martedì 19 luglio 2011

Tito, socialismo per tutti e dolce vita per sé

di Fausto Biloslavo

Il Maresciallo collezionava Borsalino e cravatte Hermes. La moglie Jovanka gioielli e completi Chanel. A Belgrado esposte foto e oggetti di lusso della coppia presidenziale jugoslava

Dal completo bianco Panama allo smoking degno di Churchill, cravatte Dior o Yves Saint Laurent, mutande di seta comprate a Trieste e Milano, cappelli italianissimi di Borsalino, scarpe inglesi su misura svelano il lato più borghese e alla moda occidentale di Josep Broz Tito. Del maresciallo fondatore della Jugoslavia, nel sangue del secondo conflitto mondiale, conoscevamo soprattutto le uniformi degne di un monarca o i metodi da boia contro gli oppositori e gli esuli italiani. Non certo il Tito glamour e uomo di mondo. Della moglie Jovanka, ancora viva e caduta in disgrazia, ci si ricordava le fattezze non proprio da modella della mezza età dimenticando i gioielli che sfoggiava a fianco del marito.
Grazie all’Album d’oro, una mostra aperta a Belgrado, si scopre, invece, un'altra vita, pubblica e privata, della coppia presidenziale jugoslava fra il 1952 ed il 1968. Trecento foto inedite scelte su oltre 150mila e gli abiti indossati, oltre a cravatte, capelli, scarpe dei signori Broz ed i sigari preferiti dal maresciallo. Non certo una plumbea istantanea del socialismo reale dell’epoca, ma una specie di «Dolce vita» di Tito e compagna, sempre ben vestiti, attenti alla forma e pronti a stappare una bottiglia di champagne.
A dire il vero il capo partigiano ha sempre amato i dettagli dell’eleganza, a cominciare dai cappelli. «Lo faceva fin dai tempi di Mosca, quando gli agenti del Komintern vestivano come i gangster di Chicago. Oltre la metà dei cappelli Borsalino che aveva li ha fatti ordinare da un negozio di Trieste» racconta a Il Giornale, Dusica Knezevic, che cura la mostra, esposta nel Museo della storia jugoslava, assieme a Momo Cvijovic.
Tito aveva una grande collezione di cravatte firmate Dior, Yves Saint Laurent, Hermes, ma pure da sarti di casa sua, che magari le disegnavano per lui con i colori della Yugoslavia. Dall’Italia, oltre ai cappelli, faceva acquistare i guanti di cuoio Graziella, calzini finissimi e mutande di seta. Per i ricevimenti di gala all’estero sfoggiava un frac su misura con papillon bianco e per le serate più «mondane» aveva una sfilza di smoking e di sigari cubani. Come cappotti amava gli eleganti Chesterfield britannici. Dallo Shah di Persia, all’imperatore Hailé Selassié, alla regina Elisabetta amava non sfigurare. A Belgrado, nel 1957, Simone Signoret, lo definì «un gentleman molto raffinato (...) con un diamante sulla cravatta». Alla faccia del socialismo reale e della lotta per la libertà dei popoli, anche se Tito non aveva problemi a passare dai panni del «dandy» a quello del maresciallo in alta uniforme o cacciatore di tutte le latitudini. La mania per le divise inventate per lui, con grandi alamari, decorazioni varie e colori a tono, gli servivano come «arma» psicologica o diplomatica. Ad un suo biografo confessò che «in un Paese contadino c’è grande rispetto per il leader in battaglia e le sue divise». Quando accolse i russi a Belgrado nel 1955, durante una visita di riconciliazione, il New York Times scriveva come «la sua sfavillante divisa blu con alamari d’oro» facesse un figurone di fronte ai «grigi completi dei leader sovietici».
Nella mostra di Belgrado non manca la storia dei completi di cacciatore di Tito. Per la sua grande passione il protocollo curava i dettagli degli abiti da safari a seconda che si trattasse della caccia alla tigre, oppure al coccodrillo.
Se Tito amava l’eleganza, il maggiore Jovanka Budisavljevic, ex eroina partigiana appese senza problemi la divisa al chiodo.
La signora Broz non disdegnava i completi Chanel, ma Dior custodiva il busto di Jovanka nel suo atelier di Parigi. E lo stesso faceva Klara Rothschild a Budapest. «Dopo il matrimonio con Tito cambiò radicalmente. Nuove eccezionali acconciature, il trucco a cominciare dal rossetto di Dior, moltissimi gioielli ed una serie di ottimi vestiti. Era l’unica in Jugoslavia a quel tempo che portava dei cappellini», spiega la curatrice della mostra. Sembra che la moglie di Tito passò mesi nell’ambasciata Jugoslava a Roma per assumere una postura impeccabile.
Jovanka amava le tinte leggere in contrasto a dettagli forti colorati di violetto, rosso, giallo o arancio. Scarpe di lusso e borsette in pelle di serpente erano un altro vezzo. In qualche maniera provava a coniare una specie di stile alla Hollywood in salsa socialista: la sua eleganza, i gioielli, le acconciature ed il trucco si mescolavano alle uniformi guascone del marito, che sapeva fare anche il damerino. Soprattutto agli occhi del mondo esterno, perchè in patria gran parte delle fotografie della mostra e dello sfavillante guardaroba titino non si era mai visto.
I vestiti furono impacchettati e messi da parte su ordine di Mira Markovic, la consorte e zarina di Slobodan Milosevic, quando la nuova coppia presidenziale si insediò nella villa di Tito a Belgrado. Ci sono voluti quasi dieci anni per rispolverare, oltre alla immagini inedite, una dozzina di vestiti, 15 cappelli, 40 cravatte, 20 paia di guanti, 15 paia di scarpe, due cilindri ed una bombetta dei coniugi Broz. La mostra attira ogni giorno un centinaio di visitatori sia dell’ex Yugoslavia che turisti stranieri sulla sfondo di una rinnovata nostalgia. «Tito e Jovanka non avevano limiti di spesa: ville, isole, cavalli, zoo, collezioni d'arte e vestiti - osserva Knezevic - Per molta gente lui era un Dio, un liberatore, un potente padrino e al tuo signore non fai i conti in tasca. Chi aveva dubbi a proposito finiva a Goli Otok o altri posti del genere». I lager dove il maresciallo jugoslavo faceva marcire gli oppositori, anche italiani.
www.faustobiloslavo.eu

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