lunedì 30 aprile 2012

Lo chiameremo "Rinascitalia" S’i fosse foco arderei ’l Monti. S’i fos­se Silvio, com’i sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre, e vecchie e lai­de lasserei altru

di Marcello Veneziani

S’i fosse foco arderei ’l Monti. S’i fosse Silvio, com’i sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre, e vecchie e laide lasserei altrui. O se preferite aggiornare Cecco Angiolieri con i rincari della luce...

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l’arderei sulla sedia elettrica.
Per carità, scherzo, lunga vita a Monti, ma non al suo governo. Al dopo Monti si deve pur pensare e il programma del Pdl fondato sulla limitazione dei poteri, delle tasse e dei giudici, è giusto e coerentemente liberale, ma non basta per (re)suscitare l’Italia. Dopo il mio cucurucucù di domenica scorsa ho ricevuto una marea di appelli, proposte, richieste d’ogni tipo, da ogni parte d’Italia.Non per merito dell’articolo ma per bisogno reale di trovare un punto di ripartenza ideale e politico e non solo pratico-elettorale.
Tra i tanti, Elisabetta Foschi da Urbino mi chiedeva un nome per battezzare «un’associazione che provi a ridare la voglia di credere e che incarni la rabbia e l’orgoglio dei tanti italiani sfiduciati dai partiti». Le ho suggerito RinascItalia, che è un appello (Rinasci Italia), una citazione polemica (a Salvaitalia, Crescitalia, Tassitalia) e un richiamo storico (al Rinascimento, al Risorgimento). Se non è già in uso...
Sì, primum vivere, è necessario che si risponda prima sul terreno pratico tra casa, lavoro, tasse. Ma è necessario pure alzare la testa e il tiro, riprendere la sfida delle idee e delle passioni civili. Perché i Coniugi Padella&Brace, ovvero Tecnici e Partiti, hanno mortificato ambedue. E se non entriamo in quello spirito di rinascita non ci risolleveremo.

Palermo, ricordati Pio La Torre e Rosario Di Salvo Oggi il trentennale del duplice omicidio



Sono trascorsi 30 anni da quel tragico 30 aprile del 1982 quando i sicari della Cupola mafiosa a bordo di una moto esplosero una raffica di colpi mortali uccidendo il segretario regionale del Partito comunista italiano, Pio La Torre, insieme alla sua guardia del corpo, Rosario Di Salvo. Nel luogo dell'agguato, in via Li Muli a Palermo, è stata deposta una corona d'alloro sulla lapidi che ne ricorda la morte. La lotta alla mafia di Pio La Torre era cominciata presto. Giovanissimo aveva aderito al Pci, organizzando i braccianti per occupare le terre incolte, e attirandosi le minacce del capomafia della zona; era stato in Commissione Antimafia per tre legislature, insieme a Cesare Terranova, ucciso nel ’79, ed aveva scritto una proposta di legge per colpire al cuore Cosa Nostra, introducendo il reato di associazione di stampo mafioso e, sempre sul modello americano, consentendo l’aggressione ai capitali mafiosi. Tutto ciò aveva finito per scontrarsi con gli interessi mafiosi e per questo i vertici di Cosa nostra hanno deciso di toglierlo di mezzo. Diversi sono stati invece coloro che hanno sostenuto l'ipotesi che quello di Pio La Torre sia stato un omicidio di natura politica. Dalle carte dei servizi segreti risultava infatti che La Torre era stato pedinato fino a una settimana prima della morte. Il movente, in questa chiave di lettura, sarebbe da ricercare nelle intuizioni investigative: parlando in Parlamento associa l’omicidio di Piersanti Mattarella con il caso Sindona e con la riscoperta di una vocazione americana della mafia siciliana. È La Torre a conoscere i risvolti più segreti dell’attività del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa; a comprendere il peso della P2; a intuire la posta in gioco con l’installazione della base missilistica Usa a Comiso; a intravedere, con nove anni di anticipo, il peso di strutture come Gladio. Fino a oggi comunque non esiste un movente accertato per questo duplice omicidio. È per questo che stamattina, intervenendo alla commemorazione il segretario provinciale Pd ha chiesto che il processo venga riaperto. E' in questo scenario che, secondo Di Girolamo, occorre tornare a indagare per "cercare la verità che i siciliani ancora attendono".

28 Aprile giornata mondiale contro l'amianto

inizio del corteo
Riportiamo il comunicato stampa del Comitato e l'art. del quotidiano IL GIORNO. Anche la RAI sul TG Regionale ha trasmesso un servizio.

