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venerdì 27 luglio 2012

L'importanza della sovranità monetaria: Giappone, debito 240% e nessun problema!


Editoriale a cura dello staff di nocensura.com


Di seguito un breve articolo pubblicato da "Il Sole 24 ore" in data 5 Giugno 2012:


"Alla fine di giugno il tasso sul decennale giapponese (i titoli di stato, ndr) potrebbe scendere allo 0,74% mettendo a segno il maggior calo trimestrale da due anni a questa parte. Questo almeno è l'orientamento medio di 14 investitori istituzionali sentiti da Bloomberg. Ad oggi solo il titolo decennale svizzero ha un rendimento più basso di quello giapponese che dai mercati viene considerato a tutti gli effetti un "bene rifugio". E questo nonostante Tokyo abbia un debito pubblico colossale che ha raggiunto quasi il 240% del Pil a fine 2011. Fitch ha recentemente declassato il debito giapponese a livello A+, non tanto distante dalle disastrate Italia e Spagna. A differenza di questi due paesi Tokyo ha sovranità monetaria, cioè ha facoltà di stampare moneta. La stragrande maggioranza del debito pubblico giapponese poi è detenuta da investitori locali. Insomma una serie di elementi hanno tenuto la bomba del debito giapponese disinnescata. I rendimenti poi continuano a calare. Da inizio anno quelli sul decennale sono scesi del 24,3%, quelli sul quinquennale del 45% e quelli sul biennale del 31 per cento stando a S&P Capital IQ." - fonte

ECCO SVELATO L'ARCANO: LA QUESTIONE CENTRALE E' IL TASSO DI INTERESSE SUI TITOLI DI STATO CHE SIAMO COSTRETTI A PAGARE A CAUSA DELLA MANCANZA DI SOVRANITA' MONETARIA!!!


L'Italia, come sappiamo bene, con l'attuale immotivato spread elevatissimo che si aggira a quota 500 è costretta, per avere liquidità, a pagare OLTRE IL 6% DI INTERESSI: la Spagna persino di più. Il Giappone invece deve corrispondere un tasso di interesse INFERIORE all'1%

Nota per chi non capisce di cosa stiamo parlando: Le nazioni non emettono moneta, ma titoli di stato, che vengono "acquistati" dalle banche, che forniscono liquidità in cambio di un tasso di interesse. Per ottenere 100 miliardi di euro, l'Italia ne deve restituire 107, mentre la Germania 101, il Giappone persino meno. Questo perché l'Italia, privata della sovranità monetaria, deve sottostare alla speculazione delle banche...


Approfondimenti circa il debito giapponese e la situazione economica solida:
  • Il paradosso del debito La domanda è questa: perché Usa e Giappone continuano a indebitarsi tranquillamente a costo zero e le loro monete si rafforzano, mentre l’intera Europa, pur meno indebitata, sta affondando?
  • Giappone: debito a 235% e 241% nel 2012 e 2013. Ma il paese campa Livello record tra le nazioni G8. Il Fmi spinge Tokyo ad alzare l'Iva che al momento è appena al 5%, per creare inflazione. Ma il debito e' quasi tutto in mani giapponesi e il paese stampa la propria moneta.

A proposito: Rivolgiamo una domanda a coloro che non hanno ancora capito che il debito pubblico è una truffaovvero la logica conseguenza di questo sistema monetarioBASATO sul debito (tutta la moneta circolante è emessa a debito... lo spiega a chiare lettere anche Magdi Allam in un recente articolo pubblicato su Il Giornale) e credono che il debito pubblico sia dovuto alle spese pazze dei governi: (che hanno sicuramente fatto spese folli e sprechi di tutti i tipi, ma li hanno "coperti" aumentando esponenzialmente la pressione fiscale fino ai livelli di oggi: il debito pubblico non c'entra niente) Come mai un paese virtuoso come il Giappone ha un debito pubblico così alto? Come mai tutte le nazioni del mondo hanno debito pubblicoSe sei tra coloro che - a causa della disinformazione mediatica - credono che il debito pubblico sia dovuto agli sprechi, informatevi sul funzionamento del sistema monetario... leggi qui oppure cerca: "sistema monetario a debito" - "sovranità monetaria" - "signoraggio bancario"...


