giovedì 30 giugno 2011

La porno segretaria di partito

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30/06/2011 10:52:44
La porno segretaria di partito imbarzza i democratici Rossi di vergogna: la ragazza recita in un film porno

E meno male che il vento cambia, verrebbe da dire. Il problema, a mettere ordine nell’ultimo caso moral-erotico che riguarda il Partito democratico, è che soffia dove vuole. E che se ne infischia, il vento, dei precetti moralistici che a volte fanno comodo. Quando riguardano gli altri. Così a scaldare, è proprio il caso di dirlo, il  principale partito d’opposizione, provocando imbarazzi non da poco, è un filmino hard. Trattasi un video a luci rosse, prodotto da una casa di produzione specializzata in pellicole amatoriali, fatte cioè con attori non professionisti. Si intitola “È venuto a saperlo mia madre”. Che, rispetto agli altri film della casa, la CentoXcento, è tra i più sobri. Ne citiamo alcuni dal catalogo: “Le avventure del Dott. Sborrosio”, “Più maiale di così”, “Il ritorno di gole profonde”, “Spruzza te che bevo io”. E via così. Niente di strano. Il problema è che una delle attrici è (anzi era) la segretaria di un circolo del Pd di San Miniato, comune del pisano, nonché segretaria comunale del Pd e componente dell’assemblea nazionale dei Giovani Democratici, dove ricopriva l’incarico di Responsabile Diritti Civili di Pisa. La giovane, laureata da poco in Lettere con ottimi voti, è descritta da chi la conosce come «una ragazza molto colta, appassionata di lettura, un’intelligenza molto vivace» e «molto attiva politicamente». Una brillante militante. Venticinque anni, bionda, carina. Fatti miei, avrà pensato, se mi diverto a fare un filmino a luci rosse. A febbraio si dà all’opera. Ha una mascherina, pensa di non essere riconoscibile. Invece non sfugge all’occhio di qualche appassionato del circondario (evidentemente frequentatore del Pd). La notizia esce sui giornali locali. Apriti cielo. Ovviamente arriva anche a casa. La poveretta è costretta a dimettersi dall’incarico, si dice spinta dai vertici locali. Anche se ieri Francesco Nocchi, segretario provinciale Pd di Pisa, e Massimo Baldacci, segretario comunale del Pd di San Miniato, hanno smentito qualunque pressione. Non solo «non è stata sospesa», hanno spiegato, «ma è ancora regolarmente iscritta». Semplicemente, «da alcuni mesi si è allontanata, senza che sia intervenuta nessuna rottura politica, per motivi personali e di studio». Quindi si definisce «sbagliato» e «disgustoso «il clamore» attorno alla vicenda. «Una giovane  donna di venticinque anni, che non ha coinvolto altri che se stessa nelle proprie azioni e che deve risponderne solo a se stessa ha il diritto di essere lasciata in pace». Ha diritto sì. Il problema è l’imbarazzo che ha provocato nel Pd. L’episodio, infatti, che, a proposito di corpo femminile, segue la polemica sul manifesto della Festa dell’Unità di Roma, quello con la gonna sollevata alla Marylin Monroe, è arrivato anche in Transatlantico. La reazione generale, tra i democratici, è il no comment. O il sospiro di sollievo alla notizia che si è dimessa. Con alcune eccezioni. «Intanto», spiega a Libero Marina Sereni, «era adulta e consapevole di quello che faceva. Io non lo farei. Ma non me la sento di giudicarla. E non vedo quale articolo dello Statuto si possa usare per espellerla». E l’uso del corpo delle donne? E la tanto deprecata mercificazione del corpo femminile, oggetto di una manifestazione? Sereni spiega che «altra cosa è essere indifferenti quando un occhio maschile usa il corpo della donna». Per quanto, lei stessa ammette, i fruitori di filmini hard sono maschi. E dunque? «Insomma, qui non c’è reato. Si può discutere sulla scelta, ma non è paragonabile al bunga-bunga». Anche Marianna Madia, giovane deputata del Pd, inizialmente interdetta dalla vicenda, la difende: «Facesse quello che vuole. Se ha deciso liberamente di fare quel film, non vedo il problema. Non me la sento di dire che deve andarsene». Quanto alla discussione di pochi mesi fa sull’immagine femminile, Madia riconosce che «in quel dibattito, sì, c’è stato un velo di ipocrisia». E quindi onore all’attrice porno che l’ha svelata? Paola Concia non ha dubbi: «È adulta e vaccinata. Le piace fare i film porno? Bene. Solo in Italia ci stupiamo di queste cose». Ma allora che differenza c’è con le ragazze dell’Olgettina? «È diverso. Chi ha incarichi pubblici deve avere comportamenti sobri. Questa ragazza non aveva incarichi pubblici. E se una persona adulta sceglie liberamente di fare quell’esperienza, non ci trovo alcuno scandalo. Poi il fatto che le donne usino il corpo per il piacere maschile è un altro conto...». Insomma, la questione è scivolosa e dibattuta. Ma un punto, forse, è fermo: fino agli incarichi di partito, il filmino si può fare. di Elisa Calessi

L'antenna arriva in Consiglio Insieme agli hooligan

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30/06/2011 07:51:30


A Cinisello si infiamma la seduta dedicata alla discussione del progetto di Wind in via Cilea: si sfiora la rissa tra politici e cittadini quando la maggioranza vota contro la proposta di anticipare il tema come primo della serata

mercoledì 29 giugno 2011

Quotidiano.net: Rifiuti, la Ue paventa nuove sanzioni

L\'ITALIA CORRE IL RISCHIO DI INCORRERE IN NUOVE SANZIONI DELL\'UNIONE EUROPEA PER QUEL CHE RIGUARDA LA QUESTIONI RIFIUTI. E quindi, anzichè sbloccare i milioni di euro congelati a seguito di una condanna del 2010 da parte della Corte di Giustizia Europea, il Paese potrebbe andare incontro ad una nuova multa. IL COMMISSARIO EUROPEO ALL\'AMBIENTE, JANEZ POTOCNIK, HA LANCIATO L\'ALLARME: "Sto seguendo da vicino la situazione, e osservando le immagini di Napoli vedo che il problema non è risolto e che la situazione sta addirittura peggiorando". Proprio per questo, il commissario non esclude che si possa "riaprire una procedura d'infrazione". Accanto a questa dura analisi, il commissario Potocnik ha teso la mano all'Italia, alla luce "dell'impegno del nuovo sindaco di Napoli". Anche per questo "la commissione è pronta a cooperare con le autorità italiane in ogni modo utile per raggiungere il risultato positivo". Autorità che, ad onor del vero, si sono spaccate sulla gestione dell'emergenza campana, con la Lega di traverso per quel che riguarda il decreto per il trasporto dei rifiuti in altre Regioni. Links: ------ [1] http://magazine.quotidiano.net/HTTP://MAGAZINE.QUOTIDIANO.NET/ECQUO/FILES/2011/06/UE.JPG

Fede e politica. Ora i cattolici devono uscire da sacrestie

Da libero
Fede e politica. Ora i cattolici devono uscire da sacrestie
Ultime elezioni hanno riaperto il dibattito: restare uniti? E con chi schierarsi? Prima però serve una presa di coscienza / Socci
«I cattolici sono stati determinanti» nell’esito dei referendum, come dice orgogliosamente l’Azione cattolica? O così hanno tradito la dottrina sociale della Chiesa e vanno verso il suicidio come argomenta Luigi Amicone (con il suicidio aggiuntivo dell’ethos pubblico come aggiunge Pietro De Marco)?

