lunedì 10 ottobre 2011

La sinistra nostalgica ora celebra il Che anche dalle pagine di Repubblica


LA VERA STORIA SU ERNESTO CHE GUEVARA

Se quella che segue sia la vera storia su Ernesto Che Guevara possiamo anche avere dei dubbi, ma sicuramente questo personaggio non è sicuramente quello che tutti credono. Difatti a supporto della crudeltà del Che abbiamo la testimonianza di un un certo Felix Rodriguez che ha avuto modo di conoscerlo.
Purtroppo nelle manifestazioni pacifiste viene sfoggiato da persone che non conoscono la storia, le stesse persone che inneggiano al comunismo senza sapere che il comunismo ha fatto molti più morti del nazismo e del fascismo messi insieme. Basta andare a leggere "il libro nero del comunismo" per capire quanto i regimi sia di destra che di sinistra siano negativi.
E anche un eroe della rivoluzione e della libertà come Che Guevara non è quello che sembra.
Prendendo sempre il tutto con il beneficio del dubbio leggete quanto segue e dopo forse quando vedrete una maglietta o una bandiera con la faccia del Che vi verrà voglia di evitare quelle persone.




Ernesto "Che" Guevara: la verità rossa e la verità vera

La storia dovrebbe essere oggettiva, ma in realtà alcuni aspetti vengono da sempre distorti e adattati alle convinzioni ideologiche di chi li tratta. In un paese che si definisce antifascista (ma non evidentemente anticomunista...) certi aspetti "scomodi" del Comunismo sono da sempre ignorati. La Storia ne è piena: i massacri delle Foibe, i massacri dei 20.000 soldati italiani nei Gulag Sovietici su ordine di Togliatti, ecc...
La storia di Ernesto Guevara rappresenta forse il più grande falso storico mai verificatosi. Tutti conoscono la storia "ufficiale" del Che. Chi non ha mai sentito parlare del "poeta rivoluzionario?" Del "medico idealista"? Ma chi conosce le reali gesta di questo "eroe"?

Da tempo immemore il volto leonino di Ernesto “Che” Guevara compare su magliette e gadgets, in ossequio all’anticonsumismo rivoluzionario. La fortuna di quest’eroe della revoluçion comunista è dovuto a due coincidenze: 1) – “Gli eroi son sempre giovani e belli” (La locomotiva – F. Guccini); come ironizzò un dirigente del PCI nel ’69, se fosse morto a sessant’anni e fosse stato bruttarello di certo non avrebbe conquistato le benestanti masse occidentali di quei figli di papà “marxisti immaginari”. 2) – l’ignoranza degli estimatori di ieri e di oggi. Il “Che”, infatti, viene associato a tutto quanto fa spettacolo nel grande circo della sinistra: dal pacifismo antiamericano alle canzoni troglodite di Jovanotti «sogno un’unica chiesa che va da Che Guevara a Madre Teresa».

Meglio allora fare un po’ di chiarezza sulla realtà del personaggio: Ernesto Guevara De la Serna detto il “Che” nasce nel 1928 da una buona famiglia di Buenos Aires. Agli inizi degli anni 50 si laurea in medicina e intanto con la sua motocicletta gira in lungo e in largo l’America Latina. In Guatemala viene in contatto con il dittatore Jacobo Arbenz, un approfittatore filosovietico che mantiene la popolazione in condizioni di fame e miseria, ma che gira in Cadillac e abita in palazzotti coloniali. A causa dei forti interessi economici degli Usa in Guatemala, viene inviato un contingente mercenario comandato da Castillo Armas a rovesciare il dittatore. Il “Che”, anziché sacrificarsi a difesa del “compagno”, scappa e si rifugia nell’ambasciata argentina; di qui ripara in Messico dove, in una notte del 1955, incontra un giovane avvocato cubano in esilio che si prepara a rientrare a Cuba: Fidel Castro. Subito entrano in sintonia condividendo gli ideali, il culto dei “guerriglieri” e la volontà di espropriare il dittatore Batista del territorio cubano. Sbarcato clandestinamente a Cuba con Fidel, nel 1956 si autonomina comandante di una colonna di “barbudos” e si fa subito notare per la sua crudeltà e determinazione. Un ragazzo non ancora ventenne della sua unità combattente ruba un pezzo di pane ad un compagno. Senza processo, Guevara lo fa legare ad un palo e fucilare. Castro sfrutta al massimo i nuovi mezzi di comunicazione e, pur a capo di pochi e male armati miliziani, viene innalzato agli onori dei Tg e costruisce la sua fama.

Dopo due anni di scaramucce per le foreste cubane, nel ’58 l’unità del “Che” riporta la prima vittoria su Batista. A Santa Clara un treno carico d’armi viene intercettato e cinquanta soldati vengono fatti prigionieri. In seguito a ciò Battista fugge e lascia l’Avana sguarnita e senza ordini. Castro fa la sua entrata trionfale nella capitale accolto dalla popolazione festante. Una volta rovesciato il governo di Batista, il Che vorrebbe imporre da subito una rivoluzione comunista, ma finisce con lo scontrarsi con alcuni suoi compagni d'armi autenticamente democratici. Guevara viene nominato “procuratore” della prigione della Cabana ed è lui a decidere le domande di grazia.