Staff nocensura.com

venerdì 20 luglio 2012

L’Italia sarebbe il paese che avrebbe il maggior vantaggio ad uscire dall’euro


Ridotto all’osso, il downgrade di Moody’s dell’Italia di due tacche, a un livello vicino a junk, è un atto d’accusa contro l’intera politica di shock-therapy e di contrazione dell’eurozona (Moody’s contro l’Italia: rating vicino a spazzatura).
Le prospettive economiche a breve termine dell’Italia si sono deteriorate, come risulta sia dalla crescita più debole che dalla maggiore disoccupazione, che comportano il rischio di non riuscire a raggiungere gli obiettivi di consolidamento fiscale. Il mancato rispetto degli obiettivi di bilancio a sua volta potrebbe indebolire ulteriormente la fiducia dei mercati, aumentando il rischio di una brusca frenata dei finanziamenti sul mercato.
Etc, etc
Se Fitch segue l’esempio, il downgrade provocherà un’ondata di vendite da parte dei fondi Asiatici e degli altri fondi sottoposti a severi limiti sul tipo di debito che possono detenere. Questi investitori hanno smesso di comprare debito Italiano mesi fa, naturalmente. Ma non l’hanno neanche venduto. Lo faranno.
Moody’s fondamentalmente sta dicendo che la drastica austerità imposta all’Italia dalla BCE dopo il suo ultimo Putsch di fine estate (acquisti di obbligazioni a intermittenza per forzare l’uscita dal governo di Silvio Berlusconi) è essa stessa la causa della profonda crisi.
Il mix delle politiche di contrazione è stato disastroso. La BCE lo scorso anno ha permesso – o meglio ha causato – il crollo in Italia della massa monetaria M1 ed M3 a livelli da Grande Depressione, con una politica monetaria restrittiva nel bel mezzo della crisi. Questo è stato uno dei peggiori episodi di errore nella politica monetaria dell’ultimo mezzo secolo.
Il risultato di questa stretta monetaria e fiscale combinata è stata una doppia recessione, del tutto evitabile e molto dannosa. La Confindustria Italiana ha avvertito che solo quest’anno l’economia si contrarrà del 2.4% e forse anche molto di più, e ha aggiunto che l’austerità sta riducendo il paese in “macerie” dal punto di vista sociale.
Questa medicina stile anni ’30 è la ragione principale per cui la traiettoria del debito Italiano, una volta stabile, è improvvisamente peggiorata, con il debito pubblico galoppante al 126% del PIL quest’anno, secondo il FMI.
Moody sembra reagire agli obiettivi di “consolidamento fiscale” imposti al paese da Berlino, Francoforte e Bruxelles.
L’Italia non dovrebbe farlo. Queste richieste sono velenose. L’Italia ha già un avanzo primario di bilancio, che quest’anno aumenterà al 3.6% del Pil, e il prossimo anno al 4.9%.
Questo è di gran lunga il “miglior” profilo fiscale nel blocco del G7, ma è una vittoria di Pirro. Gli effetti recessivi stanno annullando i guadagni. Il debito sta accelerando. La struttura industriale del paese viene dissanguata.
Il risultato politico è la spettacolare ascesa di Beppe Grillo, il flagello dell’euro e ora padrone di Parma. Berlusconi può già annusare l’occasione di lanciare una rimonta su un programma anti-Merkel, anti-Tedesco, anti-BCE, e anti-Europa.
L’uscita dall’Euro
“Non è una bestemmia parlare di uscita dall’euro”, dice, chiedendo un ritorno alla lira a meno che la BCE da parte sua non intervenga per una riduzione dei rendimenti obbligazionari Italiani.
L’uscita dall’Euro potrebbe “avere i suoi vantaggi” dice. “La svalutazione ci permetterebbe di esportare. Se andiamo avanti con le politiche della signora Merkel finiremo sempre peggio in una spirale recessiva.”
Personalmente,durante un viaggio a Roma tre settimane fa sono rimasto sbalordito dal livello di amarezza. Un alto funzionario – da lungo tempo sostenitore dell’UEM, uno dei suoi custodi – mi ha detto che l’euro era “praticamente morto”.
Oramai appena il 30% degli Italiani pensa che l’euro sia stata una “buona idea”. Hanno certamente delle buone ragioni per sentirsi danneggiati. L’Italia non è fondamentalmente un caso disperato. E’ stata trasformata in un caso disperato dai meccanismi perversi dello stesso euro.