Alcune realtà del mondo cattolico sottolineano festosamente il “risveglio” dell’impegno per il  bene comune. Ma un volantino di Comunione e liberazione invita saggiamente  «ad essere meno ingenui sul potere salvifico della politica». Al tempo stesso bisogna rispondere all’appello del Papa e dei vescovi che chiamano i cattolici all’impegno politico. Come si vede una situazione in cui è difficilissimo orientarsi e capire, tanto per i semplici cristiani che per gli addetti ai lavori. Cosa sta succedendo nel mondo cattolico? E cosa accadrà con i nuovi scenari politici?

COSA FARE?
Si può parlare ancora di unità dei cattolici? E su cosa, come e dove? O si torna alla diaspora? C’è il rischio della subalternità culturale degli anni Settanta? C’è in vista una Dc di ricambio? O forse è meglio puntare su più partiti? O addirittura su un movimento cattolico che lavori nella società, dove sono nati tutti i movimenti che oggi condizionano i partiti?
Negli ambienti della Cei si valorizza molto la relazione di Lorenzo Ornaghi, rettore della Cattolica, al X Forum del “Progetto culturale” dedicato ai 150 anni del’Unità d’Italia.

Ornaghi invita i cattolici a «tornare ad essere con decisione “guelfi”, spiegando: «Abbiamo sempre più bisogno di una visione politica dalle radici e dalle qualità genuinamente e coerentemente “cattoliche”». Quel tornare decisamente “guelfi” per Ornaghi significa che i cattolici devono rivendicare la radice cattolica dell’italianità e devono affermare che «rispetto ad altre “identità” culturali che sono state protagoniste della storia unitaria (…) disponiamo di idee più appropriate alla soluzione dei problemi del presente. E siamo ancora dotati di strumenti d’azione meno obsoleti o improvvisati». Affermazioni importanti, ma che dovrebbero essere spiegate nel dettaglio, sostanziate e anche discusse. In ogni caso affermazioni di cui ancora non si vede la conseguenza pratica, fattuale. Così le domande aumentano.

Solo che rispondere direttamente ad esse è impossibile perché – quando si parla della Chiesa – bisogna partire da altro, da una questione che sembra esterna ed è di natura teologica. Tutti la danno per scontata, ma non lo è. Riguarda la natura stessa del fatto cristiano e la concezione della Chiesa. È su questo che non c’è chiarezza dentro lo stesso mondo cattolico. E da qui deriva poi la confusione sulle scelte storiche. Provo a riassumere con due citazioni quella che a me pare la strada giusta. La prima è di Dostoevskij: «Molti pensano che sia sufficiente credere nella morale di Cristo per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l’insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne».

CORPO MISTERIOSO
Il grande scrittore russo qui coglie il punto: i cristiani non portano nel mondo anzitutto un “supplemento d’anima”, un richiamo etico, una concezione della politica o del Paese o una cultura. Queste sono conseguenze. Portano anzitutto un fatto, un corpo misterioso, umano e divino, un popolo che è anche - di per sé - un soggetto politico che ha cambiato e cambia la storia.
A conferma vorrei richiamare una pagina memorabile di sant’Agostino rivolto ai “pelagiani”, cioè coloro che degradavano il cristianesimo a una costruzione umana, a un proprio sforzo morale: «Questo è l’orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel suo esempio, e non nel dono della sua Persona».

Leggendo questi due grandi autori cristiani si capisce ciò che insegna la tradizione cristiana: il gesto più potente di cambiamento del mondo - per i cristiani - è la Messa. Più potente di eserciti, poteri finanziari, stati e rivoluzioni, perché è l’irrompere di Dio fatto uomo nella storia, l’atto con cui Dio prende su di sé tutto il Male e lo sconfigge, liberandolo gli uomini. Ma non capirebbe nulla di cristianesimo chi credesse che la messa sia solo quel famoso rito domenicale. No. Per il popolo cristiano la messa, da quel 7 aprile dell’anno 30 in cui il Salvatore fu crocifisso, non è mai finita: è una sinfonia la cui ultima nota coinciderà con la trasfigurazione dell’intero universo. Quell’evento abbraccia tutta la giornata e tutta la vita, tutta la realtà, tutta la storia e tutto il cosmo. E li cambia.

PARTITO NATURALE
Non a caso uno dei più grandi pensatori cattolici moderni, il cardinal Newman afferma che la Chiesa stessa “è” un partito: «Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi. Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo, ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l’indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo. Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche».
È tanto vero ciò che dice Newman che la Chiesa è stata la più grande forza di cambiamento della storia: ha letteralmente costruito civiltà (tutte le “istituzioni” del mondo moderno, dagli ospedali alle università, dalla democrazia al diritto internazionale, fino al progresso scientifico-tecnologico-commerciale, sono nate nell’alveo cattolico).

Perfino quel sacro Romano Impero che ha generato l’Europa e poi partiti, dal partito guelfo del medioevo alle Democrazie cristiane del Novecento (il nostro stesso Paese è stato letteralmente salvato dalla Dc che gli ha garantito libertà, unità e prosperità nell’Europa dei totalitarismi). C’è chi ha cercato e cerca di impedire in ogni modo ai cristiani di esprimersi e costruire. Lo hanno fatto i totalitarismi moderni e le ideologie degli anni Settanta che pure in Italia pretendevano di zittire violentemente i cattolici. Ma anche una certa cultura laica occidentale oggi prova a delegittimare la presenza dei cattolici.

SALE DEL MONDO
Ancora Newman scriveva: «Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. È vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli».