Sotto il suo controllo, l’ufficio in cui esercita diventa teatro di torture e omicidi tra i più efferati. Secondo alcune stime, sarebbero stati uccise oltre 20.000 persone, per lo più ex compagni d’armi che si rifiutavano di obbedire e di piegare il capo ad una dittatura peggiore della precedente.

Nel 1960 il “pacifista” GUEVARA, istituisce un campo di concentramento ("campo di lavoro") sulla penisola di Guanaha, dove trovano la morte oltre 50.000 persone colpevoli di dissentire dal castrismo. Ma non sarà il solo lager, altri ne sorgono in rapida successione: a Santiago di Las Vegas viene istituito il campo Arca Iris, nel sud est dell’isola sorge il campo Nueva Vida, nella zona di Palos si istituisce il Campo Capitolo, un campo speciale per i bambini sotto i 10 anni. I dissidenti vengono arrestati insieme a tutta la famiglia. La maggior parte degli internati viene lasciata con indosso le sole mutande in celle luride, in attesa di tortura e probabile fucilazione.

Guevara viene quindi nominato Ministro dell’Industria e presidente del Banco Nacional, la Banca centrale di Cuba. Mentre si riempie la bocca di belle parole, Guevara sceglie di abitare in una grande e lussuosa casa colonica in un quartiere residenziale dell’Avana. E' facile chiedere al popolo di fare sacrifici quando lui per primo non li fa: pratica sport borghesissimi, ma la vita comoda e l’ozio ammorbidiscono il guerrigliero, che mette su qualche chilo e passa il tempo tra parties e gare di tiro a volo, non disdegnando la caccia grossa e la pesca d’altura. Per capire quali "buoni" sentimenti animassero questo simbolo con cui fregiare magliette e bandiere basta citare il suo testamento, nel quale elogia «l’odio che rende l’uomo una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere». Sono queste le parole di un idealista? Di un amico del popolo? Se si, quale popolo? Solo quello che era d'accordo con lui?

Guevara si dimostra una sciagura come ministro e come economista e, sostituito da Castro, viene da questi “giubilato” come ambasciatore della rivoluzione. Nella nuova veste di vessillifero del comunismo terzomondista lancia il motto «Creare due, tre, mille Vietnam!». Nel 1963 è in Algeria dove aiuta un suo amico ed allievo, lo sterminatore Desirè Kabila (attuale dittatore del Congo) a compiere massacri di civili inermi! Il suo continuo desiderio di diffusione della lotta armata e un tranello di Castro lo portano nel 1967 in Bolivia, dove si allea col Partito comunista boliviano ma non riceve alcun appoggio da parte della popolazione locale. Isolato e braccato, Ernesto De La Serna viene catturato dai miliziani locali e giustiziato il 9 ottobre 1967.

Il suo corpo esposto diviene un’icona qui da noi e le crude immagini dell’obitorio vengono paragonate alla “deposizione di Cristo”. Fra il sacro e il profano la celebre foto del “Che” ha accompagnato un paio di generazioni che hanno appeso il suo poster a fianco di quello di Marylin Monroe. Poiché la madre degli imbecilli è sempre incinta, ancora oggi sventola la bandiera con la sua effige e i ragazzini indossano la maglietta nel corso di manifestazioni “contro la guerra”. Come si fa a prendere come esempio una persona così? Possibile che ci siano migliaia di persone (probabilmente inconsapevoli della verità) che sfoggiano magliette con il suo volto? In quelle bandiere e magliette c'è una sola cosa corretta: il colore. Rosso, come il sangue che per colpa sua è stato sparso.

In un film di qualche anno fa Sfida a White Buffalo, il bianco chiede al pellerossa: «Vuoi sapere la verità rossa oppure la verità vera?». Lasciamo a Gianni Minà la verità rossa, noi preferiamo conoscere la verità vera.

Felix Ismael Rodriguez: «l’uomo che catturò Che Guevara» 

Verso la fine dell’estate del 1967, un agente della Central Intelligence Agency con base a Miami convocò sedici dissidenti cubani per selezionare un volontario da mandare in missione segreta in Sud America. L’obiettivo dell’operazione era un pezzo grosso: Ernesto «Che» Guevara de la Serna, all’epoca il leader rivoluzionario più famoso al mondo, nascosto con i suoi guerriglieri nella boscaglia boliviana. Vi era arrivato dopo aver lasciato Cuba e al termine di un lungo viaggio in Africa, deciso a riportare il verbo della rivoluzione in America Latina. Gli americani avevano bisogno di qualcuno che aiutasse l’esercito boliviano nella caccia all’uomo.
Al termine di ogni colloquio, ai candidati veniva posta una domanda chiave: «Se ti scegliessimo subito, quando saresti disposto a partire?». La maggior parte chiese qualche giorno di tempo. Poi toccò a un 26enne laureato in ingegneria: «Se mi lasciate tornare a casa, prendo le mie cose, saluto mia moglie, torno qui e andiamo. Se siamo di fretta datemi un telefono, così la avviso che devo partire. Se non c’è tempo nemmeno per questo, ecco il suo numero, chiamatela voi e inventatevi che sono dovuto andare via all’improvviso».
Impressionato dalla risposta, l’agente della Cia trascrisse il nome del candidato: Felix Ismael Rodriguez. Benché giovane, il cubano aveva già un curriculum di azioni sotto copertura. Rodriguez aveva svolto attività di intelligence nell’operazione che doveva anticipare l’invasione americana della Baia dei Porci.