28 aprile giornata mondiale contro l’amianto
Centinaia di lavoratori e familiari delle vittime dell’amianto hanno sfilato oggi pomeriggio in corteo a Sesto San Giovanni, in ricordo delle vittime, per affermare che la salute e la vita umana non sono in vendita e non hanno prezzo.
Il lungo corteo si è mosso dal Centro di Iniziativa Proletaria, sede del Comitato.
In testa lo striscione d’apertura del corteo con la parola d’ordine “In ricordo di tutti i lavoratori uccisi in nome del profitto”, dietro i famigliari delle vittime e gli operai delle ex fabbriche di Sesto per anni esposti all’amianto alla Breda, alla Falck, alla Magneti, all’Ansaldo, alla Pirelli, insieme a molti cittadini, al Comitato delle vittime della Tricom Galvanica di Bassano del Grappa e Tezze sul Brenta, dove sono morti decine di operai, i lavoratori della AIEA e gli operai sopravvissuti al rogo dell’Eureco di Paderno Dugnano. Dopo aver percorso le vie cittadine, il corteo si è fermato davanti alla lapide di via Carducci, dove il presidente del Comitato Michele Michelino ha fatto una breve commemorazione ricordando i tanti compagni di lotta scomparsi a causa dell’amianto e della logica del profitto, chiedendo -per i datori di lavoro e i dirigenti assassini che hanno anteposto il loro guadagno alla salute dei lavoratori e dei cittadini - condanne e sanzioni esemplari, che servano da monito a chi non rispetta le norme di sicurezza, perché sulla salute e la vita non si tratta.


E’ stato ricordato che dal 1992 con la legge 257 è stato vietata l’estrazione, importazione, l’esportazione, la produzione e la commercializzazione dell’amianto ma, paradossalmente, non il divieto di utilizzo dell’amianto.
Da questo deriva il permanere di 32 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto nei luoghi di lavoro e di vita, nel territorio del nostro paese.
E’ necessario che lavoratori e cittadini, insieme, lottino e scendano in piazza per chiedere e imporre le bonifiche. Le imprese che si sono arricchite con l’amianto producendo morti e contaminazione del territorio non possono cavarsela comprandosi l’impunità e le parti civili nei processi in cui vengono chiamati in causa.
I responsabili di tanti lutti e della contaminazione del territorio - che continua a far ammalare e morire vittime innocenti e spesso inconsapevoli di essere stati esposti all’asbesto a livello professionale, familiare (le mogli morte per aver lavato le tute) e ambientale - devono contribuire finanziariamente sia a risarcire la vittime che alla bonifica del territorio. La difesa della salute e la giustizia per i lavoratori e i cittadini morti e malati è un problema di civiltà che ci riguarda tutti.

Al corteo erano presenti l’attore Moni Ovadia, Ettore Zilli ex deportato a Dachau, il Prof Giancarlo Ugazio. Al termine del corteo si è svolta un’assemblea aperta dove i rappresentanti delle varie associazioni hanno preso la parola. Sono intervenuti anche Antonio Pizzinato e l’attore Renato Sarti, direttore del Teatro della Cooperativa di Niguarda.

28 aprile 2012

Primo maggio, i negozianti minacciati dai centri sociali: azioni "punitive" a Milano Centri sociali e sindacati di base in piazza: minacciano "azioni di contrasto" nei confronti di negozi e centri commerciali aperti durante la festa dei lavoratori

di Chiara Campo
Ci sarà la tradizionale sfilata del Primo Maggio. La manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil partirà alle 9.30 da Porta Venezia e arriverà in piazza Scala per il comizio del segretario generale della Camera del Lavoro Lombardia Onorio Rosati e altri delegati sindacali. 
Scontri tra i centri sociali e le forze dell'ordine
Scontri tra i centri sociali e le forze dell'ordine
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Ma l'attenzione è puntata sulla MayDay Parade 2012, il corteo alternativo a cui parteciperanno i centri sociali, San Precario, la Confederazione unitaria di base. La manifestazione si preannuncia ad alta tensione, visto che gli organizzatori nei giorni scorsi hanno minacciato «azioni di contrasto nei confronti dei negozi e dei centri commerciali aperti, poichè durante la Festa dei lavoratori, appunto, non si deve lavorare». Dopo il volantinaggio e lo «sciopero della spesa» indetto dai sindacati il 25 aprile, per il Primo maggio i Cub non escludono picchetti davanti alle serrande aperte per impedire il passaggio a dipendenti e clienti, e altre azioni di «disturbo». L'ex vicesindaco Riccardo De Corato, consigliere Pdl, prevede un'«altra giornata di intimidazioni e violenze».
Gli organizzatori della Parade rivendicano inoltre il percorso tradizionale e non accettano le modifiche indicate dalla questura nei giorni scorsi per motivi di sicurezza. «Partiremo da piazza XXIV Maggio alle 15 e arriveremo in largo Cairoli passando per via De Amicis, Torino, piazza Duomo, corso Garibaldi, via Gadio e piazza Castello».
Viaggia su Indymedia Lombardia invece una protesta annunciata per il 2 maggio, davanti al palazzo della Regione Lombardia e a Montecitorio a Roma: «Lancio di uova marce dove si riuniscono i politici». Ma su mille invitati all'appello fino a domenica sera avevano risposto solo in diciotto.

Imu, in piazza per dire no alla stangata sulla casa: 600 Comuni contro Monti


Dalla Lega all'Anci, circa 600 Comuni sono in rivolta contro la stangata sulla casa.CALCOLA QUI LA TUA RATA

di Clarissa Gigante

Tutti in piazza contro l'Imu sulla prima casa e l'obbligo delle amministrazioni a versarne una parte nelle casse dello Stato centrale. Domani, mentre i sindacati si riuniranno a piazza San Giovanni a Roma per il tradizionale concerto in difesa del lavoro, i primi cittadini leghisti riempiranno Zanica per invocare la disobbedienza civile e l'opposizione fiscale.