La cosa peggiore però è quando il sale diventa scipito, cioè quando sono i cattolici stessi a escludersi, a rinchiudersi nelle sacrestie o ad andare a ruota delle ideologie mondane più forti. Dunque la Chiesa deve avere una sola preoccupazione: che (anche nei seminari e nelle facoltà teologiche) si annunci davvero il fatto cristiano nella sua verità e integralità, che nelle parrocchie, nelle associazioni, nei movimenti  lo si viva in tutte le sue dimensioni (la cultura, la carità e la missione) alla sequela del Papa. Che non si lasci solo Radio Maria a fornire ai semplici cristiani l’aiuto per un giudizio cristiano sulla realtà. Che il popolo cristiano si veda e illumini la vita pubblica.

martedì 28 giugno 2011

Sfruttamento lavoro minorile

Sfruttavano minorenni, 16 arresti
COSENZA - I carabinieri hanno eseguito in provincia di Cosenza un'operazione contro lo sfruttamento della prostituzione minorile, arrestando 16 persone. Alle persone coinvolte vengono contestati i reati di di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile. Dalle indagini, avviate nel 2010, e' emerso 'uno scenario agghiacciante' che coinvolge ragazze minorenni italiane avviate alla prostituzione dall'eta' di dodici anni e una vasta clientela di insospettabili.

I cestini traboccano di pattumiera? A svuotarli ci pensa l'assessore

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27/06/2011 19:22:47
I cestini traboccano di pattumiera? A svuotarli ci pensa l'assessore

Cinque giorni senza che la Core passi da via Picardi e i cestini disposti lungo la strada sono colmi di rifiuti. L'assessore Amato interviene andando a risolvere di persona la situazione

lunedì 27 giugno 2011

Rifondare la destra/3: "Cari amici, dovete evolvervi"

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18/06/2011 11:24:00
Rifondare la destra/3: "Cari amici, dovete evolvervi"

Sulle pagine di Libero prosegue il dibattito: quale il futuro di un mondo politico e culturale che ci auguriamo non perda i propri punti di riferimento, ora che i finiani hanno definitivamente arenato il proprio partitino? Venerdì il duro intervento di Alessandro Campi e la ricetta proposta da Camillo Langone . Sabato si prosegue con Giampiero Mughini (di seguito) e le considerazioni del sottosegreatrio Alfredo Mantovano. Ho letto con molto piacere l’intervento di Alessandro Campi , di cui apprezzavo il lavoro di suggeritore intellettuale fatto nei confronti dell’ultimo Gianfranco Fini, un lavoro il cui fallimento lui lealmente dichiara in termini estranei tanto al politichese quanto alle tirate narcisistiche di  Camillo Langone: «Una vera e propria catastrofe politico-antropologica, una sorta di collasso emotivo-caratteriale che ha finito per coinvolgere, al centro come alla periferia, un’intera comunità politica», così ha scritto il professor Campi. Di quella “comunità”, come ciascun lettore di Libero sa, non ho mai fatto parte. Tutt’altro. Epperò da almeno trent’anni la rispetto, cerco di capirne le dinamiche e i valori trainanti, conosco e sono talvolta amico di alcuni dei suoi attori protagonisti. Campi l’ho conosciuto poco, ma conoscevo benissimo e amavo Giano Accame, sono amico fraterno di Stenio Solinas e di Giuseppe Del Ninno, sono stato a cena (assieme a Massimo Cacciari) a casa di Gianfranco de Turris quando una tale cena era tabù dal punto di vista del politically correct; quanto a Marcello Veneziani, amicalmente dissentiamo su quasi tutto da un’infinità di anni, ma è un dissenso per me utile e stimolante. IL COLLANTE DI UNA COMUNITA' Ebbene che cosa resta oggi a identificare e fare da collante di quella “comunità”, oggi che siamo a quasi vent’anni dalla distruzione della Prima Repubblica e dunque dalla resurrezione politica di quello che era stato il Msi e divenne An? Esiste oggi nelle venature del nostro Paese una realtà antropologica e culturale che ti fa dire che quello o quella è “di destra”? Eccome no, dice Langone, basta appigliarsi e dondolarsi alla triade fatale «Dio, Patria e Famiglia». Bastasse questo a farci felici, sarebbe tutto molto più facile. Nell’Italia del terzo millennio le cose sono dannatamente più complicate. Dio sta ovviamente al centro di un Paese di identità cristiana come il nostro, solo che i problemi cominciano subito dopo. Che fare e come atteggiarsi nei confronti di quelli che a Dio non credono o che ne hanno un tutt’altro di Dio?  E dunque l’immigrazione di massa, se sì o no consentire agli islamici di pregare in un luogo di devozione a loro destinato, e poi quella faccenda di Eluana che dopo 17 anni di coma era ridotta a una corteccia e non restava che chiuderla ufficialmente la pagina della sua vita, una vita di cui non c’era più la benché minima traccia, e io sono rimasto allibito quando ho letto su questo giornale un qualche raffronto tra Eluana e il caso del mio amico Lamberto Sposini che è vivissimo adesso ma che lo era anche al momento più terrificante della sua tragedia. UNA PATRIA TROPPO LACERATA E quanto alla Patria, ne trovate pochi oggi di cretini che non la tengano in gran cale, epperò è un fatto che è una patria lacerata, divisa all’estremo tra Nord e Sud, tra il centro delle città e le loro periferie, tra chi paga il cento per cento delle tasse dovute e ne viene strangolato e chi riesce  evadere la metà o più del suo reddito. E la famiglia? Ma come non rendersi conto che il “moderno” ha travolto l’unicità della famiglia tradizionale, che nella vita di molti di noi di famiglie ce ne sono tre o quattro, e poi ci sono le famiglie non santificate dal sacramento (vivo da vent’anni con una donna che è la mia cara compagna, ma non siamo sposati e per il momento non ci pensiamo neppure un minuto). E poi, scandalo!, le famiglie che conosco e sono fra le più intensamente “famiglie” che io conosca, e dove c’è un lui e un altro. Che ne dite di tutto questo cari amici di destra? Come lo giudicate? Il fatto è che già vent’anni fa, quando il mondo della destra uscì dalla «fogna» (espressione di Marco Tarchi, uno dei padri della nuova destra) dov’era stato costretto dalla guerra civile strisciante post-1945 - guerra civile strisciante durata almeno una quarantina d’anni contro i due che era durata la guerra civile vera -, l’esser di destra aveva perduto la gran parte del suo profilo. L'INTUIZIONE DI GIANFRANCO FINI E questo Fini lo aveva capito nitidamente, anche se di tanto la sua fragilità culturale lo spingeva verso l’una o l’altra gaffe. Vi ricordate il suo augurio che i ragazzi delle scuole elementari e medie non avessero un insegnante omosessuale? Davvero non so quali siano state le stimmate politico-culturali di An durante i quindici anni di alleanza con Silvio Berlusconi. Per parlare di cose concrete, mi ricordo la volta che An fece resistenza contro un qualche timidissimo tentativo dell’ala liberale della coalizione di rendere meno rigida e intoccabile la condizione del pubblico impiego, lì dove il posto è sicuro e dove si torna a casetta alle 14 (non tutti, lo so). Solo che il pubblico impiego di elettori ad An ne forniva tanti, e andavano coccolati. UN TENTATIVO DI CAMBIARE Il Fini ultimo (e dietro c’era Campi) è stato un tentativo di disegnare sulla pelle degli uomini di destra delle stimmate atte al presente. Da cui la sua posizione in materia di immigrati, posizione che correggeva profondamente il suo pur recente curriculum in materia.  E poi c’era che per la prima volta nella coalizione di centro-destra si levava una voce dissonante rispetto a quella del Gran Capo e del Gran Dominus della coalizione. Molto più che non le raffiche di articoli sulla casa di Montecarlo (una brutta faccenda, certo), sarebbe stato prezioso un confronto sui contenuti all’interno di quella coalizione. Comincia da lì il «disastro» politico e antropologico di cui scrive Campi, un disastro di cui è sotto gli occhi di tutti che non riguarda solo Fini. Riguarda tutti ma proprio tutti della coalizione di centrodestra. Le identità da inverare nel presente. Il che fare e mentre va a pezzi un equilibrio politico-economico mondiale, e nella lista dei malati noi siamo subito dopo la Grecia. Se sia possibile allentare la corda del boia fiscale e mentre non c’è una lira in nessun cassetto. Basta pronunciare che i magistrati d’accusa sono malati di mente, perché ogni volta ne vanno via voti a caterve. Tutto questo è di sinistra o di destra o di centro? Me ne sbatto al massimo delle mie possibilità. di Giampiero Mughini

