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mercoledì 7 maggio 2014

Così l'Ue ci ruba le ricchezze

Bruxelles prepara il colpo finale. Con l'Ers l'Italia potrebbe scaricare oltre mille miliardi di debito mettendo a garanzia i propri beni. In questo modo tutte le nostre ricchezze verrebbero ipotecate. Sostieni il reportage Europa ribelle

ERF. Dietro questa apparentemente innocua sigla si cela l'arma definitiva che l'Unione Europea sta preparando per il colpo finale, il furto di tutte le nostre ricchezze e la chiave a doppia mandata per impedire la fuga dell'Italia dalla tonnara dell'Eurozona.
Ogni volta che gli eurocrati immaginano qualche colpo grosso lo nascondono sotto un nome oscuro. Il MES e il Fiscal Compact vennero votati alla chetichella da un parlamento totalmente ignorante di quel che stava approvando, pungolato dall'urgenza messa da un consapevolissimo Monti.
Adesso che i buoi sono scappati i partiti fanno a gara a dissociarsi da assurdi obblighi e onerosissimi impegni già versati, tuttavia il danno è fatto e difficilmente rivedremo qualcosa degli oltre 50 miliardi impegnati a vario titolo nei fondi salvastati. Questa cifra iperbolica è una bazzecola a confronto di quanto rischiamo di giocarci con l'ERF o “European Redemption Fund” dato che si parla, per la sola Italia, di oltre mille miliardi. Vediamo di che si tratta. Per essere sicuri che la riduzione forzata del debito prevista del Fiscal Compact avvenga davvero si è inventato un meccanismo diabolico. L'idea sembra orientata alla solidarietà: consentire ai paesi europei con un debito pubblico più alto del limite del 60% del rapporto debito/pil di scaricare tutto il debito in eccesso ad un fondo comune dove possa essere mutualizzato come un super eurobond. Fin qui tutto bene, ma esiste forse ancora qualche anima candida che creda ai “favori” e alla “solidarietà” dell'attuale Unione Europea? Se esiste è bene che si svegli perchè la commissione di studio presieduta da un ex banchiere centrale austriaco, una signora dal rassicurante nome di Gertrude Trumpel-Guggerell, e che casualmente non annoverava alcun italiano tra i propri membri, ha deciso che a fronte di questo debito debbano essere poste delle garanzie reali.
Traduciamo: l'Italia scaricherebbe oltre mille miliardi di debito ma a fronte dello “scarico” occorrerà mettere a garanzia beni e oggetti di valore. L'ERF si “mangerebbe” quindi per esempio tutte le nostre riserve auree, beni immobili di pregio, le migliori partecipazioni societarie inclusi i gioielli strategici quali Eni e Finmeccanica e addirittura verrebbe alimentato con una sorta di ipoteca sui futuri introiti fiscali. A quel punto sarebbe un gioco da ragazzi portarci via tutto, basterebbe girare la “manopola” dello spread, per esempio facendo dichiarare alla BCE la propria intenzione di non garantire direttamente il debito monetizzandolo, per precipitarci nel default. A quel punto però l'ERF si incamererebbe tutte le garanzie e noi ci ritroveremmo in ginocchio: svuotati di tutti i nostri beni di valore e con ipotecate per il futuro persino le nostre tasse e le nostre pensioni.
Il piano è semplice e sembra congegnato da un usuraio della malavita: si mette in condizione la vittima di fare debiti e a quel punto ci si offre di “salvarlo” prendendosi tutto ciò che ha di valore e che era stato messo a garanzia. Peccato che nessun paese al mondo indebitato nella propria valuta abbia garanzie reali a fronte dei propri titoli: il debito pubblico è semplicemente garantito dalla propria banca centrale. Forse che l'Inghilterra a fronte dei suoi titoli ipoteca Buckingham Palace? No di certo, anche nei momenti peggiori della crisi come nel 2008, quando la fiducia verso l'economia inglese era minima, la Bank of England comprò sul mercato tutti i titoli venduti dagli investitori terrorizzati mantenendo i tassi ai minimi e consentendo il riallineamento della Sterlina. Nessun bisogno di vendersi l'oro e anzi, in teoria adesso quel debito riacquistato potrebbe essere cancellato con un tratto di penna perché presente sia all'attivo che al passivo del bilancio statale (il tesoro è debitore e la Banca Centrale è creditore, ma entrambe sono dello Stato). Capita la fregatura? Ci vogliono dare un servizio che sarebbe totalmente normale al modico prezzo di un'ipoteca su mille miliardi delle nostre ricchezze e, per aiutare il furto, ecco che il servizievole (o complice) PD sta preparando la “riforma del titolo quinto della Costituzione”: vale a dire la possibilità per lo stato di mettere le mani su tutti i beni oggi vincolati alla disponibilità degli enti locali. In pratica si vogliono mangiare l'aragosta e apprestano i ferri per ripulire la polpa anche nelle zampine. Tutto questo per cosa? Per consentire all'Eurozona di andare avanti in modo che la Germania (come ammesso ieri con incredibile candore a Ballarò dalla candidata alla presidenza della Commissione Europea Ska Keller) possa mantenere bassi i prezzi delle sue merci e continuare a venderle evitando la disoccupazione. Ce lo dicono in faccia e noi continuiamo a fare cose contrarie al nostro interesse.
Per questo le prossime elezioni Europee saranno importanti: ci sono in gioco cose fondamentali per il nostro futuro che rischiano di essere gestite da piccoli collaborazionisti. Cerchiamo di svegliarci.
fonte
 

