sabato 9 febbraio 2019

10 Febbraio Giorno del Ricordo

DAL “LORO PUNTO DI VISTA”
Faccio parte del glorioso esercito del Compagno il Maresciallo Josip Broz Tito ed ho partecipato praticamente a tutto… Quando siamo sciamati nelle valli ci siamo trovati a combattere contro un esercito veramente tosto, mentre le nostre armi, procurateci dal Compagno Stalin e dagli angloamericani erano al di sotto delle loro. Così abbiamo attaccato quando eravamo più che sicuri di vincere, procurandoci ulteriori armamenti. Visto la loro pericolosità abbiamo offerto ai nemici, in caso di resa una più che onorevole soluzione, e loro, poveri gonzi, a volte ci hanno creduto, affidandosi alle nostre “amorevoli cure”. Poi la guerra ci ha favorito ed ora stiamo occupando le città, cacciandone via gli italiani, i fascisti… Questi pidocchi, che ci hanno angustiato fin dai tempi della Serenissima e che odio con tutto il cuore devono andarsene dalla nostra terra, con le buone, o meglio ancora con le cattive. Abbiamo provveduto con le loro donne, senza distinzione di età, sollazzandoci fino a che ne avevamo voglia e poi dedicando loro attenzioni che si sono protratte a lungo nel tempo fino alla loro fine. Stesso trattamento alle mogli ed alle figlie dei matrimoni misti tra loro e la nostra gente. Poi ci siamo occupati del resto. Avendo infatti molti prigionieri, bocche da sfamare, anche se in verità per queste mansioni ci occupavamo ben poco, ma non potendo rischiare di essere appesi ad ogni palo delle nostre magnifiche coste, dei nostri monti e delle nostre valli (il nostro compagno Maresciallo Josip Broz Tito non era molto paziente con chi, consapevolmente o no danneggiava la sua immagine ideale) abbiamo appunto chiesto a Lui come dovevamo agire. La Sua risposta inequivocabile “sbarazzatevene con discrezione” ci diede via libera… Una spinta nelle cavità carsiche per chi amava la montagna, una pietra al collo per chi preferiva il mare… In quanto alla discrezione, non ci lasciavamo testimoni, neppure tra quelli della nostra gente con la lacrimuccia facile per gli sventurati. Poi avevamo un altro problema da risolvere, cioè i tanti italiani che, autodefinendosi compagni ci avevano buttato le braccia al collo e accolti come liberatori. Inizialmento li abbiamo resi partecipi del trattamento da dare ai loro compatrioti fascisti, e devo dire che ci hanno preso pure gusto, a volte comportandosi più da macellai di noi, ma poi ci siamo ricordati che in fin dei conti anche essi erano italiani e quindi invasori delle nostre terre. E perché dovremmo vergognarci di tutto ciò? Anche noi siamo figli della Storia, degli eccessi della Rivoluzione Francese, degli stermini dei nativi da parte degli invasori europei in America, degli eccidi turchi nei confronti dei curdi e di quelli che in generale i vincitori riservavano ai vinti. Rimorsi??? E perché? Erano solo italiani e fascisti…
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Red Land - Rosso Istria.