Rifondare la destra: / 2 Ripartiamo dai doveri

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17/06/2011 11:29:00
Rifondare la destra: / 2 Ripartiamo dai doveri

La destra ha un futuro, in questo crepuscolo del berlusconismo? Alessandro Campi, studioso di politica e consigliere di Gianfranco Fini al momento della fondazione di Futuro e Libertà (alla storia il compito di dirci se la colpa (è stata più del consigliere o del consigliato), afferma che non ce l’ha. Sarebbe facile rispondere che l’avvenire più in bilico è proprio quello del Fli (perfino Campi se n’è accorto, dissociandosi recentemente), ma vorrei prenderla un po’ più alta. Anche perché la domanda sulle sorti della destra non è una domanda da poco, non preoccupa solo finiani ed ex-finiani, ma angoscia tanti amici, tanti lettori avviliti dalle ripetute batoste subite dal governo. Io però non sono preoccupato più di tanto e provo a spiegare i motivi. Innanzitutto perché nel Berlusconi IV tutta questa destra non ce la vedo. Non bisogna fermarsi alle apparenze, alle dichiarazioni. Mi piace quello che dice Daniela Santanché, donna di destra dura e pura, però non mi sembra che il suo tardivo ingresso come sottosegretaria a-non-ho-capito-bene-che-cosa abbia spostato di un millimetro l’azione (o l’inazione) del governo. Mi sono quasi commosso quando Tremonti evocò con riverenza la triade Dio-Patria-Famiglia, ma, a parte che sono passati tre anni (non è che nel frattempo ha cambiato idea?), il sistema fiscale continua a punire i genitori con prole e a far pagare due volte (con le tasse e con le rette) chi manda i figli nelle scuole cattoliche, le uniche capaci di insegnare ai pargoli non dico a vivere ma almeno a farsi il segno della croce. Ignazio La Russa ha indubbiamente la faccia feroce e in questo mondo di ladri è uno dei pochi sinceri amici delle guardie, e in generale degli uomini in divisa, purtroppo il suo entusiasmo per l’insensata guerra di Libia ci ha regalato sbarchi che contribuiscono alla islamizzazione d’Italia. Potrei continuare a lungo questo elenco di parole senza fatti, o con fatti di segno contrario. Potrei anche completarlo citando alcuni personaggi (soprattutto personagge, e passatemi la licenza poetica) che nel governo di centro-destra fin dall’inizio si sono comportate da quinte colonne, da infiltrate. Penso a Mara Carfagna che propugna una legge contro l’omofobia, ovvero contro la libertà di espressione e di giudizio, una legge che mette una spada di Damocle sopra l’intero cristianesimo dalle prediche domenicali alla Bibbia, libro che i sodomiti li seppellisce sotto una pioggia di fuoco. Penso a Stefania Prestigiacomo che alle Pari Opportunità ha dato il suo zelante contributo alla distruzione della figura paterna e da quando governa l’Ambiente non ha fatto nulla per smontare i miti sinistri del surriscaldamento globale, dell’effetto serra, delle energie rinnovabili, anzi li ha fatti propri. Penso alla ministra Brambilla e alla sottosegretaria Martini, instancabili combattenti del più fanatico animalismo, incrocio fra paganesimo e buddismo che mira a distruggere tradizioni antichissime e meravigliose come la caccia, il Palio di Siena, la pastissada de caval. Ecco perché non sono preoccupato oltremisura: di destra ne perdiamo davvero poca con la caduta prossima o lontana del governo Berlusconi. E che dire del centro-destra non governativo bensì amministrativo? Me la sa spiegare Campi la differenza tra una Polverini ansiosa di applaudire Lady Gaga e un Pisapia che appena insediatosi a Palazzo Marino ha pensato che per risolvere i problemi di Milano la cosa più essenziale fosse patrocinare l’Europride? Per non parlare di Alemanno, ambiguo come si pensava potessero essere solo certi democristiani, che forse non l’ha capito nemmeno lui se voleva sostenere il sabba omosessualista oppure no. Sono d’accordo, una destra simile non ha alcun futuro, se non altro perché nemmeno l’elettore meglio disposto riesce ormai a identificarla, a distinguerla dalla sinistra. Ripeto però che su questa faccenda non ci sto perdendo il sonno perché l’habitat naturale della destra è sempre stato prepolitico, extrapolitico, metapolitico, incrociando solo occasionalmente i riti superstiziosi della democrazia (compresa la superstizione più primitiva di tutte rappresentata dai referendum, istituto reso ostaggio delle plebi dalla sua natura brutalmente meccanica e numerica).  La destra, la vera destra, è divina, come scrisse Pasolini nella poesia in cui pochi giorni prima di morire si dimetteva da cattocomunista. Racchiuse un grande programma in un solo verso: «Difendere, conservare, pregare». Secondo me oggi la destra ha un futuro se ricorda di avere una funzione, e una funzione ce l’ha eccome: in questo momento soltanto lei può difendere l’idea antinichilista che una società sussiste solo basandosi sui doveri (verso i propri figli, i propri padri, la propria terra...), non sui diritti. Profetizzo quindi una stagione di battaglie ideali, durissime e bellissime. Di minoranza o di maggioranza? Non conta, perché «la maggioranza non può essere il principio ultimo, ci sono valori che nessuna maggioranza ha il diritto di abrogare». (Joseph Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, 2004). di Camillo Langone