Debito pubblico e privato combinati insieme arrivano al 260% del PI, più o meno come la Germania e molto meno di Francia, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone. Con una ricchezza privata di 8.600 miliardi di €, gli Italiani hanno una ricchezza pro-capite maggiore dei Tedeschi.
Guardando all’indicatore del Fondo Monetario Internazionale sulla sostenibilità del debito a lungo termine, l’Italia ha uno dei punteggi migliori, al 4,1, davanti a Germania 4,6, Francia 7,9, Regno Unito 13,3, Giappone 14,3, e Stati Uniti 17. E’ uno dei pochi paesi che ha sistemato lo squilibrio delle pensioni.
L’unico grosso problema che hanno gli Italiani è che sono nella valuta sbagliata.
Come tutti sappiamo ormai, dal lancio dell’UEM hanno perso circa il 30% di competitività nel costo del lavoro per unità di prodotto contro la Germania, a causa dell’effetto strisciante di una spirale inflazionistica e della scarsa crescita della produttività. Il danno è fatto. Non si può riportare indietro l’orologio .
Lo storico surplus commerciale dell’Italia verso la Germania si è trasformato in un grande deficit strutturale, bloccato in modo permanente per effetto dell’UEM.
Hanno poche speranze di recuperare il terreno perduto attraverso la deflazione dei salari e la “svalutazione interna”, dal momento che la dinamica del debito scombinerà tutto di nuovo, se non condurrà addirittura alla rivoluzione nelle strade.
David Woo di Bank of America ha appena elaborato uno studio di “teoria dei giochi” sull’eurozona, in cui sostiene che l’Italia, più di ogni altro paese (eccetto l’Irlanda), trarrebbe vantaggio dal liberarsi e ripristinare il controllo sovrano sui suoi strumenti di politica economica.
Questo dà all’Italia molto potere in una prova di forza con la Germania … anche se se Wolfgang Schauble capisce che la questione è un’altra .
L’avanzo primario del paese implica che esso può lasciare l’UEM a sua scelta in qualsiasi momento (a differenza di Grecia, Spagna o Portogallo), ed è grande abbastanza per farcela da solo. La sua posizione di investimenti sull’estero è solo leggermente negativa (a differenza della Spagna, che è in rosso per un ammontare del 92% del PIL).
Il tasso di risparmio Italiano molto elevato e il suo livello di ricchezza privata significano che qualsiasi shock del tasso di interesse potrebbe per lo più essere rigirato di nuovo all’economia come pagamenti più elevati per gli obbligazionisti Italiani. Gli effetti-macro potrebbero anche non esserci.
Né accetto il solito mantra che dopo l’uscita i tassi d’interesse Italiani salirebbero alle stelle. Sono già saliti in termini reali (anche se oggi sono più bassi in termini nominali che al tempo delle lire). In effetti, può essere argomentato in contrario che l’unico modo per l’Italia in questa fase di abbattere i costi finanziari reali è quello di lasciare immediatamente l’euro.
Ovviamente saranno gli Italiani a decidere del proprio destino.
In vacanza in Italia, ho letto l’eccellente resoconto di Arrigo Petacco della Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista Italiano, La Nostra Guerra 1940-1945.
Il tema che più mi ha colpito è stato il numero delle sconfitte e dei disastri Italiani che sono stati il risultato di errori commessi dallo stesso alto comando Tedesco, soprattutto da Rommel.
I subs inglesi hanno affondato l’80% dei convogli di rifornimento Italiani in Nord Africa, perché gli Inglesi avevano penetrato i codici dell’Enigma Tedesco, e gli ufficiali Tedeschi inoltravano inutilmente tutti i dettagli dei convogli al proprio quartier generale. Ma Rommel diede tutta la colpa a Roma, dicendo, ingiustamente, che ci dovevano essere delle spie della marina Italiana.
La storia si ripete – questa volta in tempo di pace. L’Italia non ha più nulla da guadagnare ad ascoltare i distruttivi consigli Tedeschi o a persistere in questa soffocante disavventura.
Attendiamo una variante contemporanea del messaggio di Badoglio dell’8 settembre 1943.
Tutto ad un tratto, l’Italia ha compiuto l’impensabile. Gli Italiani che ascoltavano la radio alle 18.15 di quella sera scoprirono con loro grande sorpresa – e con grande sollievo – che non erano più impegnati ad andare avanti nella follia.


