell’Ingegnere e non la “tragica fatalità” come troppo spesso,
purtroppo, si è provato a dire in un Paese che ancora fatica ad
ammettere come alcuni dei suoi più cruenti fatti di cronaca abbiano
avuto come mandanti quegli stessi personaggi che per spregiudicati
interessi economici hanno dettato da oltre confine e per decenni la
nostra politica estera, impedendo all’Italia di essere artefice del
proprio destino e di condurre una politica estera congeniale alla sua
posizione strategica. Un paese che a più di vent’anni di distanza dal
crollo del Muro di Berlino ancora ospita (e ingrandisce) gratuitamente
basi straniere e s’avventura in guerre camuffate da operazioni di pace
mandando a morire i suoi soldati per interessi terzi, un Paese che viene
obbligato a comprare armamenti di dubbia qualità e che ancora deve
sopportare di subire colpi durissimi al suo prestigio e ad alla sua
forza contrattuale (basti ricordare la ricaduta sulla nostra bilancia
commerciale delle sanzioni imposte all’Iran da un’Unione Europea sempre
troppo servile con gli Stati Uniti e la scellerata guerra in Libia che
ha strappato all’ENI numerose concessioni a vantaggio di Francia e Stati
Uniti). Il male contro cui lottava Mattei, per quanto ridimensionato,
vive e lotta ancora in mezzo a noi.
Fonte: http://www.agerecontra.it/public/pres30/?p=13677
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