Rifondare la destra / 1: nel deserto dell'ex Msi

Da libero
Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo ampi stralci dell’articolo Centrodestra, un fallimento umano di Alessandro Campi, contenuto nel numero in uscita della rivista Charta Minuta. L’oggetto di quest’intervento (...) dovrebbe essere il futuro della destra italiana. Ma esiste ancora in Italia una realtà politica minimamente omogenea che possa essere definita con questo termine? Si può immaginare il futuro di qualcosa che forse ha cessato di esistere? Da qualche tempo, ragionando sulle vicende che hanno portato, all’incirca un anno fa, alla traumatica rottura tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, alla successiva diaspora del gruppo dirigente che era confluito nel Popolo della libertà provenendo da Alleanza nazionale (e prim’ancora dell’Msi) e infine alla nascita, dopo un lungo travaglio, di una formazione a tutt’oggi dai contorni incerti quale Futuro e libertà, mi sono convinto che quello che molti osservatori hanno provato a descrivere come un processo di irreversibile divaricazione determinatosi all’interno di quel gruppo a partire da scelte, orientamenti e interessi che erano divenuti con tutta evidenza inconciliabili, in realtà si configuri - soprattutto se osservato a posteriori e con un relativo distacco - come una vera e propria catastrofe politico-antropologica, come una sorta di collasso emotivo-caratteriale che ha finito per coinvolgere, al centro come alla periferia, un’intera comunità politica, la cui conseguenza estrema rischia di essere, per l’appunto, la definitiva scomparsa della destra politico-culturale dalla scena pubblica nazionale. In che senso la parabola della destra italiana, per come si è realizzata negli ultimi mesi, in un crescendo di scontri, divisioni e incomprensioni, può essere rappresentata alla stregua di una catastrofe antropologica invece che come un fenomeno, per certi versi persino fisiologico, di metamorfosi e trasformazione politica o, nel peggiore dei casi, come un esempio nemmeno molto raro nella storia di disgregazione e consunzione storica? Di culture, famiglie e tradizioni politiche entrate in crisi e poi scomparse, perché dimostratesi non più in grado di reggere le sfide della storia e di risultare attrattive e convincenti agli occhi dei loro stessi sostenitori di un tempo, ne abbiamo conosciute diverse, anche nel corso della recente storia italiana. Basti pensare agli anni terminali della cosiddetta Prima Repubblica, che furono per l’appunto caratterizzati dalla crisi di credibilità, dalla perdita di legittimazione sociale e dalla successiva rapida scomparsa di tutte le famiglie politiche (dalla democristiana alla liberale, dalla socialista alla repubblicana) che per un cinquantennio circa avevano costituito il fondamento, sul piano dei valori e dell’azione di governo, del nostro sistema politico-istituzionale. Al tempo stesso, nel corso della storia, inclusa quella nazionale, abbiamo conosciuto fenomeni assai interessanti di adattamento, trasformazione e cambiamento, in alcuni casi anche parecchio radicali. Ciò è avvenuto tutte le volte che un partito, una comunità politica o una tradizione ideologica si sono trovati dinnanzi ad un tornante della storia ed hanno dimostrato di saperlo affrontare mettendo in gioco se stessi: le proprie basi dottrinarie come i propri orientamenti programmatici, il proprio stile d’azione e finanche il proprio linguaggio. È in virtù di un profondo processo di revisione, per fare un esempio, che il movimento laburista britannico è riuscito, sotto la guida di Tony Blair, a diventare una forza di governo credibile ed autorevole dopo il lungo domini o del partito conservatore e dopo che per decenni esso era rimasto inchiodato alla sua matrice tradizionalmente marxista. Qualcosa di analogo, con riferimento all’Italia, fece Craxi quando ruppe - in una prospettiva riformista-liberale e modernizzatrice - con una certa tradizione di socialismo massimalista che aveva condannato quest’ultimo ad una perpetua subalternità al comunismo. Insomma, un movimento politico-ideologico può, da un lato, scomparire brutalmente dalla scena, quando con ogni evidenza ha esaurito il suo ciclo vitale o visto affievolirsi le ragioni ideali che lo giustificavano dinnanzi alla storia, oppure, dall’altro, può assumere (...) una configurazione inedita, all’altezza dei tempi e delle esigenze nuove che la società pone continuamente alla politica, il che significa riuscire a contemperare il cambiamento con una relativa continuità nel tempo, la forza (necessaria) dell’innovazione con la salvaguardia (altrettanto necessaria) della tradizione. La realtà alla quale ci stiamo riferendo - la destra post-missina arrivata negli ultimi mesi al suo punto massimo di disgregazione e dispersione - non rientra in nessuna di queste due categorie. Non si può dire, ad esempio, che la sua sia una crisi di identità frutto di un cambio repentino del clima storico-culturale oppure l’esito inevitabile di una eccessiva permanenza al potere. Al contrario, la destra italiana è entrata con un ruolo da protagonista nel “grande gioco” della politica solo all’indomani della traumatica scomparsa dei partiti storici dell’Italia repubblicana. Può perciò essere considerata una forza relativamente giovane, tutt’altro che logorata dalla routine, non foss’altro perché è rimasta per decenni estranea agli equilibri di potere - sociale e politico - che hanno caratterizzato il precedente regime “partitocratico”. Per di più ha potuto sfruttare a proprio favore il cosiddetto “vento della storia”, vale a dire quel vero e proprio cambio epocale rappresentato dal tracollo irreversibile dell’utopia comunista e, più in generale, dalla crisi della cultura in senso lato progressista. Ma nemmeno si può dire che le sue fibrillazioni odierne, la confusione di strategia e di identità della quale la destra italiana attualmente soffre, siano il frutto di un qualche radicale e doloroso processo di revisione de i suoi orientamenti culturali di base o del suo storico patrimonio politico . Non c’è dunque una crisi di trasformazione o di crescita, con le inevitabili tensioni che ciò comporta, che possa giustificare il marasma nel quale essa è attualmente piombata, sino a disperdere le proprie energie in mille e infruttuosi rivoli. È vero, a suo tempo, nell’ormai lontano 1995, c’è stato il lavacro purificatore di Fiuggi, che all’epoca è sicuramente servito alla destra italiana per liberarsi agli occhi degli italiani dalle scorie del nostalgismo fascista; ma a conti fatti quell’episodio si è risolto in null’altro che in una gigantesca operazione di rimozione del passato e di azzeramento della propria memoria storica. La destra liberale, conservatrice, nazionale, riformista che all’epoca fu annunciata non è mai venuta alla luce con una qualche compiutezza, e ciò per la semplice ragione che alla revisione effettiva dei propri modelli e riferimenti culturali da allora in avanti si è preferito giustapporre uno stile politico, che ci si è compiaciuti di definire pragmatico e post-ideologico e che invece è stato soltanto mimetico e opportunistico. Quanto al più recente, e ben più serio, tentativo fatto da Gianfranco Fini di definire i contorni di una destra effettivamente “nuova” - il che altro non poteva significare che dare finalmente corpo e sostanza a quanto a Fiuggi era stato (...) annunciato - si è scoperto, ora che anche questo tentativo sembra essersi arenato, che dal mondo della destra politico-culturale d’estrazione missina esso è stato