Quasi settantenne, appesantito dagli anni e da un lungo esilio lontano da Cuba, questo ex della Cia - o «guerriero dell’ombra», come l’hanno soprannominato - non lascia trapelare emozioni. La sua voce, cavernosa e atona, velata ancora da un forte accento ispanico, snocciola con freddezza gli aneddoti di una vita tra oscure missioni segrete in un mondo diviso dalla Guerra Fredda. Rodriguez ha aiutato i governi di Venezuela, Bolivia, Perù ed El Salvador a combattere le guerriglie, volato più volte sopra la guerra del Vietnam e fatto da tramite per la vendita di armi ai Contras in Nicaragua. E’ amico personale di George Bush senior e di altri alti quadri di passati governi Usa. Oggi è presidente della Brigada 2506, che a Miami raccoglie i veterani della Baia dei Porci e altri esuli anti-Castro. Ma per la storia, rimarrà sempre «l’uomo che ha catturato Che Guevara».Ma a guidare Rodriguez alla cattura dei guerriglieri fu anche José Castillo Chavez, detto Paco.Eppure a dare la staffilata finale alla guerriglia fu un colpo di fortuna. Uno dei boliviani addestrati dalla Cia ottenne informazioni da un contadino, che aveva sentito voci non lontano da casa sua. Il 7 ottobre, la compagnia comandata da Gary Prado circondò l’area. «Era una domenica, mi trovavo nella zona di Valle Grande», ricorda Rodriguez. «Alle 10 di mattina arrivò il Maggiore Arnaldo Saucedo. “Mi capitan! - mi disse - abbiamo informazioni dal campo: papa cansado!” (papà è stanco), un termine in codice per indicare che il leader della guerriglia era ferito e catturato. La mattina seguente arrivai a La Higuera a bordo di un elicottero». Nel villaggio, Rodriguez trovò quello che restava della guerriglia boliviana: un gruppo di uomini feriti e stremati. Guevara era da solo in una stanza, seduto sotto la finestra, le mani legate dietro alla schiena, una gamba insanguinata. «Era la peggiore guerriglia che abbia mai visto», commenta il guerriero dell’ombra. «In un anno non erano riusciti a reclutare un solo contadino boliviano.Rodriguez ha sempre negato di aver voluto la morte di Guevara, sostenendo che in realtà gli americani lo preferissero vivo per interrogarlo. Ma mentre spulcia tra le carte e i diari del Che, il cubano riceve una chiamata. Una voce dall’altra parte del telefono ordina: «Capitano: 500-600». «Capii. 500 era il codice che indicava Che Guevara. 700 significava vivo. 600 morto. Passai l’ordine all’esercito, ma cercai di prendere tempo. Erano le 11 di mattina. Mi diedero tempo fino alle 2 del pomeriggio. Tornai da lui e scattammo la foto famosa che ci ritrae insieme. Nell’immagine lui appare imbronciato. Un attimo prima, però, rideva: gli avevo detto di guardare l’uccellino nell’obiettivo. Alle 12.30 la radio dette la notizia che Guevara era già morto. Tornai da lui. Gli dissi che avevo fatto del mio meglio, ma c’era un ordine dall’alto comando boliviano. Il Che diventò bianco come un pezzo di carta. Poi commentò che forse era meglio così». Guevara consegna a Rodriguez la sua pipa. L’uomo della Cia riesce anche a entrare in possesso del suo Rolex. Oggi li conserva in una cassaforte. Si abbracciano in segno di saluto. «Mi chiese di dire a sua moglie di risposarsi e di cercare di essere felice. Poi uscii. Ordinai ai soldati di sparare dal petto in giù, perché sembrasse morto in combattimento. Qualche minuto dopo, all’una e dieci, sentii il fragore degli spari».
Rodriguez rimane freddo, impassibile. Rimorsi? «No. E nessuno su Che Guevara. Era un assassino a sangue freddo. Faceva fucilare la gente per i motivi più futili. Ne ho sentite, di storie su di lui». Perché è diventato un mito? «È stata la propaganda castrista. Altrimenti Castro avrebbe dovuto ammettere di aver fallito con Che Guevara.


La vera storia di ernesto che guevara di babbo
http://fabryunitech.blogspot.com/2011/03/la-vera-storia-su-ernesto-che-guevara.html

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