Ieri RAI 3 ha mandato in prima serata, ma in contemporanea con San Remo, il film Red Land - Rosso Istria. Nella scena finale si vede un partigiano di Tito pronunciare la frase: “Pallottola… foiba, pallottola… foiba, pallottola… foiba…” sono le ultime parole udite dagli sventurati che, legati due a due prima di essere inghiottiti dalla voragine attendono che si compia il loro destino. Il primo muore all’istante con un colpo di pistola alla testa e trascina con sé il secondo ancora vivo… giù nell’abisso.
La Seconda guerra mondiale, si concluse con l’occupazione della Venezia Giulia da parte delle bande slavo comuniste di Tito ed ebbe inizio la seconda fase degli infoibamenti, ben più massiccia di quella avvenuta nel ’43. Era scoppiata la pace… ma la pace eterna. Mentre l’Italia festeggiava la liberazione in Istria la gente moriva infoibata. L’esodo degli istriani, fiumani e dalmati non fu un atto di coraggio ma la spinta che viene dalla disperazione.
Dove finisce il film incomincia il mio libro “Maria Pesche e il suo giardino di vetro” edito da Mursia. I contestatori del film sono gli stessi italiani “sinistri” che accolsero noi esuli con il grido: “Sporchi fascisti non vi vogliamo, il vostro posto e nelle foibe, tornatevene a casa vostra”. Quindi il contenuto del mio libro si può condensare in poche parole: Per l’Italia eravamo jugoslavi e per la Jugoslavia eravamo italiani, in realtà non eravamo niente, gente senza casa, senza patria e senza identità.
Alla fine del libro troverete una riflessione di poche righe.
La storia non riporta ciò che è successo.
La storia è solo quello che gli storici ci dicono.
Alla fine della guerra tante Maria Peschle dovettero disperdersi nel mondo. (Erano le nostre mamme) Come la nostra protagonista, quelle donne dovettero affrontare sofferenze inimmaginabili. Dopo oltre settanta anni di silenzio, lo strappo non è stato ancora ricucito, quindi è doveroso dare voce a queste testimonianze di dolore e di riscatto per costruire una Cultura del ricordo più viva, più vera e condivisa.
Alcuni avvenimenti del Ventesimo secolo sono stati inquinati da verità stravolte, da silenzi compiacenti e da tentativi di rimozione. I fatti non cessano di esistere solo perché sono stati ignorati o ancor peggio taciuti. L’esule non possiede un luogo tutto suo dove far ricrescere le proprie radici recise. L’anima diventa il solo rifugio dove custodire i propri ideali e le proprie memorie. Per coloro che le hanno vissute, quelle esperienze dolorose rimangono per sempre impresse nell’anima e non esiste modo di cancellarle, tantomeno medicine in grado di guarirle. Più forte si fa la volontà di eliminarle, più riemergono prepotentemente.
Al loro arrivo in Italia, i profughi istriani fiumani e dalmati furono bollati tutti col marchio di reazionari e fascisti, eppure erano italiani che chiedevano ad altri fratelli italiani un po’ di comprensione e di solidarietà per le loro sventure. Buona parte dei vecchi morirono di crepacuore, sotto un cielo che non era il loro, proiettati in un mondo che non li capiva, derubati della speranza di un possibile ritorno, accolti dalla madre patria come malfattori e parassiti, ammassati come animali nei ghetti di 109 campi profughi, destinati a percorrere una valle di lacrime con il cuore a pezzi per aver dovuto abbandonare tutto: la terra, la casa la roba e allontanarsi per sempre dai loro morti, abbandonati nei cimiteri d’oltreconfine o peggio scaraventati nelle voragini carsiche chiamate foibe. Sono loro le vittime dell’indifferenza di quanti hanno fatto politica e cultura nel nostro Paese.
Il 31 marzo 2004, dopo 57 anni dall’esodo, rompendo l’inqualificabile silenzio di Stato, la ragione ha prevalso sulla giustizia e il Parlamento italiano ha approvato, quasi all’unanimità, la legge che istituiva il Giorno del Ricordo. È triste constatare che gli istriani, i fiumani e i dalmati, abbiano avuto bisogno di una legge dello Stato per commemorare pubblicamente i loro morti infoibati, per ricordare la tragedia dell’esodo ed entrare di diritto e in forma ufficiale, nella Storia italiana del XX secolo.
Piero Tarticchio

giovedì 7 febbraio 2019

SERATA A VILLA GHIRLANDA

L'immagine può contenere: testoFinalmente, dopo il cambiamento epocale seguito dalle elezioni di giugno 2018 una manifestazione seria sul GIORNO DEL RICORDO. Infatti si è svolta ieri, appunto nella sala grande di Villa Ghirlanda la presentazione di un libro dedicato alla tragedia dei profughi istriani ed al martirio degli “infoibati”. Il relatore, Dott. Piero Tarticchio, autore del libro "Maria Peschle ed il suo giardino di vetro" ha svolto egregiamente il suo compito in un silenzio veramente insolito. Vedendo i visi degli astanti si poteva notare qualche lacrima detersa, ma soprattutto il rivivere della tragedia dopo anni ed anni di volontaria rimozione. Lui, lo scrittore che ha vissuto in prima persona a 9 anni, Lui a cui hanno prelevato il padre per poi ammazzarlo e non sa neppure in qualche cavità carsica sia stato gettato. Solo perché italiano (anche se poi lo condanneranno per Fascismo – chi non lo era a quel tempo?!?- e per sfruttamento del popolo, in quanto gestore di un negozio alimentare (!)). E dopo l’epopea della fuga a Pola e dell’esodo fuori dall’Istria, per spirito di italianità, spento da quegli attivisti comunisti che accolsero gli esuli con dileggio e disprezzo… E tratti di storia, mai rivelati come la strage di Vergarolla, dove per odio antiitaliano fu sparso il sangue di innumerevoli giovani e bambini (il colore del mare rosso ed i gabbiani che banchettavano con i rimasugli dei poveri resti). E in tutto il racconto di quest’uomo canuto, provvisto di una magnetica dignità e supportato magnificamente da una giovane giornalista (figlia anche lei di chi ha provato quella tragedia) non una nota di rancore (noi partecipanti, sì, invece!), ma solo una fotografia perfetta del tempo in cui visse quei brutti momenti. Termina il suo discorso col ritorno da turista nelle sue terre, nella sua casa. E vedendo che tutto era cambiato, che non riconosceva il sapore dei vecchi cibi, né la lingua di un tempo, l’irrefrenabile voglia di andarsene. Un’altra volta…