domenica 26 maggio 2013

JFK, mistero infinito. "L'ombra di Fidel Castro dietro la sua morte" Secondo lo storico Brian Latell la Commissione Warren trascurò i rapporti del killer del presidente con i cubani. Per qualcuno la verità scottava troppo

nostro inviato a Gorizia
Era il 22 novembre di cinquant'anni fa. Alle 12 e 30 il presidente John Fitzgerald Kennedy veniva ucciso a Dallas.
Si tratta forse dell'omicidio più indagato della storia. Ma anche uno dei più discussi e su cui si hanno meno certezze. La versione ufficiale fornita dalla commissione Warren costituita una settimana dopo il fatto dal presidente Lyndon B. Johnson è nota: Kennedy venne ucciso con tre colpi di fucile (il primo a vuoto, il secondo alla spalla e il terzo alla testa) sparati da Lee Harvey Oswald il quale agì da solo. Questa ricostruzione ha sempre causato scetticismi (sfociati anche in due altre indagini, una del House Select Committee on Assassinations voluto dal congresso americano e una del procuratore distrettuale Jim Garrison). Tra i punti più contestati, il fatto che Oswald sia riuscito a sparare tre colpi in circa 7 secondi con un fucile italiano Carcano a otturatore manuale.
Sul tema sono tornati ieri al festival èStoria (che si conclude oggi a Gorizia) Massimo Teodori, per tre decenni docente di Storia americana all'Università di Lecce, e Brian Latell il quale, lavorando con la Cia, è stato a lungo National intelligence officer per l'America latina e ora è Senior Research Associate in Cuba studies all'Università di Miami. Lattel ha appena pubblicato un volume (non ancora tradotto in italiano) che si intitola Castro's Secrets. E che avanza una tesi sconcertante. «Credo - dice Latell - che il rapporto della commissione Warren sia esatto quando indica Oswald come l'unico esecutore materiale. In questo senso non fu una cospirazione. Colpire Kennedy a ottanta metri con quel fucile era perfettamente possibile. Quello su cui la commissione Warren ha svolto un'indagine lacunosa sono stati i rapporti di Oswald con i cubani». Rapporti che Latell ha ricostruito proprio a partire dal suo libro per cui si è avvalso della testimonianza di molti ex agenti cubani, tra cui Florentino Aspillaga, per decenni uomo di punta nell'intelligence dell'Avana. «I servizi cubani avevano un altissimo livello di efficienza e avevano avuto svariati contatti con Oswald. Oswald era un invasato filo cubano e aveva già cercato di uccidere il generale Edwin Walker... Kennedy si trasformò in un bersaglio perfetto andando a Dallas».
Quanto al lider máximo è difficile dire esattamente in che misura fosse coinvolto nel progetto. Però esistono prove indiziarie. «Lo stesso giorno in cui venne ucciso, Kennedy ebbe un incontro con alti ufficiali del Pentagono e con agenti della Cia per pianificare la morte di Fidel. La Cia stava cercando di reclutare un ex agente cubano a Parigi perché tornasse a Cuba a uccidere Castro. Purtroppo era un triplogiochista ed era ancora fedele al regime... Questo per dire che il livello di minaccia ai rispettivi leader era molto alto. Un paio di mesi prima dell'attentato a Kennedy, Castro tenne un discorso, era il 7 settembre del '63. Ci sono delle registrazioni. Disse: “Se vogliono assassinare un cubano gli americani sappiano che anche loro possono essere assassinati...”. Secondo me era una minaccia diretta a Kennedy, che per parte sua pianificava l'eliminazione di Castro».
Ma non solo: «Ho intervistato - spiega Latell - Florentino Aspillaga che all'epoca aveva il compito di intercettare le comunicazioni della Cia da Washington. Il giorno dell'attentato a Kennedy, tre ore prima che sparassero al presidente i suoi capi gli ordinarono di non intercettare più le comunicazioni radio da Washington ma di concentrarsi su quelle provenienti dal Texas. E Aspillaga a partire da questo si è fatto un'idea chiara: sicuramente Castro sapeva che cosa stava accadendo a Dallas. Forse non lo aveva pianificato direttamente ma ne era informato».
Resta la grande domanda. Come mai, se le cose stanno così, e c'è chi come il professor Teodori ne dubita, la Commissione Warren nella sua inchiesta non ha mai seguito la pista cubana? Una pista che politicamente avrebbe anche potuto essere molto conveniente. Latell lo spiega così al Giornale: «La Commissione non lavorò male... Semplicemente la Cia, l'Fbi e lo stesso Robert Kennedy (fratello del presidente e suo ministro alla giustizia, ndr) nascosero molte informazioni alla Commissione perché le ritenevano fondamentali per la sicurezza nazionale». Quelli di Latell per ora restano indizi ma se avesse ragione la morte di Kennedy assumerebbe tutto un altro aspetto.

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