Ma come, esiste una raccolta firme per un referendum nazionale finalizzato a tagliare gli stipendi dei parlamentari e i media non ne parlano?
La “casta” potente censura tutto? L’informazione non è libera? C’è un complotto dei poteri forti?
A leggere i link virali che vengono diffusi in questi giorni su facebook sembrerebbe proprio così.
Bufala o non bufala? La domanda sorge spontanea, considerando che nei link diffusi sulla rete esistono precise direttive che istruiscono su come recarsi presso il proprio Comune di residenza e mettere una firma, peccato che chi provi a farlo spesso si senta rispondere dagli impiegati degli uffici comunali “Noi non ne sappiamo proprio nulla”.
Se anche fosse vero che i media “complici della casta” censurano la notizia, l’estenuante tam tam su internet a questo punto dovrebbe aver agevolmente eliminato il problema della “censura”. Quasi tutti gli italiani hanno un pc, molti navigano su facebook, ormai la copertura della notizia dovrebbe aver raggiunto un numero sufficiente di persone per varcare la fatidica quota delle 500.000 firme.
Eppure, questa raccolta firme sembra non esistere. Ma non sui giornali o in tv, proprio nei Comuni di residenza dove i volenterosi cittadini che vogliono abbassare gli stipendi dei parlamentari si recano per chiedere informazioni.
Una bufala quindi. Anzi, no. La proposta di un referendum esiste davvero, ma i promotori sono alquanto disorganizzati, diciamo pure un po’ improvvisati, e non stanno garantendo una copertura sufficiente.
Un complotto dei media? Giornali sotto ricatto? I tentacoli della casta?
Ma neanche per sogno. Semplicemente gli organizzatori si sono raccolti intorno ad un fantomatico partito dal nome “Unione popolare”. E fanno quello che possono, con un impegno un po’ discutibile. Forse desiderano solo un po’ di pubblicità.
Il quesito da loro proposto, però, chiede soltanto l’abolizione dell’articolo 2 della legge 1261 del 1965, il quale stabilisce una diaria per i giorni trascorsi a Roma dai parlamentari durante i lavori di Camera e Senato.
In tutto sono circa 3.500 euro al mese per ogni deputato e senatore: abolendo questa diaria, il risparmio annuo sarebbe di circa 50 milioni di euro.
Molto meno di un costo del referendum stesso.
Il referendum, quindi, non riguarda il taglio delle indennità o degli stipendi netti. Sarebbe incostituzionale.
Ma sarà in ogni caso inammissibile, per un grossolano errore dei promotori:
 l’articolo 31 della legge n. 352 del 25 maggio 1970 stabilisce che “Non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza di una delle due Camere e nei sei mesi successivi alla data di convocazione dei comizi elettorali per l’elezione di una delle Camere medesime”.
Si voterà nel 2013, ergo nel 2012 non possono essere depositate richieste di referendum.
Le firme raccolte, quindi, non serviranno a nulla.
Gli organizzatori hanno comunicato che per ora ne sono state raccolte solo 200.000, ne servirebbero almeno altre 300.000 entro il 26 luglio. Non arriveranno mai, per i problemi organizzativi, non certo per la censura dei “media sotto ricatto”.
Ma anche se dovessero arrivare, sarà tutto inutile.
Agli utenti di facebook che vedranno nella loro home i link che parlano di questo referendum, suggeriamo di non prendersi il disturbo di recarsi in Comune: difficilmente troveranno qualcosa da firmare, quel qualcosa da firmare non riguarda il taglio degli stipendi ma solo una inutile diaria, e inoltre questo referendum non ci sarà mai.
Se si vuole dare la colpa ai “poteri forti” o ai media, si faccia pure.