sabato 14 luglio 2012

I "peccati" delle agenzie di rating + approfondimenti


Per capire il ruolo delle agenzie di rating nel contesto dell'alta finanza, quali poteri hanno, di quali poteri sono espressione, chi le controlla e di chi fanno gli interessi leggi l'articolo "L'ITALIA VITTIMA DI UN COMPLOTTO E LE PROVE CHE MONTI è COMPLICE" Le associazioni massoniche: il trait d'union tra le lobby dell'alta finanza che gestiscono le multinazionali - che hanno in mano l'economia globale - ed i governi del mondo. La rete del potere mondiale. Chi è Mario Monti e a quali poteri risponde. Il golpe italiano, chi c'è dietro e quali sono i loro obiettivi.


Approfondimenti sulle agenzie di rating:
Agenzie di rating, ecco chi controlla “le tre sorelle”
Agenzie di rating e commissione Europea, l’Italia ancora nel mirino
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LE TRE SORELLE E I LORO PECCATI
di Paolo Cardenà

Fanno parte insieme alle banche d'affari e ai fondi speculativi, di quella oligarchia finanziaria che sta facendo tremare il mondo. I loro giudizi si abbattono su borse, mercati, titoli e anche istituzioni e enti governativi, giudicandoli e assegnando loro un “voto”. Fanno il buono e il cattivo tempo, prive di un controllo idoneo a stabilirne l’autonomia e l’imparzialità. Standard & Poor's, Moody's e Fitch.

Sono queste,  quelle che in gergo vengono definite le "tre sorelle", le agenzie che hanno il compito di esprimere giudizi sulla qualità del debito, di uno Stato, di una istituzione o di una società.
Sebbene,  al mondo, si possano contare almeno una dozzina di società di rating, le tre sorelle, sono quelle che si dividono la fetta di mercato più ampia. Il loro compito, tra l'altro, è quello di fornire informazioni sul merito creditizio di un soggetto che ricorre al mercato per potersi finanziare. In altre parole, le agenzie di rating fungono principalmente da intermediari di informazioni tra coloro che emettono titoli e gli investitori, riassumendo, dopo le dovute  analisi (non sempre), le indicazioni fondamentali del merito creditizio in una semplice lettera, che sta ad indicare una precisa classe di rating, dunque, un giudizio più o meno positivo, in base ad una scala espressa con lettere dell'alfabeto, ovviamente dietro pagamento di un certo ammontare da parte dell’emittente.