vissuto alla stregua di un’avventura solitaria e priva di costrutto, rispetto alla quale si è preferito alzare un muro di indifferenza e fastidio, quando non si è scomodata, per liquidarlo, la categoria sempre ricorrente del tradimento. Insomma, se la destra oggi rischia di scomparire dalla scena - di diventare socialmente, politicamente e culturalmente irrilevante e sterile dopo essere stata per un cinquantennio una realtà marginale ma a suo modo vitale e piena di fermenti - non è a causa dei travagli intellettuali e dei contrasti ideali che l’attraversano (che anzi si è cercato di sfuggire per quanto possibile senza rendersi conto che solo grazie ad essi questa stessa destra si sarebbe potuta trasformare in qualcosa di realmente nuovo senza per questo dover perdere o forzatamente rinnegare le sue più antiche e autentiche matrici); e non è nemmeno perché gli elettori o la storia le hanno repentinamente voltato le spalle sino a renderla superata e condannata ad una inevi tabi le senescenza. Anzi, all’ombra del potere berlusconiano, che per quanto incrinato resta tuttavia ancora solido, parte consistente di questa destra si sta godendo da anni una stagione di crescenti e perduranti successi mondani, come mai era accaduto nella sua storia. E allora cosa è accaduto che possa spiegare perché, ad esempio, all’interno stesso del mondo berlusconiano quelli che fino a qualche tempo fa erano considerati alleati affidabili e compagni di strada con i quali si era condivisa un’esaltante avventura politica vengano oggi sprezzantemente liquidati come “fascisti” o come esponenti, sempre più scomodi e sgraditi, di un mondo che si considera rimasto irrimediabilmente legato al passato, quasi che per essi vent’anni di storia siano trascorsi invano? Come è possibile, per fare un altro esempio, che le posizioni innovative di Fini, che sino a qualche tempo fa riscuotevano plausi e attenzioni ed erano valutate come il segno di un processo di cambiamento profondo e al tempo stesso autentico, oggi non riscuotano più alcun interesse e siano anzi guardate con crescente sufficienza? Come è possibile, per chiudere questa amara carrellata, che la destra rimasta organica al mondo berlusconiano, pur godendo di importanti spazi d’azione e di grandi responsabilità a livello governativo, non riesca a rendersi minimamente riconoscibile e visibile agli occhi dell’opinione pubblica e si trovi dunque costretta a inseguire o a subire in silenzio le battaglie e la campagne propagandistiche della Lega? La spiegazione che mi sono dato, sul filo della psicologia politica, è che nell’arco degli ultimi dodici mesi ciò a cui abbiamo assistito è stato il collasso per così dire nervoso, il cedimento emotivo e caratteriale, di un gruppo dirigente rimasto lungamente autoreferenziale e preda della deriva settaria che da sempre condanna all’estinzione i piccoli movimenti che basano la propria forza sulla chiusura verso il mondo circostante. Non avendo operato al suo interno, nel corso degli ultimi vent’anni, alcun sostanziale cambiamento, avendo rifiutato o rigettato qualunque innesto ricostituente dall’esterno, questo gruppo ha finito per consumarsi (...) in un crescendo di lotte fratricide e di contese dettate sostanzialmente da antichi livori personali e da ripicche spesso infantili. Quella che risulta (...) è una prova collettiva di immaturità politica che alla fine si è tradotta, più che in divisioni ideologiche e in differenti orizzonti d’azione, in litigi personali e nella rottura traumatica dei legami di solidarietà (e in alcuni di vera e propria amicizia) che erano stati il loro vero cemento. Se da un lato ha dunque negativamente pesato il logoramento indotto da un eccesso di frequentazione e confidenza (...), dall’altro ha invece giocato un ruolo altrettanto negativo il permanere di riflessi mentali, di atteggiamenti e modi d’agire che, nei vent’anni in cui la destra italiana s’è trovata al ricoprire un ruolo pubblico eminente, sono in realtà rimasti i medesimi di quando essa costituiva un universo tenuto ai margini dalla politica ufficiale (...). Il consumarsi dei rapporti tra persone che all’improvviso (...), hanno semplicement e scoperto di non avere più nulla da dirsi di interessante si è insomma sovrapposto al perdurare di vecchi e rovinosi tic: il settarismo, di cui si è detto, vale a dire la tendenza a frazionarsi e dividersi in gruppi sempre più minuscoli; il senso di alterità e di diffidenza verso un mondo esterno sempre percepito come estraneo e minaccioso; lo spirito di rivincita e il risentimento tipici di chi ha introiettato nel profondo del proprio animo la condizione dello sconfitto e del perdente; la disabitudine a intrecciare relazioni sociali paritarie con chi non provenga da un percorso formativo analogo al proprio; una postura sempre aggressiva e polemica che è caratteristica notoria delle persone insicure (...) ; e da ultimo un modo di impostare le proprie battaglie, politiche e culturali, sempre sul filo del dilettantismo e dell’improvvisazione (...). Ecco, è in questo senso che parlo - forse esagerando - d’una catastrofe politica, d’una crisi di identità e di strategia della destra italiana che mi sembra motivata più che altro da una somma di ma lumori personali e complessi stati d’animo, dall’esaurirsi della fiducia in se stessi proprio nel momento in cui essa si è trovata a capitalizzare il massimo dell’attenzione e dei consensi, dal rifiuto quasi patologico da parte del suo gruppo dirigente a mescolarsi col mondo, a mettersi seriamente alla prova dinnanzi ad una società in rapida e radicale trasformazione, a rimuovere le incrostazioni di un passato con il quale i conti non sono mai stati fatti sino in fondo. Le oscillazioni odierne della pattuglia finiana, che sonda ogni possibile strada senza decidersi a imboccarne nessuna, i silenzi e le indecisioni del medesimo Fini, l’obiettiva subalternità e la sostanziale mancanza di un progetto politico-culturale di quella parte di destra che ha deciso di affidare le proprie chance di sopravvivenza al perdurare del blocco di potere costruito da Berlusconi, la cattiva prova di sé, nel segno della disinvoltura se non del carrierismo (...), che in questi mesi hanno dato molti singoli esponenti di questo mondo: tutto ciò sembra suonare davvero come la “fine di un mondo”, come la pessima conclusione di una storia politica che avrebbe potuto avere ben altro corso se invece che perdersi in accuse reciproche di tradimento, in liti da fanciulli e in meschine vendette personali, come è accaduto, ci si fosse dimostrati per davvero (...) gli eredi di una tradizione che non ha mai disdegnato il rischio, l’avventura o l’andare controcorrente e che non ha mai anteposto il tornaconto dei singoli al bene comune e all’amor di patria.Suona ironico (...) l’individualismo esasperato di cui hanno saputo dar prova, nei momenti decisivi, coloro che per anni si sono riempiti la bocca di appelli allo spirito comunitario e al senso di appartenenza! Il futuro della destra italiana? Oggi, pensando le cose che ho detto, dinnanzi ad un fallimento che mi sembra umano prima che politico, davvero non saprei quale possa essere. di Alessandro Campi

Intolleranza al contrario: Milano vieta le chiese e s'inchina alle moschee

domenica 26 giugno 2011

ONU problema droga

Onu: 25 milioni i tossicodipendenti
26 giugno 2011 09:01

Circa 200 milioni di persone assumono droghe almeno una volta all'anno. Di questi, 25 milioni sono considerati tossicodipendenti e ogni anno 200.000 persone muoiono per malattie correlate all'uso droga.