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Saranno almeno 600 i primi cittadini che arriveranno nella cittadina in provincia di Bergamo per il "Lega Unita Day", una manifestazione voluta da Roberto Maroni che la scorsa settimana ha chiamato alle armi i suoi attraverso Facebook. "Assumete in proprio la riscossione", ha detto il triumviro invitando i sindaci a disdire i contratti con Equitalia, "Promuoviamo insieme la disobbedienza civile e l'opposizione fiscale da parte dei cittadini, con l'aiuto dei sindaci per non metterli nei pasticci: saranno gli amministratori a dare copertura a chi aderirà".
Nei giorni scorsi, a sorpresa, con Maroni si era schierato persino il paladino della sinistra,Giuliano Pisapia. "O governo e Parlamento prendono in tempi brevi decisioni che vanno nella direzione di più equità e sviluppo, o temo che a settembre ci possa essere un’esplosione sociale", ha detto in un'intervista al Corriere aggiungendo che "i tagli ai Comuni impediscono di dare risposte di sviluppo e di aiuto concreto ai cittadini. Perchè non si sono toccati i grandi patrimoni e la finanza? Si sarebbe evitato di tartassare chi è già in difficoltà". Se il concetto è simile a quello che porta in piazza il Carroccio, il sindaco di Milano ha precisato di non condividerne il metodo: "La rivolta fiscale diventa un aiuto all’evasione e non un contributo per modificare una norma ritenuta ingiusta".
Eppure, al di là dell'appartenenza politica, sono tanti gli amministratori sul piede di guerra. Il presidente dell'Anci, Graziano Delrio, anch'egli contrario alla disobbedienza civile, lo ha detto più volte: l'Imu va cambiata perché "così come è stata varata, altro non è che una patrimoniale mascherata". Per questo - e per chiedere che tutto il suo importo finisca nelle casse dei Comuni - il 24 maggio i sindaci d'Italia scenderanno in piazza a Venezia. Più concreta Marta Vincenzi (Pd), sindaco uscente a Genova: "Sono sempre stata e resto contraria a nuove tasse. A Genova non c'è l'aumento dell'Imu sulla prima casa dal 4 al 5 per mille, non l'ho mai voluto. Invito i candidati sindaci a un'azione di disobbedienza civile". E da Nord a Sud sono centinaia i primi cittadini che stanno mettendo in atto azioni simili.

La farsa dei tagli alla spesa pubblica Amministrare il Paese non è come giocare a poker, ma per il governo è giunto il mo­mento di mettere le carte in tavola. Basta con i bluff


Amministrare il Paese non è come giocare a poker, ma per il governo è giunto il momento di mettere le carte in tavola. Basta con i bluff. I primi sei mesi sono serviti a Mario Monti per portare le tasse italiane al massimo mondiale.

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E i motivi che hanno indotto il presidente a farlo sono noti: lo spread (che poi sale lo stesso), la Borsa (che poi scende lo stesso), il debito pubblico (che si è impennato lo stesso) e il denaro fresco (che poi manca lo stesso).
Il premier esordì in autunno lanciando uno slogan: rigore ed equità. Che il popolo ha preso per buono. E, con rassegnazione, ha pagato tutto ciò che gli è stato chiesto di pagare. Se rigore deve essere - ha pensato- che rigore sia. Ma finora si è assistito a uno strano fenomeno. I sacrifici sono toccati soltanto ai cittadini: Iva, benzina, tabacchi, Imu eccetera. Lo Stato, invece,riforma dell’età pensionabile a parte, non ne ha fatti; non ha tirato la cinghia e ha continuato a spendere e spandere.
Anche l’equità, quindi, è andata a farsi benedire. Un esecutivo che usa il bastone fiscale contro i contribuenti, e si guarda dal tagliare la spesa corrente, causa del bilancio in rosso, è iniquo e stolto.
Il rigore è tale se uguale per tutti. Se, invece, chi ce lo chiede, e lo ottiene, non lo applica anche per sé, è un furfante che non merita rispetto. Ma non è mai troppo tardi per riparare. Concediamo ai professori i tempi supplementari che, comunque, hanno una scadenza: facciamo un mese a partire da oggi, visto che stasera il Consiglio dei ministri è chiamato a spiegare in cosa consista la sua spending review . Già. I tecnici parlano in inglese per apparire sapienti e perché fa figo, però, in questo caso almeno, sotto la lingua di Shakespeare c’è il nulla, mentre dovrebbe esserci la revisione della spesa.
Infatti, il ministro Piero Giarda, incaricato di individuare i rami secchi, ha svolto egregiamente il suo lavoro, ma i politici gli hanno riso in faccia: secchi o non secchi, quei rami non vanno neppure sfiorati. E allora, che si taglia? Siamo alle solite. Bisogna riflettere, ponderare, valutare le conseguenze di un’eventuale potatura. In che senso? I partiti, in parole povere, temono che ridurre le spese significhi scontentare chi riscuote e perderne il consenso. E l’esecutivo, senza l’accordo dei partiti che lo sostengono, cadrebbe. Ecco perché la spending review rischia di rimanere un esercizio platonico, puramente teorico, privo di effetti pratici.
In altri termini. I docenti si limiteranno a qualche piccola recisione, simbolica, indolore, insomma inefficace ai fini della sistemazione dei conti. Per aggiustare i quali, pertanto, essi non avranno altra scelta che sfilare dalle nostre tasche i pochi euro salvati.

domenica 29 aprile 2012

Sondaggio de "La Nazione" sui blog: vanno regolamentati?