Con il proprio giudizio, riescono a catalizzare l'interesse degli investitori a favore di una società o di uno stato, il quale, godendo  magari di un merito creditizio di elevato standing,  potrà finanziare il proprio debito con rilevanti flussi di denaro, a costi tanto più ridotti quanto più alto sarà il merito creditizio goduto. 
In tal senso, proprio perché tali agenzie, con il loro operato e il loro giudizio, riescono ad influenzare in maniera predominante, non solo l'interesse o meno degli investitori, ma anche politiche economiche e fiscali di intere nazioni - che chiaramente auspicheranno  elevati giudizi di merito creditizio al fine di attrarre investimenti a bassi costi, varando così politiche fiscali ed economiche propedeutiche a tal fine- godono di un grande potere che è quello di influenzare non poco scelte economiche, fiscali e anche politiche, "imponendo", talvolta, dei veri e propri cambi di governo.
Proprio per questo, le società dovrebbero svolgere il proprio operato in regime di assoluta imparzialità e autonomia, in assenza di qualsiasi conflitto di interesse e certamente immuni da errori che possono compromettere la stabilità finanziaria di un area geografica o, ancora peggio, portare a soluzioni governative non espressione della volontà popolare.

Queste, abusando del proprio status, talvolta, assumono un vero e proprio ruolo politico che si manifesta proprio nell'espressione del proprio giudizio

Evidenziata quindi l'importanza che viene attribuita a questi enti nell'esprimere le proprie pagelle, il cui significato può essere  anche politico,  appare del tutto evidente ed indispensabile che queste debbano operare in regime di assoluta imparzialità, autonomia e lontane da conflitti di interesse che ne possano, in qualche modo,  influenzare la formazione di meriti o demeriti creditizi, immuni dal commettere, con ragionevole aspettativa, qualsivoglia errore di valutazione. Ma in realtà ciò non avviene.

Queste agenzie, con le loro valutazioni, concorrono alla formazione dei prezzi delle attività finanziarie in tutto il mondo, favorendo e  facilitando l’attività di speculatori pronti ad avventarsi sulla loro preda, acquistando aziende a prezzi svalutati, mettendo sotto pressione i prezzi dei titoli governativi e impoverendo l’intera collettività. A conferma della tesi che ho appena descritto, vale la pena ricordare che gli azionisti delle tre sorelle, nella maggior parte dei casi, sono riconducibili più o meno indirettamente sempre alle stesse banche o fondi di investimento. Sono infatti questi ultimi, godendo di masse di denaro imponenti, a trarre il maggior vantaggio dal lavoro delle agenzie. Ma chi sono, in sintesi, i proprietari di queste società? Basta ben poco per accertarcene, e una semplice indagine ci riconduce a tutti i nomi noti della finanza e della speculazione mondiale.

Prendiamo ad esempio Sandard & Poor’s che ha una quota di mercato del 39% ed è presente in 23 paesi. La proprietà è del colosso delle comunicazioni , dell’editoria e delle costruzioni McGraw-Hill Companies Inc. Questa società a sua volta è partecipata per il 10.26% da Capital Word Investors, per il 4.47% da Black Rock Fund Advisor, il 4.25% da State Street Global Advisor, per il 4.04% da Oppenheimer Funds Inc, per il 4.58% da The Vanguard Group inc. e da decine di altri investitori. 

Ma Capital Words Investors non solo è azionista di S&P attraverso la partecipata McGraw-Hill; è anche il primo azionista della concorrente Moody’s insieme Berckshire Hathaway Inc (di proprietà di Warren Buffet) e al fondo americano State  Street Corp che a sua volta, allargando l’orizzonte, è partecipato da Barclays Plc, Citigroup Co.,  Invesco International, Northern Trust Corp., Putnam LLC.
E che dire dell’altro fondo di investimento BlackRock che è l’undicesimo socio di Moody’s e il sesto di Standard & Poor’s.

