L'Europa ci ha già commissariati
Renzi sperava di "cambiare verso". Ma, dopo
aver obbedito ai desiderata di Napolitano per via XX Settembre, sa che
la strada è tutta in salita. Bruxelles e, soprattutto, la Merkel
vorranno avere l'ultima parola sulle decisioni di politica economica e
fiscale di Roma
Roma
- Pier Carlo Padoan «sa cosa deve essere fatto». Olli Rehn, il
mefistofelico commissario Ue agli Affari economici, è finlandese ma
quelle parole lo accomunano a un capobastone che impartisca ordini al
suo «picciotto».
Se il neopremier Matteo Renzi sperava di «cambiare verso», da
ieri - dopo aver obbedito ai desiderata di Napolitano per via XX
Settembre - sa che la strada è tutta in salita.
Bruxelles
e, soprattutto, Angela Merkel vorranno avere l'ultima parola sulle
decisioni di politica economica e fiscale di Roma. Insomma, più che la
freddezza di Enrico Letta nel passaggio di consegne a rovinare la festa
sono state le dichiarazioni dell'ex calciatore finnico oggi candidato
presidente della Commissione.
È presto per affermare con certezza che
le speranze del premier saranno deluse. Ma sicuramente vale la pena
ricordare un paio di circostanze che giocano a sfavore. Durante la
gestazione del nuovo governo, Bruxelles ha cercato di ingerire sulle
questioni italiane. Renzi, infatti, intende chiedere un po' di
flessibilità sul rispetto del parametro del 3% per il deficit/Pil in
modo da rilanciare un po' la spesa per investimenti. Il favore sarà
ricambiato con una prosecuzione della linea delle riforme strutturali
(in materia di welfare e di contenimento della spesa corrente), ma Rehn
ha subito tuonato: «Confido che l'italia continuerà a rispettare i
trattati».
A questo si aggiunga la battaglia persa con il capo dello
Stato sul ministero dell'Economia: Renzi avrebbe voluto un politico
(anche Delrio) o un tecnico «estroso». Gli è toccato Pier Carlo Padoan,
con un passato al Fondo Monetario Internazionale e all'Ocse, cioè un
sacerdote della linea rigorista. In questi giorni gli analisti ne
ricordano l'intervista concessa al Wall Street Journal lo scorso aprile
nella quale affermò: «The pain is producing results», cioè «Il dolore
sta producendo risultati» dove «dolore» sta per consolidamento fiscale,
cioè quella spremuta di tasse alla quale Monti e Saccomanni hanno
abituato gli italiani. Quel Saccomanni che ieri ha pubblicato il suo
testamento spirituale da ministro per ribadire che il rispetto della
soglia del 3% «garantisce credibilità».
Se queste sono le premesse,
il sillogismo non può che essere scontato. Economisti come Padoan
potrebbero accettare persino quella patrimoniale richiesta a gran voce
dalla Bundesbank e da Angela Merkel se Berlino decidesse che l'Italia ha
troppo debito pubblico e molta ricchezza privata. D'altronde, Olli Rehn
è la stessa persona che due anni fa si rivolse alla Spagna, che
chiedeva più tempo per il programma di rientro del deficit, con il
medesimo atteggiamento da maestrino che ieri ha riservato a Padoan. «Non
puoi avere la torta e mangiartela!», fece sapere.
Padoan, con
l'esperienza, ha compreso che di austerity si può morire. Non è più quel
tecnico cui il premio Nobel, Paul Krugman, si rivolse con alterigia per
aver osato suggerire agli Usa di alzare i tassi durante la recessione.
Proprio l'azzeramento del costo del denaro, infatti, ha contribuito a
risollevare l'America. Gli italiani, tuttavia, non possono ostentare la
stessa serenità che Renzi suggerì a Letta prima di defenestrarlo con
quell'hashtag diventato un cult (#enricostaisereno).
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