lunedì 8 aprile 2013

Moneta e titoli di Stato: per uscire dalla crisi copiamo dal Giappone In appena tre mesi il governo nipponico ha raddoppiato gli yen in circolazione e risollevato l'economia. La Bce invece è immobile



L' Europa e l'Eurozona sono in crisi dal 2009. Da allora più di 35 vertici, quasi nessuna decisione presa. In Giappone in 3 mesi è cambiato tutto. È cambiata la politica economica, è cambiata la strategia della banca centrale, si è abbassato il cambio e il paese è tornato a crescere. Volere è potere. Ed è del tutto chiaro che la via maestra per portare l'Europa fuori dalla crisi sia nota a tutti già da tempo, ma evidentemente manca la volontà politica perché ciò possa accadere.
La soluzione è pronta almeno da giugno 2012, quando i presidenti di Consiglio europeo, Commissione europea, Banca Centrale Europea e Eurogruppo hanno presentato una ben definita road map verso 4 unioni nell'area euro: unione bancaria, economica, politica e di bilancio. Cui si aggiunge la modifica dei Trattati, al fine di attribuire alla Bce il ruolo di prestatore di ultima istanza. È rimasta lettera morta. E quel poco che è stato fatto dalle istituzioni comunitarie, vale a dire il Meccanismo Europeo di Stabilità (alias «scudo anti spread»), e dalla Bce, che a luglio 2012 ha deliberato un programma di acquisto illimitato sul mercato secondario di titoli di Stato con vita residua fino a 3 anni dei paesi sotto attacco speculativo (Omt, Outright monetary transactions), è di fatto bloccato dalla Germania. Il primo perché, per volontà tedesca, non può ricapitalizzare direttamente le banche europee se prima non parte un sistema unico di supervisione bancaria nell'area euro. Il secondo perché a ottobre la Corte costituzionale tedesca dovrà pronunciarsi sulla legittimità del programma in quanto, secondo l'interpretazione prevalente in Germania, i trasferimenti illimitati (quali quelli per cui si è impegnata la Banca Centrale Europea) all'interno
dell'area monetaria dell'euro sono vietati.
Spesso nelle nostre analisi abbiamo messo a confronto la politica economica timida e bloccata dell'Europa con quella pragmatica ed efficiente degli Stati Uniti. Ma c'è qualcuno che negli ultimi mesi ha superato il gigante americano, in termini di politica economica e di politica monetaria: il Giappone. Con effetti positivi tanto sulla propria economia quanto sulle borse di tutto il mondo.
È bastato un nuovo governo, insediatosi il 26 dicembre 2012, e un nuovo presidente della banca centrale (Bank of Japan), nominato il 20 marzo 2013, per fare una vera e propria rivoluzione. In 3 mesi è cambiato tutto: il Giappone, dall'essere un paese in recessione cronica (5 lunghi cicli nell'arco degli ultimi 15 anni) e bloccato da una valuta, lo yen, fin troppo forte, è passato a ridurre il valore della moneta e, udite udite, è uscito, come per magia, dalla recessione. È aumentata la fiducia dei consumatori e sono cresciuti gli investimenti delle imprese. Ripetiamo: tutto in 3 mesi. È bastata la volontà politica.
L'11 gennaio 2013, poco più di 2 settimane dopo l'insediamento, il primo ministro giapponese, Shinzo Abe, ha lanciato un piano da 10.300 miliardi di yen (116 miliardi di dollari), finalizzato a un aumento del Pil di almeno 2 punti percentuali e alla creazione di 600mila posti di lavoro, nonostante un rapporto deficit/Pil del paese oltre il 10% e un rapporto debito/Pil superiore al 220%. I 10.300 miliardi di yen saranno così utilizzati: 3.900 miliardi sono destinati alla ricostruzione dell'area di Tohoku, devastata dal terremoto e dallo tsunami; 3.200 miliardi riguardano misure per la competitività e l'innovazione delle imprese industriali; 3.200 miliardi sono impegnati per la sicurezza sociale, la sanità e l'istruzione.
Obiettivo primario del nuovo premier: risollevare l'economia nazionale. In linea (e oltre) con la politica economica adottata dagli Stati Uniti. L'esatto contrario delle ricette sangue, sudore e lacrime imposte ai paesi dell'Eurozona sotto attacco speculativo dall'Europa a trazione tedesca.