Black Rock a sua volta è partecipato dalla banca di investimento  Merrill Lynch che nel 2008,dopo il fallimento di Lehman Brothers, è stata acquisita da Bank of America i cui azionisti sono: Barclays Plc., di nuovo State Street Corporation, Axa, Putnam LLC e altri fondi.
Analogo discorso si puo’ osservare anche per la terza sorella: Fictc Ratings. Qest’ultima è di proprietà di Ficth Group che a sua vota è partecipata per il 40% dalla francese Fimalac e peril 60% da Hearst Corporation. Queste ultime due società sono a loro volta partecipate da un gruppo di fondi comuni britannici e americani.
Insomma, nel groviglio di partecipazioni incrociate, si potrebbe andare avanti per ore riconducendoci sempre ai nomi noti dell’oligarchia finanziari, figlia della deregolamentazione intervenuta nel mondo della finanza americana (ma non solo)  per circa un ventennio. 

 Sicuramente questi nomi, se non conoscete il mondo della finanza, vi diranno ben poco. Ma in realtà, la maggior parte di loro, rappresentano i maggiori fondi di investimento al mondo, con dotazioni finanziarie impressionanti e alla costante ricerca di qualche buon affare a prezzi di saldo. Riescono a muovere centinaia di miliardi di dollari con grande flessibilità e tempismo, speculando su azioni, bond, titoli governativi e adottando tecniche di investimento e speculazione sofisticatissime e, talvolta, con l’ausilio delle società di rating di cui sono proprietari.

In altre parole, si ritrovano sempre gli stessi nomi che controllano gruppi bancari o fondi di investimento che a loro volta controllano le agenzia di rating. I fondi USA (ma non solo), sono da un lato gli investitori, e dall’altro sono anche gli azionisti delle agenzie che stilano le pagelle. 
Giova ricordare che, la maggior parte di questi gruppi bancari, nel corso del 2008 e negli anni successivi, inghiottiti dalla tempesta finanziaria scoppiata a seguito dell’esplosione della crisi dei mutui subprime, che loro stessi hanno creato, hanno ottenuto miliardi e miliardi di dollari di aiuti pubblici per essere salvati, favorendo un considerevole aumento del debito  pubblico, pressoché in tutti gli stai occidentali, che sono intervenuti per coprire le perdite derivanti dalla crisi finanziaria del 2008. Ora queste stesse banche speculano su debiti governativi che hanno contribuito a formare, fino a renderli insostenibili per la collettività. Banchieri senza patriottismo e senza decoro, direbbe il buon Napoleone.
Ciò considerato, non resta affatto complesso intuire il regime di conflitto di interesse che avvolge le società di rating e le banche di investimento che, giorno dopo giorno, speculano sul nostro futuro. Pur considerando di interesse generale il lavoro che una società di rating dovrebbe svolgere, al fine di colmare la naturale asimmetria informativa esistente tra investitore (risparmiatore) e  chi, invece, ha bisogno di denaro per piani di sviluppo economico, siano essi stati o industrie, sono del tutto evidenti le criticità che caratterizzano il mondo della finanza, al punto di rischiare un impoverimento sistemico di intere economie e aree geografiche.

Ma i limiti delle agenzie di rating non si esauriscono nel conflitto di interessi in cui sono avvolte.
Sono innumerevoli gli errori che commettono e che hanno commesso nel recente passato al punto da screditare, talvolta, il loro operato.
Errori che in qualche modo hanno influenzato comportamenti e  scelte di istituzioni finanziare e risparmiatori, determinando, talvolta, la perdita di tutti i risparmi di migliaia di persone che avevano  ponderato le proprie scelte in base ai rating elaborati dalle agenzie.
I più clamorosi sono riconducibili proprio al periodo della scoppio della crisi finanziaria iniziata con il collasso dei mutui sub-prime. In effetti, la crisi del 2008, ha portato allo scoperto le carenze  dei metodi e dei modelli utilizzati dalle agenzie di  rating. Secondo la Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alle agenzie di rating, "tali carenze, sarebbero attribuibili in buona misura al carattere oligopolistico del mercato entro cui le suddette agenzie operano e alla conseguente  mancanza di incentivi a competere sulla qualità del rating” .