93 ITALIANI SU 100 VOGLIONO CHE I BLOG RESTINO *LIBERI*... GLI ALTRI 7... SONO POLITICI!

Sondaggio: http://sondaggi.quotidiano.net/?sondaggio=9300

Sergio Ramelli 1975 29 aprile


Archivio Ramelli
Lasciatemi essere un uomo libero,  libero di viaggiare, libero di fermarmi, libero di lavorare, libero di commerciare come mi pare libero di scegliermi i miei maestri, libero di seguire la religione dei miei padri, libero di pensare, e di parlare e di agire 
  Capo Giuseppe, della tribù dei Nasi Forati
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno, e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi ... Matteo 5, 11
Chi ascolta la storia di Sergio Ramelli prova, come prima reazione, il desiderio di falsificarla, di negarla. Una storia del genere, ci si dice, non è vera, non può essere vera.Sfortunatamente è vera, ed è accaduta in Italia circa 40 anni fa.
    Quando in futuro le generazione guarderanno gli anni '70 a Milano non avranno difficoltà a dire che Sergio Ramelli, un ragazzino di 18 anni fu perseguitato e ucciso da una città intera, da un paese intero: dai suoi professori, dai suoi compagni di scuola e dall'indifferenza e dalla paura dei suoi concittadini. Queste pagine contengono solo documentazione su Sergio Ramelli. Non intendono costituire una "storia" della vicenda, ma aiutare chiunque voglia farsi un'idea personale al riguardo. Sono in perenne costruzione. Chiunque voglia contattarci per proporci consigli, o aiuto, o anche solo per segnalarci del materiale non presente in queste pagine può farlo scrivendo a direzione@cdrc.it

Enrico Pedenovi 29 Aprile 1976


sabato 28 aprile 2012

Churchill critico sulla fucilazione di Claretta Petacci


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Churchill critico sulla fucilazione di Claretta Petacci

Roma, 11 mag. – (Adnkronos) – Winston Churchill non approvò né tanto meno apprezzò ”il modo con il quale un popolo civile come quello italiano aveva fatto fuori Mussolini”. L’ex premier britannico ”non discuteva la necessità della fucilazione, ma discuteva Piazzale Loreto e, soprattutto, l’inutile fucilazione di Claretta Petacci”. 
E’ quanto emerge dal resoconto inedito di un incontro tra Arnoldo Mondadori e Churchill, stilato dallo stesso editore milanese, avvenuto il 24 ottobre 1955 a Roquebrune in Costa Azzurra, ospiti della villa del giornalista Emery Reves. Il documento integrale di quell’incontro è stato ritrovato negli archivi della Fondazione Mondadori a Milano, di cui ora dà conto Enrico Mannucci sulla rivista ‘Nuova Storia Contemporanea’, diretta dal professor Francesco Perfetti. Reves aveva fatto da tramite fra l’editore italiano e lo statista britannico per i diritti di pubblicazione delle ‘Memorie’ di Churchill. Così Mondadori, forte di quell’amicizia, gli aveva chiesto di organizzare un colloquio per avere notizie circa l’ennesima ”ultima lettera” indirizzata da Benito Mussolini al ”caro Winston” e affidata il 24 aprile 1945 a un un ufficiale delle SS, Franz Spoegler, che in realtà era un agente dei servizi segreti nazisti incaricato di controllare l’amante del duce, Claretta Petacci. Interpellato sulla possibilta’ che Churchill avesse ricevuto da Spoegler, il quale aveva avuto da Mussolini l’incarico di consegnargli, nei fatali giorni del 1945, una lettera a lui indirizzata, l’ex capo del governo di Londra rispose che molto desiderava ”conoscere il testo di questa lettera ma che, naturalmente, non avrebbe mai ricevuto Spoegler”.
Nel corso della conversazione con Mondadori, annotò lo stesso Arnoldo nell’appunto conservato a memoria futura, Churchill su Mussolini espresse un giudizio ”in un certo senso affettuoso, o per lo meno assolutorio”, mentre si infuriò a sentire nominare Adolf Hitler, definito ”un criminale comune”.

28 Aprile giornata mondiale contro l'amianto



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La verità sulla morte del Duce: Mussolini si avvelenò col cianuro Parlano due importanti testimoni: Benito, ormai in coma, fu poi finito dal carceriere Giuseppe Frangi