Allo stesso modo, il 3 aprile 2013, a due settimane esatte dalla nomina, il presidente della banca centrale giapponese, Haruhiko Kuroda, ha stravolto la politica monetaria e ha lanciato un piano di stimolo che in 2 anni porterà al raddoppio della base monetaria del Giappone da 138.000 miliardi di yen a 270.000 miliardi di yen (tra 60.000 e 70.000 miliardi di yen in più all'anno); al raddoppio degli acquisti di titoli a lungo termine (fino a 40 anni) del debito sovrano giapponese, nonché all'allungamento della vita media residua di quelli già in circolazione, da meno di 3 anni a circa 7 anni; alla sospensione della regola, introdotta nel 2001, per cui la banca centrale non può detenere in portafoglio un ammontare di titoli di Stato superiore alla quantità totale delle banconote in circolazione. Quest'ultima previsione porterà ad un totale di titoli di Stato in possesso della banca centrale giapponese pari a 290.000 miliardi di yen nel 2014, vale a dire 3 volte la quantità totale di banconote in circolazione nello stesso anno, pari a 90.000 miliardi di yen. Nonostante tutto ciò, l'inflazione in Giappone non supererà il 2%.
Numeri da far girar la testa anche al presidente della Federal Reserve americana, Ben Bernanke. Diverse, invece, le posizioni del presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, che proprio poche ore dopo l'annuncio del piano «shock» da parte del suo collega giapponese, ha confermato lo status quo. Nulla di più.
Dal quadro delineato emergono politiche economiche e monetarie molto differenti. Difficile dire chi abbia ragione e chi torto. Un dato è certo: al di là delle percentuali, senz'altro importanti e da tenere in conto e che gli Stati membri dell'Eurozona si ostinano a rincorrere con la pistola dello spread puntata alla tempia, in Usa e Giappone la ripresa è solida e l'economia reale è più in salute rispetto all'Europa, che, invece, è ridotta allo stremo. Proprio sull'attenzione all'economia reale il presidente della banca centrale giapponese ha basato il suo programma straordinario: se i tassi di interesse sui titoli di Stato calano, le istituzioni finanziarie private riposizionano i loro portafogli con meno bond pubblici e più prestiti alle imprese e più attività di rischio legate all'economia reale. Con relativo cambio drastico nelle aspettative degli operatori di mercato e di tutte le entità economiche, imprese e consumatori compresi.
Ma la lezione giapponese ci insegna anche altro: che in 3 mesi si possono cambiare le sorti di un paese. Cosa che un'Europa miope, masochista, calvinista, ipocrita e balbettante non è riuscita a fare in 3 anni di crisi. Un'Europa piena di contraddizioni interne, con uno Stato egemone, la Germania, che ha deciso che nell'imminenza delle proprie elezioni politiche, che si terranno a settembre 2013, il clima sui mercati non deve essere turbato.
Cosa succederebbe se in questi giorni le solite 20 banche che fanno il bello e cattivo tempo sui mercati decidessero di vendere titoli del debito pubblico italiano, come hanno fatto nella primavera-estate del 2011? In un battibaleno lo spread aumenterebbe di 200 punti e si formerebbe subito un governo di grande coalizione.
Evidentemente la Germania non vuole che questo avvenga, perché non gradisce che l'Italia abbia un esecutivo autonomo, forte, capace di liberarsi del controllo esterno e di orientare, piuttosto che subire, la politica economica europea. Magari cambiandola in senso giapponese. Al contrario, lo spread relativamente basso favorisce lo stallo. Se continuano così le cose, chi farà, in Italia, il Piano Nazionale delle Riforme e il Programma di Stabilità, documenti economici di primaria importanza, che hanno gittata poliennale e che devono essere inviati alla Commissione europea entro il 30 aprile?
Ecco perché serve la volontà politica storica per un governo forte in Italia, che metta insieme il centrodestra e il centrosinistra. Basta un atto di buonsenso, da parte dei due partiti che hanno raccolto più consensi alle ultime elezioni, che porti alla formazione di un governo sostenuto da un'ampia maggioranza, e lo stallo che ci affligge dalla caduta del governo Berlusconi nel novembre 2011 giungerebbe a soluzione. Indipendentemente dallo spread. E dalla Germania. Un primo, fondamentale passo verso il recupero della nostra sovranità nazionale, dentro un Europa finalmente capace di decidere il proprio destino. Volere è potere. Il Giappone ci insegna che in 3 mesi si può cambiare tutto. Noi siamo alla melina di Bersani e all'inutilità dei saggi, facilitatori del nulla.