Muove da questi dati la Giornata internazionale contro il consumo e il traffico illecito di droga, che si celebra oggi, indetta dall'Assemblea Generale dell'Onu nel 1987 per ricordare l'obiettivo comune a tutti gli stati membri di creare una comunità internazionale libera dalla droga.

L'ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine sceglie ogni anno il tema della giornata internazionale, lanciando campagne di sensibilizzazione sul problema della droga nel mondo e quest'anno il tema sarà quello della ''Salute''.

La campagna, si legge sul dito dell'Unicri, l'agenzia dell'Onu per la prevenzione del crimine, si rivolge ai giovani, che spesso parlano degli '' effetti da sballo'' delle droghe illegali, ma che il più delle volte non sono consapevoli dei molti ''effetti negativi.''

L'uso di stupefacenti è preoccupante proprio perché rappresenta una minaccia per la salute. Gli effetti negativi variano a seconda del tipo di droga consumata, delle dosi assunte e della frequenza del consumo. Tutte le droghe hanno effetti fisici immediati, ma possono anche gravemente compromettere lo sviluppo psicologico ed emotivo.

Condurre una vita sana richiede scelte che devono rispettare il corpo e la mente. E per fare queste scelte i giovani hanno bisogno di ispirarsi a modelli positivi e hanno bisogno di ottenere informazioni corrette riguardanti il consumo di droga. La campagna internazionale offre ai giovani proprio gli strumenti adeguati per informarsi sui rischi per la salute associati al consumo di droghe.

sabato 25 giugno 2011

MORO TOP SECRET (O QUASI)

- “L’HANNO PORTATO A MILANO”, DICEVANO I SERVIZI ALL’INDOMANI DEL RAPIMENTO - FRANCA RAME PEDINATA, TONI NEGRI SUPER SOSPETTATO, ERRORI, INDAGINI APPROSSIMATIVE, PISTA GIAPPONESE, TEDESCA, UNGHERESE… - LE CARTE DEGLI 007 SUL SEQUESTRO DEL LEADER DC DIVENTANO PUBBLICHE MA SVELANO SOPRATTUTTO UNA COSA: “I PRIMI FOMENTATORI DELLA DIETROLOGIA SONO STATI PROPRIO I SERVIZI, CON L´EFFICACISSIMA INTENZIONE DI ALZARE UNA CORTINA FUMOGENA SULLA LORO EFFETTIVA ATTIVITÀ”…

Alberto Custodero per "la Repubblica"

«Aldo Moro? L'hanno portato a Milano». Questo ipotizzavano i nostri servizi segreti all'indomani del sequestro dello statista dc. In quei giorni bui l'intelligence seguiva Franca Rame, sospettata di contiguità con le Brigate Rosse, pedinava l'avvocato Tina Lagostena Bassi mentre si recava in Cecoslovacchia, soprattutto era convinta che c'entrasse qualcosa Toni Negri.

I sospetti sul leader dell'Autonomia erano tali, che furono acquisitii nomi dei suoi laureati, dal 1974 al 1978, alla facoltà di scienze politiche a Padova. Sono solo alcuni dei frammenti contenuti nelle migliaia di carte sul "rapimento ed assassinio" dello statista democristiano che la Presidenza del Consiglio ha consegnato all'Archivio Centrale dello Stato.

RAPIMENTO ALDO MORO MANIFESTO

Dalla consultazione dei 56 fascicoli emerge uno spaccato sul disorientamento che colse gli 007 al momento della strage di via Fani - 16 marzo 1978 - e via via per tutta la durata del rapimento, culminato nell'uccisione di Moro, il 9 maggio successivo.
Moro? È a Milano I servizi ritengono che Moro sia sequestrato «nella zona di Milano», come rileva una nota del 17 marzo. Inseguono una pista giapponese: all'operazione «avrebbero partecipato due terroristi giapponesi Kasa Adachi e Harno Wako dell'Armata Rossa Giapponese.

ALDO MORO

Quindi s'instradano lungo «la pista tedesca», seguendo le tracce del terrorista Wilhelm Piroch, «che dal marzo 1978 si trova in Italia insieme a Gabriella Hartwig, come segnala nostro elemento che sta a Monaco». Ai primi di aprile ritengono che possa fornire spunti Silvano Maistrello, detto Kocis, un latitante al quale si propone di collaborare contattando la moglie, Luigina Chiozzotto. Maistrello tergiversa, poi accetta, la moglie lo comunica agli agenti, ma Maistrello viene ucciso durante una rapina ad una banca nel Veneziano. Due mesi dopo l'assassinio spunterà pure il filone ungherese. «All'interrogatorio di Moro avrebbe assistito un medico ungherese che lavora a Firenze», sostengono il 17 luglio 1978.

COPERTINA LEFT ALDO MORO

Il ruolo dei Palestinesi Durante i 55 giorni del rapimento attivano l'Olp: «Un esponente a Roma ha assunto la responsabilità della ricerca informativa a favore del caso Moro». I palestinesi non vengono coinvolti a caso. Il 18 febbraio 1978 il Sismi aveva archiviato questo dispaccio: «Fonte ambiente Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina) ha segnalato possibilità prossimo futuro operazione terroristica notevole portata in Europa da parte di elementi europei: potrebbe coinvolgere il nostro Paese».

ALDO MORO

Ma è un tentativo infruttuoso: il 18 aprile l'Olp alza bandiera bianca. «Arafat respinge qualsiasi collusione con le Br o di recenti contatti e prega d'informare le autorità italiane».
Intanto escono le lettere di Moro. La loro pubblicazione viene bollata come «destabilizzante per il quadro politico». I servizi temono che «l'attenzione dell'opinione pubblica» si focalizzi «sull'azione condotta dal Partito socialista», favorevole alla trattativa con le Brigate Rosse.