Benito Mussolini 
si avvelenò 
con il cianuroA 67 anni dalla morte di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, ci sembra che di questa storia si sappia tutto e nulla allo stesso tempo. Tutto, perché quanto accadde a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, il 28 aprile 1945, è stato sviscerato in mille modi, con decine di ipotesi diverse sugli accadimenti: ogni segmento di quella storica giornata  è stato smontato, analizzato e rimontato, ogni protagonista è passato al vaglio di documentate rievocazioni. Al tempo stesso, non se ne sa nulla, in quanto ci si è accorti che, man mano che i materiali di studio si accumulavano, la verità su quella vicenda appariva destinata a divenire, una volta di più, sfuggente. 
Testimonianze - Le testimonianze lacunose e contraddittorie dei protagonisti, le falsificazioni operate dal Partito comunista, che ha coperto i responsabili della morte del Duce deviando l’attenzione dell’opinione pubblica dai veri giustizieri, e perfino le evidenze deludenti dei riscontri autoptici eseguiti sul cadavere di Mussolini, stanno a dimostrare che la verità è ben lungi dall’essere acquisita. La versione ufficiale narra che Mussolini e la Petacci furono abbattuti dai mitra del commando partigiano, venuto da Milano, alle 16,10 del 28 aprile, davanti al cancello di Villa Belmonte. I partecipanti all’esecuzione sarebbero stati tre: il colonnello “Valerio”, alias Walter Audisio, Aldo Lampredi “Guido”, e Michele Moretti. Come si sa, i protagonisti, non soltanto si sono contraddetti tra di loro, ma anche presi singolarmente hanno tramandato diverse versioni dei fatti. È il caso di Audisio, che ha dettato tre o quattro successivi racconti, che evidenziano parecchie incongruenze.
Opera collettiva - Il risultato di tutto ciò è che, con macroscopica evidenza, il Partito comunista, dal cui seno è nata la missione esecutiva di Dongo, ha volutamente confuso le carte, in modo tale da impedire il riconoscimento pieno della verità. In altre parole, il Pci, favorito dall’intelligence britannica nella conduzione dell’operazione speciale mirante a sopprimere il Duce, ha voluto descrivere quell’epilogo cruento, più come opera collettiva di un suo gruppo scelto che non come il risultato di singoli apporti individuali. Chi scrive, pur legato a un vincolo di riservatezza nei confronti di una propria fonte, può qui anticipare di aver potuto stabilire in modo certo che il generale Raffaele Cadorna, comandante supremo del Cvl (Corpo volontari della libertà), l’organo di direzione militare della Resistenza, fu a pieno titolo determinante nell’adottare la deliberazione - fortissimamente voluta dal Pci - di passare per le armi sommariamente Mussolini. Ciò, naturalmente, appare in contraddizione con le stesse dichiarazioni rese da Cadorna nelle sue memorie, in cui afferma di essersi limitato ad aderire alla decisione presa dai comunisti di uccidere il Duce, avallandola. Negli ultimi anni, ha preso consistenza una nuova teoria, quella del suicidio che il capo del fascismo si sarebbe procurato attraverso una capsula di cianuro di potassio occultata in una protesi mobile. Può essere stato quell’evento imponderabile, cioè lo stato comatoso autoindottosi dal Duce, durante le prime ore della mattina del 28 aprile, mentre si trovava nel casolare dei contadini De Maria, ad aver fatto volgere la situazione verso l’epilogo cruento? In altre parole: è possibile che su Mussolini, ancora vivo, in preda a convulsioni, avesse esploso alcuni colpi di grazia uno dei due carcerieri che montavano di guardia a casa De Maria? Facciamo un passo indietro. Alle prime ore del 28 aprile 1945, Mussolini viene scortato da Dongo, verso un nuovo nascondiglio. Luogo scelto per il prigioniero, al quale si è unita Claretta Petacci, è un rustico situato in località Bonzanigo di Mezzegra. I proprietari dell’abitazione colonica, i coniugi Giacomo e Lia De Maria, fanno accomodare i due ospiti in una stanza al secondo piano, con finestra. 
Sdraiato a letto - Mussolini si corica sul lato destro del letto matrimoniale, mentre Claretta occupa il lato opposto. Si tratta di un particolare non secondario, in quanto alcuni dei colpi ricogniti sul cadavere del Duce - in particolare, uno al fianco, in posizione difficilmente spiegabile nell’ipotesi di un’esecuzione avvenuta con Mussolini in stazione eretta, con gli esecutori posizionati frontalmente - lo attinsero sul lato destro, con traiettoria dall’alto il basso e da sinistra a destra: come se l’esecutore gli si fosse avvicinato mentre si trovava ancora sdraiato a letto.
La pratica del suicidio, con fiala o capsula letale, fu molto adottata dai capi dei regimi amici. Oltre a Hitler, che si sparò mentre masticava una capsula di cianuro, si uccisero con il veleno Goebbels (con la moglie Magda e i sui figli), Goering e Himmler. Anche Pierre Laval, capo del governo collaborazionista di Vichy, tentò di uccidersi con una fiala venefica, ma gli furono praticate diciassette lavande gastriche allo scopo di condurlo ancora vivo davanti al plotone di esecuzione. Quanto al Duce, sappiamo che tentò il suicidio, nell’estate del 1943, durante la prigionia a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Se anche Mussolini a Mezzegra fece ricorso al veleno, sicuramente il suo carnefice fu il partigiano Giuseppe Frangi, “Lino”, che con Guglielmo Cantoni, “Sandrino”, era di guardia davanti alla stanza da letto dei due prigionieri. “Lino”, nei giorni successivi al 28 aprile, rivendicò con sicumera il suo ruolo di giustiziere e fu a sua volta assassinato il 5 maggio da elementi partigiani comunisti. Frangi potrebbe avere esploso colpi di grazia sul rantolante dittatore. Due testimonianze, sulle quali merita soffermarsi, convergono nell’indicare la concreta attendibilità della pista del suicidio. La prima è di Giuseppe Turconi, 90 anni, che apprese dalla viva voce di Lia De Maria la verità sulla morte del Duce. 
Confidenze segrete - Turconi vive tuttora a Villaguardia, il paese del partigiano Frangi, e custodisce da quasi settant’anni le confidenze ricevute: «Una decina di giorni dopo i fatti, mi recai a Mezzegra insieme a mio fratello e a un mio cugino. Era da poco morto anche il “Lino” e la versione dell’accaduto, che alludeva a un incidente, mi lasciò parecchio perplesso. Andammo a casa De Maria a parlare con la signora Lia che ci disse che, quel 28 aprile, aveva preparato qualcosa da mangiare per Mussolini e la Petacci e che il Duce le aveva chiesto di assaggiare la pietanza perché temeva di essere avvelenato. Poi, qualche ora più tardi, quando capì che per lui non c’era più nulla da fare, Mussolini ingerì del veleno inserito nella capsula di un dente. La De Maria disse che era successo tutto nella camera da letto in cui avevano pernottato. Seppi anche che la Petacci era stata uccisa in un secondo tempo, qualche ora dopo, in un prato sottostante la chiesa di Mezzegra, in frazione Bonzanigo».  Turconi riferisce dunque che l’esecuzione di Claretta sarebbe avvenuta successivamente a quella di Mussolini e non sembra prestare attenzione a un dettaglio del suo racconto, che introduce un’apparente contraddizione. Perché, se Mussolini aveva intenzione di togliersi la vita, temeva di essere avvelenato dal cibo? O forse giunse alla determinazione di uccidersi solo in un momento successivo? La seconda testimonianza è ancora più significativa, perché proviene da Elena Curti, figlia naturale di Mussolini che fu accanto al padre durante le ore dell’epilogo di Dongo. La donna, oggi novantenne, ricevette in proposito delle notizie dal brigadiere della caserma dei carabinieri di Dongo, dove fu tenuta prigioniera dopo il 28 aprile. Si tratta di Ettore Manzi, classe 1908, protagonista defilato di tante vicende drammatiche che presero corpo a Dongo dopo l’esecuzione dei gerarchi. Fui lui, infatti, a salvare la vita a decine di prigionieri fascisti detenuti nella caserma dell’Arma (tra cui la stessa Curti), ponendo fine alla mattanza condotta dai partigiani rossi sulla scia dell’euforia della vittoria sul fascismo.
La versione di Manzi - Racconta Elena Curti: «La versione del suicidio di Mussolini me la riferì Ettore Manzi, verso la fine degli anni Cinquanta. Io allora abitavo già a Barcellona, ma quasi ogni anno tornavo in Italia e Manzi era una delle persone che andavo a trovare. Mi disse che lui, in quanto comandante della stazione dei carabinieri di Dongo, era responsabile di tutti i prigionieri. Quindi anche di Mussolini. A me confidò che era stato presente. Era andato a casa De Maria, verso le 7, o 7 e mezza, del mattino del 28 aprile e che, quando entrò nella stanza di Mussolini, lo trovò già praticamente morto. Si era suicidato con una capsula di veleno. Io, lì per lì, non diedi peso a quanto mi disse. Stavo cercando di dimenticare quanto era accaduto, mi stavo costruendo una nuova vita, in Spagna, dove nessuno mi conosceva e non ero guardata con quell’attenzione morbosa con la quale ero avvicinata qui in Italia, dove tutti volevano sapere perché e per come fossi la figlia di Mussolini». Manzi è morto il 1° febbraio 2001. Da me interpellato, suo figlio Giancarlo non ha voluto confermare la notizia fornita da Elena Curti: «So che mio padre aveva una sua teoria sulla morte di Mussolini, ma non mi disse nulla in proposito». Il mistero continua.

