L’accordo tra il gruppo Fiat e il sindacato Usa ha suscitato l’entusiasmo nei media
italiani, del resto «facili da accendersi per l’impresa piemontese,
dati i legami abbastanza stretti che corrono da sempre tra di essa e i
nostri quotidiani più importanti». Al coro si sono uniti i soliti
sindacalisti Cisl e Uil, nonché “Il Sole 24 Ore”, che parla di «successo
del sistema
Italia». Successo «del tutto relativo», secondo Vincenzo Comito, vista
la quasi-estinzione della decantata “italianità” della Fiat: da tempo,
un colosso come Fiat Industrial (camion, trattori, ruspe) «veleggia da
un paradiso fiscale all’altro e l’Italia appare l’ultima delle sue
preoccupazioni». Ora tocca all’auto. «Quasi ovviamente, il quartier
generale del raggruppamento Fiat-Chrysler sarà trasferito negli Stati
Uniti e rischiamo quindi di perdere qualche migliaio di posti di lavoro a
Torino». Del resto, le vendite e la produzione in Italia sono briciole,
mentre il titolo sarà quotato principalmente alla borsa di New York.
Per far digerire meglio la pillola all’opinione pubblica del nostro
paese, scrive Comito sul “Manifesto” in una riflessione ripresa da “Micromega”, il management
confermerà per l’Italia un po’ di investimenti per la produzione di
alcuni modelli. Il governo ne approfitterà per chiedere almeno notizie
sul destino di Mirafiori e Cassino, come degli altri stabilimenti
italiani? A prima vista, i gestori delle “larghe intese” sembrano
«occupati in ben più importanti faccende». In ogni caso, oltre a
sviluppare singergie produttive, la fusione con Chrysler dovrebbe
permettere alla Fiat di «mettere le mani sul tesoretto finanziario
dell’azienda Usa», sperando che questo le consenta di investire anche in Italia. «Più che di un successo del sistema
Italia – scrive Comito – si potrebbe parlare di un successo degli
azionisti, guidati dal pirotecnico Lapo Elkann, clone di Marchionne;
alla notizia della fusione i titoli del Lingotto sono subito saliti in
misura rilevante. Anche l’amministratore delegato troverà il suo
tornaconto nella faccenda, perché potrà consolidare da noi la fama di
manager miracolo e vedere anche aumentati i suoi bonus di fine anno».
Quanto alla presunta abilità negoziale di Marchionne, il sindacato
statunitense aveva chiesto 5 miliardi di dollari per concludere
l’affare, mentre il manager Fiat aveva dichiarato con sdegno che il
prezzo giusto era di soli 2 miliardi. «Ora scopriamo che la Veba ha
ottenuto 4,35 miliardi; si tratta di una cifra molto più vicina alle
richieste statunitensi che all’offerta italiana». Di positivo per Torino
c’è il fatto che la parte più importante dell’esborso per l’acquisto
del 41,5% della Chrysler verrà sostenuto dalla stessa casa americana,
mentre l’azienda torinese dovrà pagare soltanto 1,75 miliardi di dollari
e non sarebbe obbligata, almeno nell’immediato, a dover ricorrere ad un
aumento di capitale, scelta peraltro probabilmente ineludibile tra
qualche tempo. Con la fusione si costituisce il settimo gruppo
automobilistico mondiale, che avrà comunque molte difficoltà a lottare
con i veri protagonisti del settore. «Lo stesso Marchionne aveva
dichiarato alcuni anni fa che per stare adeguatamente sul mercato
bisognava produrre almeno sei milioni di vetture, ma nel 2013 la Fiat-Chrysler ne avrà consegnate forse poco più di quattro milioni».
Il gruppo resta forte in Brasile e resiste negli Usa, mentre è assente nel mercato più importante del mondo – l’Asia – e anche in Russia, area che diventerà la prima in Europa, scavalcando la Germania.
La gamma di fascia alta include l’Alfa Romeo e soprattutto la Maserati,
la cui proiezione parla di 50.000 vetture l’anno, mentre Mercedes, Bmw e
Audi veleggiano ormai su milioni di unità. Nella fascia mediana reggono
i pick-up della Crhysler (che però fatica sulle berline), mentre nella
fascia bassa la Fiat presidia il mercato con pochissimi modelli, come la
Panda e la Cinquecento. Per farcela, secondo Comito, Fiat-Chrysler
dovrebbe cercare un alleato strategico in Asia, altrimenti «la stessa
sopravvivenza del gruppo potrebbe essere messa in discussione nei
prossimi anni», a partire dal 2014 che si annuncia «molto movimentato
per i lavoratori del gruppo».
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