domenica 23 febbraio 2014

L'Europa ci ha già commissariati

Renzi sperava di "cambiare verso". Ma, dopo aver obbedito ai desiderata di Napolitano per via XX Settembre, sa che la strada è tutta in salita. Bruxelles e, soprattutto, la Merkel vorranno avere l'ultima parola sulle decisioni di politica economica e fiscale di Roma

Roma - Pier Carlo Padoan «sa cosa deve essere fatto». Olli Rehn, il mefistofelico commissario Ue agli Affari economici, è finlandese ma quelle parole lo accomunano a un capobastone che impartisca ordini al suo «picciotto».

Se il neopremier Matteo Renzi sperava di «cambiare verso», da ieri - dopo aver obbedito ai desiderata di Napolitano per via XX Settembre - sa che la strada è tutta in salita.

Bruxelles e, soprattutto, Angela Merkel vorranno avere l'ultima parola sulle decisioni di politica economica e fiscale di Roma. Insomma, più che la freddezza di Enrico Letta nel passaggio di consegne a rovinare la festa sono state le dichiarazioni dell'ex calciatore finnico oggi candidato presidente della Commissione.
È presto per affermare con certezza che le speranze del premier saranno deluse. Ma sicuramente vale la pena ricordare un paio di circostanze che giocano a sfavore. Durante la gestazione del nuovo governo, Bruxelles ha cercato di ingerire sulle questioni italiane. Renzi, infatti, intende chiedere un po' di flessibilità sul rispetto del parametro del 3% per il deficit/Pil in modo da rilanciare un po' la spesa per investimenti. Il favore sarà ricambiato con una prosecuzione della linea delle riforme strutturali (in materia di welfare e di contenimento della spesa corrente), ma Rehn ha subito tuonato: «Confido che l'italia continuerà a rispettare i trattati».
A questo si aggiunga la battaglia persa con il capo dello Stato sul ministero dell'Economia: Renzi avrebbe voluto un politico (anche Delrio) o un tecnico «estroso». Gli è toccato Pier Carlo Padoan, con un passato al Fondo Monetario Internazionale e all'Ocse, cioè un sacerdote della linea rigorista. In questi giorni gli analisti ne ricordano l'intervista concessa al Wall Street Journal lo scorso aprile nella quale affermò: «The pain is producing results», cioè «Il dolore sta producendo risultati» dove «dolore» sta per consolidamento fiscale, cioè quella spremuta di tasse alla quale Monti e Saccomanni hanno abituato gli italiani. Quel Saccomanni che ieri ha pubblicato il suo testamento spirituale da ministro per ribadire che il rispetto della soglia del 3% «garantisce credibilità».
Se queste sono le premesse, il sillogismo non può che essere scontato. Economisti come Padoan potrebbero accettare persino quella patrimoniale richiesta a gran voce dalla Bundesbank e da Angela Merkel se Berlino decidesse che l'Italia ha troppo debito pubblico e molta ricchezza privata. D'altronde, Olli Rehn è la stessa persona che due anni fa si rivolse alla Spagna, che chiedeva più tempo per il programma di rientro del deficit, con il medesimo atteggiamento da maestrino che ieri ha riservato a Padoan. «Non puoi avere la torta e mangiartela!», fece sapere.
Padoan, con l'esperienza, ha compreso che di austerity si può morire. Non è più quel tecnico cui il premio Nobel, Paul Krugman, si rivolse con alterigia per aver osato suggerire agli Usa di alzare i tassi durante la recessione. Proprio l'azzeramento del costo del denaro, infatti, ha contribuito a risollevare l'America. Gli italiani, tuttavia, non possono ostentare la stessa serenità che Renzi suggerì a Letta prima di defenestrarlo con quell'hashtag diventato un cult (#enricostaisereno).

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