Ultimatum Geas, tradito dalla città "Se Sesto ci ignora, addio Serie A1"

Lo sfogo di patron Mazzoleni: fondi e tifo latitano, prima squadra a rischio
di Laura Lana
Tifosi del Geas (Spf)
Tifosi del Geas (Spf)
Sesto, 28 aprile 2012 -«Ci siamo dati 35 giorni per decidere se andare avanti con la serie A1, perché Sesto probabilmente non la merita». È un ultimatum alla città, quello che Mario Mazzoleni ha lanciato durante la serata sullo sport organizzata dalla lista «Sesto Nel Cuore» di Gianpaolo Caponi. Dopo 57 anni, il Geas Basket potrebbe perdere la Prima Squadra. Quella della «Divina» Mabel Bocchi, che negli anni d’oro aveva vinto tutto.
Quella di una società di basket che ha collezionato 21 scudetti nelle diverse categorie, una Coppa Italia e una Coppa Europa. «Non so neanche se Sesto merita una serie A2, stiamo pensando di andare avanti solo con le giovanili — confessa patron Mazzoleni —. A noi piacerebbe continuare, ma vogliamo farlo insieme a questa città». Questione di fondi, certoUn milione di euro costa l’attività del club rossonero: solo 5mila sono arrivati dal territorio.
 