ALDO MORO PRIGIONIERO VISTO DA TULLIO PERICOLI

Sospettano che Sereno Freato, il segretario particolare di Moro a cui la moglie dello statista aveva delegato la gestione della vicenda, fosse il postino delle missive «fatte arrivare alla stampa». Scrivono: «In taluni ambienti c'è la preoccupazione che, documenti riservati raccolti da Moro e in possesso di Freato, siano stati passati, nel corso delle trattative svolte durante la detenzione di Moro, ad alcuni elementi delle Brigate Rosse».

Curcio non c'entra Gli 007 si rompono il capo nel decifrare l'identità dei sequestratori. Sulla base della lettura dei comunicati il 27 aprile giungono alla conclusione che Renato Curcio non può essere la mente del sequestro. Stilano questo identikit: «Una persona di 35-40 anni, formazione culturale non umanistica e non cattolica, anzi radicatamente marxista, con esperienze personali o ricordi trasmessi di modelli e valori "resistenziali"».

Le misure di Cossiga Gli agenti dell'intelligence redigono il verbale della prima riunione dell'unità di crisi istituita il giorno del sequestro e presieduta dal ministro dell'Interno Cossiga. Scrivono: Cossiga «si è soffermato sulla possibilità di «reintrodurre nell'ordinamento italiano una sorta di fermo di polizia». «Valutata l'opportunità di intercettazioni foniche e telefoniche anche "di fatto" per gli ambienti carcerari». «Il direttore del Sisde propone l'interrogatorio senza difensore degli indiziati di gravi reati». Il comandante generale dei carabinieri «propone di effettuare rastrellamenti metodici con il concorso dell'Esercito.

MORO RAPIMENTO1978

«Sotto il profilo politico è stata rimarcata da parte degli intervenuti la disponibilità del Pci a sostenere congrue misure di sicurezza». Cossiga prende anche in considerazione «la possibilità di esercitare un controllo sulla divulgazione, soprattutto a mezzo radio televisivo, di notizie idonee a turbare l'opinione pubblica».

I sospetti su Toni Negri Moro è morto da nove giorni quando Francesco Mazzola, sottosegretario alla Difesa con delega ai servizi - il 18 maggio 1978 - invita il generale Santovito ad approfondire la posizione di Toni Negri, chiedendogli di acquisire gli elenchi degli studenti che hanno frequentato le lezioni del professore: il suo sospetto è che alcuni di questi siano passati in clandestinità, specie «se mancano le loro foto in segreteria». Chiede di acquisire i libri di Negri, perché lo stile potrebbero essere simile a quello dei comunicati Br e di accertare i proprietari delle aree circostanti il lago della Duchessa e quelli dell'isola di Giannutri.

FRANCA RAME E DARIO FO

Santovito gli risponde il 9 agosto 1978. Ha acquisito l'elenco dei laureati con Negri alla facoltà di scienze politiche di Padova, dal febbraio 1974 al marzo 1978.
«Non sono scomparse fotografie dalla segreteria», aggiunge.
«Non risultano studenti passati in clandestinità». Le aree attorno alla Duchessa sono dell'Istituto Zootecnico di Roma e del Demanio. Nel 1985 Mazzola avrebbe pubblicato anonimo una ricostruzione romanzata del rapimento Moro, I giorni del diluvio, nella quale sostiene il ruolo primario di Gelli.

Nessuna pista internazionale È Bettino Craxi a sollevare, quando ormai il sequestro si è concluso tragicamente, l'interrogativo su Moro «nel mirino del terrorismo internazionale». I servizi, il 18 agosto del '78, smentiscono questa ipotesi. «È scontata - scrive l'intelligence - la simbiosi ideologica tra Br, Raf, Fpp palestinese, anarchici svizzeri e tupamaros sudamericani.
Tutti si considerano «anelli della stessa catena antimperialista e rivoluzionaria».

NEGRI TONI

Ma la "solidarietà proletaria" dei vari gruppi è varia. Mentre palestinesi, tedeschi, l'Jra nipponica e i feddajn hanno come campo d'azione il mondo, quello delle Brigate Rosse si limita alla sola Italia». E sostanziano con questo dato il loro ragionamento: «Gli uomini di Curcio hanno ucciso dal '74 in poi 25 persone tutte italiane. E tutte tra Cassino e Milano».
Franca Rame e Dario Fo «Due sospetti brigatisti - si legge in una nota Sisde del 20 gennaio 1979 - Alessio Floris e Rosolino Paglia avrebbero contatti con Franca Rame per organizzare spettacoli a fini di finanziamento delle Brigate Rosse».

CRAXI BETTINO

E in un'altra velina, dell'8 maggio 1979, si legge: «Diverse emittenti libere radioe tv della sinistra rivoluzionaria di varie città, costituite come società a San Marino, godono di ingenti finanziamenti, provenienti da canali sconosciuti, che consentono loro di sopravvivere data la assoluta mancanza di altri introiti palesi.

CON26 TINA LAGOSTENA BASSI GIANCARLO PARRETTI

Sovrintenderebbero al giro, senza apparire, Dario Fo, Franca Rame, l'avvocato Tina Lagostena Bassi e il marito, esperto di tecnica bancaria».I coniugi Lagostena vengono seguiti nei loro spostamenti: «Hanno un ingente conto in banca a San Marino. Hanno compiuto un viaggio a Cracovia da dove si sarebbero spostati in Cecoslovacchia, grazie a un visto concesso dalle autorità consolari cecoslovacche in Polonia».


Perché a Cicciolina si e a me no?

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PUBBLICATO DA GIOVANNI MORANDI SAB, 25/06/2011 - 07:19
Mi chiedo, perché Ilona Staller, in arte Cicciolina, deve prendere 3 mila euro di pensione per essere stata onorevole per pochi anni e io che sono stato un fesso che si è ammazzato di fatica per tutta la vita ne prendo mille al mese? Dove volete che vada questo paese costretto a mantenere partiti che nulla fanno e tutto pretendono? Bruno, ilgiorno.it
Mi permetto di correggerla, la signora Staller ancora non percepisce la pensione che le spetterà dal prossimo dicembre ovvero al compimento del sessantesimo anno e avrà un vitalizio di 2.486 euro al mese, che le sono dovuti per essere stata parlamentare del Partito Radicale, poi del Partito dell’Amore, per cinque anni, dal 1987 al ’92.
Un consiglio: la prossima volta si candidi anche lei e non stia e perdere tempo con un lavoro che le fa maturare una pensione da fame dopo tanti anni di fatica. Sui partiti famelici condivido la sua lamentela e già mi sento bollato come qualunquista ma chi se ne importa. Che cosa pensare di un sistema che ha visto crescere il finanziamento ai partiti, ma oggi per ipocrisia li chiamano rimborsi elettorali, del 1100 per cento in dieci anni? Una vergogna