Le cifre sono allarmanti, ma spiegano solo in parte il dramma sociale in atto: il totale degli affidati in sofferenza ha ormai raggiunto la cifra di 1.205.000 soggetti, di cui 1.015.369 per importi inferiori a 125 mila euro. Sono colpiti i piccoli operatori economici, artigiani e commercianti, così come le imprese, specie quelle del settore costruzioni, esposto per il 200% del valore aggiunto il che equivale a dire che per ripagare i debiti sarebbe necessaria l’intera produzione dei prossimi due anni. Ma le sofferenze ormai hanno investito anche le famiglie: le sofferenze sui mutui ed i crediti al consumo rappresentano il 5,5 % del totale, quasi il doppio del 2007.
Dietro questi numeri, oltre al disagio dell’economia, emergono le preoccupazioni del sistema bancario alla vigilia degli stress test della Bce. Le banche stringono i cordoni della borsa e moltiplicano le manovre difensive (a partire dalle cartolarizzazioni) prima degli esami. Ancora una volta, insomma, l’appuntamento con l’Europa si traduce in un supplemento di rigore per il credito di casa nostra. Sperando che, finalmente, alla fine tanti sforzi vengano premiati. Come è accaduto di rado in questi anni, a giudicare da altri numeri. Dieci anni fa, nel 2004, anno quinto dalla nascita dell’euro, l’Italia ha subìto un sorpasso storico passato all’epoca quasi inosservato: il reddito pro-capite a parità di potere d’acquisto del Bel Paese quell’anno è scivolato, per la prima volta, sotto la media europea passando dal 102,5% del 1995 al 97,4%. Da allora le cose sono andate peggiorando in maniera sensibile, come ci informa un grafico di The Economist dai numeri così spietati da rendere inutili i commenti: il reddito pro capite è cresciuto ovunque, Grecia e Portogallo comprese, nonostante la crisi economica e le recessioni. Meno che in Italia dove, dati del Fondo Monetario alla mano, il reddito reale è sceso di tre punti abbondanti.
Colpa dell’euro? Non solo. Nella classifica il Bel Paese è ampiamente superata sia dai Paesi che aderiscono all’euro che dalla Gran Bretagna, che a fine millennio aveva un reddito pro-capite simile al nostro che negli ultimi 15 anni ha distanziato in maniera sensibile l’Italia: 31.450 euro di reddito annuo contro 26.000. Ma è riuscito a perder colpi nei confronti del resto dell’Eurozona che oggi vanta un reddito medio di un buon 13% superiore a quello italiano. Per effetto della crescita tedesca e di quella finlandese (in entrambi i Paesi il reddito è cresciuto del 21% nel periodo), ma non solo se si pensa che la Grecia, nonostante la tremenda crisi di questi anni, è comunque su del 3% rispetto al ’99.
L’euro, insomma, per qualcuno ha avuto effetti positivi. Anzi, qualche effetto benefico c’è stato per quasi tutti. Se ci limitiamo alla questione bancaria, pur così importante, prendiamo atto che in questi anni le banche francesi e tedesche sono riuscite a recuperare i capitali investiti in Irlanda, Grecia o Portogallo. Magari adoperando mezzi drastici, come lamenta Dublino, obbligata a ripagare per intero i debiti delle sue banche senza potersi rivalere su azionisti e creditori (in buona parte gli istituti tedeschi): I Paesi della cosiddetta “periferia”, pur stremati dalla politica imposta dall’ineffabile troika (oggi sotto tiro al Parlamento europeo) hanno comunque ricevuto i capitali per ripianare il passivo. E l’Italia? Tra Efsf e fondi Ems, il Bel Paese ha versato finora 56 miliardi destinati al salvataggio delle banche di Portogallo, Irlanda, Grecia e Cipro verso cui i nostri istituti avevano esposizioni limitate o nulle (a differenza di francesi e tedeschi). Non ha visto finora un solo euro d’aiuti. E difficilmente ne vedrà in futuro.
Ugo Bertone
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