«Eppure noi diamo tanto a questo territorio. Perché, quando vinciamo uno scudetto, se ne vanta». In questi anni Diana Bracco, main sponsor, ha fatto più del dovuto. «Ci ha dato un aiuto enormeMa è sull’attività giovanile che Bracco investe: educazione, benessere, formazione, sfida di genere. Invece, ci ha supportato anche con la serie A — spiega il presidente —. Ce l’abbiamo sempre fatta, ma ora siamo stanchi di non essere riconosciuti dal territorio». Questione di soldi, ma non solo. «Abbiamo chiesto condivisione di progetti. Abbiamo costruito la cooperativa “Amici del Geas”: in quattro anni siamo appena 55 soci. Non ha funzionato. Mi aspettavo l’adesione di tutto il Consiglio di Sesto e Cinisello. E poi gli imprenditori, la banca. Ci piaceva l’idea di poter aggregare».
Un punto di riferimento anche per altri club voleva diventare Mazzoleni. Non ha trovato neanche un volontario per il pullmino o un aiuto per istituire borse sportive per ragazze non abbienti e straniere. «Sono andato, umiliandomi, col cappello in mano da tutti. Quanto sarebbe bello se una città investisse sull’integrazione attraverso lo sport. Conoscevo la Sesto delle grandi sfide. Possibile sia sparita?». Per 35 giorni la partita è aperta. «Vogliamo un segnale, un abbraccio dalla città o andare avanti è inutile».

venerdì 27 aprile 2012

Cinque per mille ai Comuni? Rarità L'appello di Cinisello e Cormano


Dimezzate le donazioni agli enti locali. «Colpa della scarsa informazione». Nel 2006 Sesto ha raccolto oltre 61mila euro nel 2009 solo 24mila
di Valentina Bertuccio D'Angelo
Contribuenti alle prese con le tasse (Germogli)
Contribuenti alle prese con le tasse (Germogli)
Cinisello Balsamo, 27 aprile 2012 - Sarà perché al tempo dell’Imu dare altri soldi al proprio Comune sembra l’ultima delle cose piacevoli da fare, ma di 5 per mille nei municipi si parla poco. Poca pubblicità, proprio mentre gli altri enti che possono beneficiare della quota di imposta sul reddito delle persone fisiche si stanno dando un gran da fare per conquistare le simpatie dei contribuenti. Così capita che nel Nord Milano solo Cormano e Cinisello Balsamo abbiano scelto di mettere sulla home page del proprio sito ufficiale l’accorato appello: «Il 5 per mille datelo a noi». Per tutti gli altri, silenzio o quasi.

Eppure la possibilità di finanziare il Comune di residenza, anzi, più correttamente «le attività del Comune di residenza», introdotta per la prima volta nel 2006 e poi reintrodotta nel 2009, consente alle casse pubbliche di prendere una — seppur davvero minima — boccata d’ossigeno senza che questo comporti ulteriori esborsi da parte del cittadino contribuente. Boccata d’ossigeno da destinare, rigorosamente, alle attività sociali, per lo più destinate ad anziani e giovani.

Peccato che i sindaci possano fare sempre meno affidamento sulla generosità dei propri amministrati. Il trend infatti è drammaticamente negativo. I dati disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate non sono aggiornati, ma la tendenza al ribasso è evidente: nel 2006 Cinisello Balsamo, per fare un esempio, aveva portato a casa quasi 60mila euro. Tre anni dopo, nel 2009, poco più di un quarto: 15.737 euro per l’esattezza. Ancora più drastica la diminuzione dei cittadini che avevano scelto il Comune: da 2.776 a solo 632.
Non è andata meglio a Sesto San Giovanni: oltre 61.500 euro raccolti il primo anno, precipitati a 24mila nel 2009. Cifre più che dimezzate, per un atto di donazione che non costa nulla. A spiegare questa debacle diversi fattori. In primis, forse, la scarsa conoscenza del meccanismo: secondo Sandro Zaccarelli, responsabile provinciale del servizio Caaf Cigl, «sono in molti a credere che il 5 per mille prevede un pagamento ulteriore». Ovviamente non è così. Manca poi, o almeno scarseggia, una campagna pubblicitariaaccattivante e, soprattutto, corrette informazioni su dove vanno a finire i soldi raccolti con il 5 per mille.
Il Comune di Cormano fa eccezione: «Le risorse verranno utilizzate anche per sostenere le famiglie colpite dalla crisi economica». Non è ancora tutto perduto, però. Per sostenere le attività sociali del Comune non è necessario inserire nessun codice fiscale sul 730 o sul modello Unico: basta firmare nel riquadro che cita espressamente il Comune di residenza.valentina.bertuccio@ilgiorno.net

Scandalo della spesa esce da Montecitorio: le Iene risolvono il mistero!


I due dipendenti di Montecitorio sorpresi dalla troupe delle Iene
 per strada con cinque buste piene di generi alimentari


Ricordate lo scandalo sollevato la settimana scorsa dalle Iene, che trovarono due dipendenti di Montecitorio in strada, intenti a trasportare alcune buste piene di generi alimentari? I due, che si è appreso essere banconisti della bouvette (il bar interno della Camera) evidentemente imbarazzati ripararono in un bar, rifiutando di fornire spiegazioni, e dopo aver telefonato a qualcuno (probabilmente per segnalare la presenza delle Iene e richiedere disposizioni) fecero ritorno a Montecitorio. (Vedi articolo + video delle Iene) Gli inviati del celebre programma di Italia1 sono tornati sul posto per indagare circa il "destinatario" di quei generi alimentari, risolvendo (almeno parzialmente) il mistero. 
GUARDA IL NUOVO SERVIZIO DELLE IENE