sabato 6 aprile 2013

L'UE pianifica di confiscare i depositi in tutta l'Eurozona

Uno striscione apparso davanti alla sede del parlamento
di Cipro, dopo il blocco dei Conti Correnti in vista del
prelievo forzoso ordinato dagli eurocrati:
"chi è il prossimo? Spagna o Italia?"


La confisca dei depositi a Cipro non è che la prima applicazione pratica di una soluzione pianificata da tempo per tutta la regione translatlantica. Il piano prevede di passare dai salvataggi esterni ("bailouts") delle banche eseguiti con il prelievo fiscale, ai salvataggi interni ("bail-ins") eseguiti confiscando azioni, obbligazioni e depositi.

Da movisol.org

Il Parlamento Europeo sta per votare una legge per la "risoluzione" delle banche in difficoltà la cui bozza è stata presentata dalla Commissione EU il 6 giugno 2012, basata su uno schema di bail-in che include la confisca dei depositi al di sopra della quota garantita di 100 mila euro. Il relatore della legge, Gunnar Hokmark, ha dichiarato alla Reuters il 20 marzo che probabilmente la legge passerà così come è stata scritta. "Dovremo essere in grado di eseguire il bail-in anche attingendo ai depositi. Quelli sotto i 100 mila euro sono protetti (…) quelli sopra i 100 mila non sono protetti e dovranno essere trattati come parte del capitale che può essere usato per il salvataggio". Hokmark è fiducioso che la maggioranza del Parlamento Europeo voterà in questo senso.

Il 25 marzo il nuovo presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem, aveva creato scalpore affermando che la confisca dei depositi a Cipro era un "modello" per l'Eurozona. In seguito, l'incauto olandese ha dovuto fare marcia indietro, ma il membro del Consiglio della BCE Klaas Knot ha confermato dichiarando al quotidiano olandese Het Financieele Dagblad alcuni giorni dopo che questa politica "era da tempo sulla scrivania" in Europa.

Infatti, la legge presentata dalla Commissione EU nel 2012 e attualmente all'esame del Parlamento Europeo è la prova che la rapina di Cipro non è l'invenzione del governo tedesco ma piuttosto un'operazione a lungo pianificata da parte della Commissione EU.