In sintesi, le agenzie di rating, nell’ambito della crisi finanziaria del 2008, sono state messe sotto accusa sia per aver valutato in origine troppo favorevolmente il rating delle obbligazioni riconducibili ai mutui di scarsa qualità, sia per non aver osservato, con la dovuta sollecitudine, la revisione di tali giudizi. Ma in realtà gli errori delle società di rating partono da ben più lontano. 

Era il 2001 quando il sistema finanziario americano veniva scosso dal caso Enron. In tale circostanza le società sbagliarono clamorosamente al punto che,  fino a tre giorni dal crack il rating era assolutamente positivo. E anche nelle ore immediatamente precedenti al default, benché declassate, le valutazioni apparivano comunque rassicuranti. Due anni dopo fu la volta della Parmalat in cui furono coinvolti 50.000 risparmiatori. Alla Parmalat era stata assegnato un giudizio che identificava la società come non speculativa. 

Nel 2008 si consumano una vera e propria infinità di errori così sintetizzati:

Il 15 settembre 2008 la banca d’affari Lehman Brothers  dichiara fallimento nonostante, sembrava godere di ottimo merito creditizio con una qualità del credito più che buona.

Lo stesso giorno le agenzie declassano AIG, colosso mondiale delle assicurazioni, portando il rating da AA- a livello A-. Un ottimo giudizio quest’ultimo, se si pensa che a distanza di soli 2 giorni la Federal Reserve è costretta  a concedere un prestito di 85 miliardi di dollari allo scopo di salvarla dalla Bancarotta.

L’anno precedente è la volta di Bear Stearns. Era il 15 novembre 2007 quando le agenzie tagliarono il giudizio da A+ ad A. Nonostante il merito creditizio risultasse eccellente, nel marzo 2008 la banca sfiora il fallimento e viene salvata da un massiccio intervento governativo.

Nel  2008 è anche la volta della Fraddie Mac. Fino  al 22 agosto la società godeva del livello A1 e fu solo a seguito di un intervista di Warren Buffet trasmessa dal canale finanziario CNBC, che Moody's declassò la banca al rating Baa3. Un livello molto generoso se si pensa che l’8 settembre dello stesso anno Fraddie Mac venne nazionalizzata con un altro intervento governativo al fine di scongiurare il fallimento.

Nello  stesso giorno fu nazionalizzata anche Fannie Mae con il più grande salvataggio effettuato nella storia americana. Sempre Moody’s, nel febbraio precedente, aveva assegnato un rating Aaa con out look stabile. Il massimo del merito creditizio.

Sono questi, alcuni degli errori di cui si sono macchiate le società di rating nel corso dell’ultimo decennio. Ho cercato di elencare quelli più clamorosi ma la lista è ancora lunga. In questo senso, sorge spontanea una domanda inquietante: errore o malafede? Nonostante un numero considerevole di procure di vari Paesi stiano tutt'ora indagando, forse non lo sapremo mai. Ma è evidente che è più che legittimo ipotizzare un intreccio di interessi che non favoriscono né il mercato, i risparmiatori e forse neanche le stesse agenzie di rating.

Non credo alle teorie cospirazionistiche che narrano di un complotto dell'asse angloamericano a discapito dell'eurozona. Al tempo stesso,  penso all'utilità derivante da  agenzie di rating che agiscano in modo autonomo, lontane da conflitti di interesse e che contribuiscano all'efficienza dei mercati diffondendo giudizi idonei a colmare, in maniera professionale ed imparziale, l'asimmetria informativa esistente tra chi ha necessità di risorse finanziarie e chi è investitore, sia esso istituzionale o, a maggior ragione, piccolo risparmiatore. Il fallimento della Leadership europea è manifesto anche in quest'ambito, ovvero nella mancata ricerca di soluzioni   favorevoli a dirimere ogni sorta di criticità delle agenzie di giudizio. Ma non c'è affatto da stupirsi se si considera  il limitato  quadro normativo in cui la stessa Banca Centrale Europea è tenuta ad operare (o per meglio dire a non operare) a difesa della moneta unica. 

fonte: vincitorievinti.com

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