Ricapitoliamo come andarono i fatti la volta scorsa:
Quando i commessi, scoperti dalle Iene, hanno fatto "dietro front", gli inviati del programma di Italia1 provarono a recarsi a Montecitorio per chiedere spiegazioni. Hanno provato a chiedere lumi al personale della Camera dei deputati, senza riuscire ad ottenere informazioni utili:

Ecco come ha risposto una dipendente dell'Ufficio legislativo:  (Iena:) "abbiamo visto uscire alcuni dipendenti che trasportavono buste con latte, prosciutto... la classica busta della spesa" - (dipendente:) "mi sembra strano" - (Iena:) "le sembra strano a lei?" - (dipendente:)"non capita, perché c'è il divieto di fare uscire gli alimenti, dal parlamento, comunque c'è un servizio di sicurezza che controlla, quindi..." - "lo vada a chiedere ai commessi". 
E qui abbiamo la conferma - se ci fosse stato qualche dubbio in merito - che fare uscire generi alimentari dal parlamento è proibito. (Visto tutti i privilegi di cui godono i parlamentari - che hanno diritto all'assistenza sanitaria e al dentista anche per i propri parenti - non ci saremmo sorpresi più di tanto se fosse risultato perfettamente legale...)
"fuori, andate fuori, e spenga questa telecamera che qui non si possono
fare le riprese"
Seguendo il consiglio della signora dell'ufficio legislativo - "lo vada a chiedere ai commessi" - gli inviati delle Iene varcarono la soglia di Palazzo Montecitorio,  ma appena entrarono nell'atrio e formularono la "fatidica" domanda ai commessi, furono tempestivamente invitati ad uscire. 
Alle prime insistenze della Iena, che chiedeva "come mai dimostrassero tutta questa agitazione per una semplice domanda" è stata messa la mano davanti alla telecamera, e l'audio consente di sentire che l'inviato delle Iene invita l'addetto a "non mettergli le mani addosso", il quale risponde che gli avrebbero spaccato la telecamera. 

SCENE DEGNE DI UN REGIME SUDAMERICANO...  l'operatore di un programma televisivo chiede spiegazioni circa un fatto GRAVE, poiché PORTARE VIVERI FUORI DAL PARLAMENTO - CHE COME HA SPECIFICATO IL PERSONALE è PROIBITO - CORRISPONDE A UN FURTO, e queste sono le "risposte" che gli vengono fornite.

Quando sono tornate a chiedere spiegazioni, hanno trovato fuori dall'ingresso di Montecitorio ben 6 agenti in borghese: (ad attendere loro?) Non hanno - ovviamente - nemmeno provato ad entrare, ma non hanno desistito dal loro intento, chiedendo spiegazioni ad alcuni deputati che transitavano in zona:

  • Livia Turco (PD) che risponde in modo nervoso, evitando di rispondere ne merito;arrogante, a nostro giudizio quella che ha risposto peggio di tutti.
  • Fabrizio Cicchitto (PDL) che risponde, continuando a camminare, di "non volergli dare una mano a chiarire i fatti" e definisce "antipatico" la Iena
  • Pierluigi Castagnetti (PD) Che cerca di giustificare i fatti dicendo che "ci sarà stato un buffet, un ricevimento in qualche sala della camera" 
  • Franco Frattini (PDL) che guardando il video del precedente servizio delle Iene si mostra sorpreso - "non ci posso credere" e dichiara di "non avere idea" di dove stiano andando i commessi, e prendendola a ridere, ritiene "micidiale, non immaginabile" la vicenda (Frattini è quello che ha risposto con maggiore sincerità e correttezza)
  • Giorgia Meloni (PDL) che dichiara che "può essere una cosa grave, ma anche non grave, dipende cosa ci devono fare"
  • Maurizio Lupi (PDL) che dichiara, sorridendo "ci impegneremo tutti a risolvere il mistero delle buste" 

I parlamentari non sono risultati di grande aiuto. Ma una segnalazione anonima ricevuta sul sito da "qualcuno che sembra ben informato" mette le Iene sulla strada giusta: da notare come "l'anonimo mittente", che afferma che i banconisti stiano portando i viveri presso gliappartamenti dei vicepresidenti della camera - cosa che definisce "ricorrente e risaputa" - sia a conoscenza di alcuni dettagli non alla portata di tutti, come il fatto che i due banconisti siano diretti dalla dott.ssa Perrelli... inoltre la versione dei fatti risultava corrispondente a quella fornita al bar dove si sono rifugiati i banconisti...
Inoltre con l'aiuto di un parlamentare che - a telecamera spenta - rivela alcuni dettagli, e l'aiuto dell'onorevole Concia (PD) viene chiarito che le borse della spesa fossero destinate a un questore o uno dei vice-presidenti della Camera: che oltre a tutti i privilegi di cui godono i parlamentari, hanno a disposizione anche un  appartamento nel centro di Roma,  e come se non bastasse, si fanno portare persino indebitamente la spesa (pagata dagli italiani) a casa...

ECCO CHI SONO I QUESTORI e i VICE-PRESIDENTI DELLA CAMERA DEI DEPUTATI:
I questori sono tre: Gabriele Albonetti (PD), Francesco Colucci e Antonio Mazzocchi del PDL 
I vicepresidenti sono quattro: Antonio Leone e Maurizio Lupi del PDL, Rosy Bindi del PD e Rocco Buttiglione dell'UDC 


Staff nocensura.com