L'esenzione dei "piccoli" depositi (sotto i centomila euro) non deve trarre in inganno: i conti nel mirino dell'UE sono quelli commerciali, e cioè appartenenti a piccole e medie imprese che ne hanno bisogno per i pagamenti correnti ai fornitori, ai dipendenti e all'erario. In altre parole sono conti indispensabili per lo svolgimento dell'attività economica. Si tratta dei conti più liquidi della banca, e quindi più ghiotti per chi è in vena di rapine. Ma una volta rapinati, l'economia collassa.

I depositi possono essere requisiti anche usando il metodo spagnolo: un milione di famiglie spagnole sono state raggirate quando sono state convinte ad acquistare "azioni privilegiate" nelle banche del paese. Nel caso di Bankia, l'istituto finanziario fallito, quelle azioni oggi valgono meno dell'un per cento del valore originale.

Un'altra versione è quella in serbo per l'Italia, che potrebbe finire nelle grinfie della Troika nel caso di una protratta ingovernabilità. L'Italia non ha grossi problemi bancari, ma un debito pubblico del 127% che in gran parte è negoziato sui mercati internazionali. Per garantire il valore dei titoli di debito italiano in mano ai famosi "investitori", l'economista capo di Commerzbank, Jörg Krämer, ha proposto di ridurlo al 100% del PIL con una patrimoniale del 15%, sostenendo che gli italiani sono più ricchi dei tedeschi e quindi possono permetterselo. Krämer ha usato statistiche pubblicate, tra l'altro, dalla Bundesbank secondo cui la ricchezza privata degli italiani è di 164 mila euro pro capite, contro i 76 mila di media dei tedeschi. Queste cifre, però, comprendono sia il patrimonio finanziario che quello immobiliare, nascondendo il fatto che il 70% degli italiani possiede una casa, contro il circa 40% dei tedeschi. Non si può vendere la casa per pagarne il 15%. Il vero dato da considerare, se si vuole fare un paragone, è quello del reddito. E qui, i 19.655 euro di reddito medio annuo pro capite degli italiani contro gli oltre 30 mila dei tedeschi la dicono lunga sulla situazione economica reale.

Ma l'UE fa i conti senza l'oste. Guardando a una Cipro colpita da tutte le calamità che gli eurofanatici paventano per il paese che si azzardi a lasciare l'euro, ma priva dei vantaggi di un ritorno alla moneta nazionale, un numero crescente di italiani si chiede pubblicamente se il costo di rimanere nell'euro non sia troppo alto. 


Fonte: http://www.movisol.org/13news057.htm 

venerdì 21 settembre 2012

IL MITO DELL' INSOLVENZA DEL GIAPPONE

DI ELLEN HODGSON BROWN
webofdebt.wordpress.com

Il più grande “debitore” del mondo è adesso il più grande creditore del mondo

L'enorme debito pubblico del Giappone nasconde un enorme beneficio per il popolo giapponese, il che insegna molto sulla crisi debitoria degli USA.

In un articolo pubblicato su Forbes nell'aprile del 2012, intitolato “Se il Giappone È insolvente, Come Mai Sta Soccorrendo Economicamente l'Europa?"”, Eamon Fingleton faceva notare come il Giappone sia il paese, al di fuori dell'Eurozona, che abbia dato di gran lunga il maggior contributo all'ultima operazione di salvataggio finanziario dell'Euro. Si tratta, scrive, dello “stesso governo che è andato in giro facendo finta di essere in bancarotta (o perlomeno, che ha evitato di opporsi sul serio quando ottusi commentatori americani e britannici hanno dipinto le finanze pubbliche giapponesi come un totale disastro).”

Osservando che fu sempre il Giappone, praticamente da solo, a salvare il FMI al culmine del panico globale del 2009, Fingleton domanda: 

“Com'è possibile che una nazione il cui governo si suppone sia il più indebitato tra i paesi avanzati si permetta tanta generosità? (…) L'ipotesi è che la vera finanza pubblica del Giappone sia molto più solida di quanto la stampa occidentale ci abbia fatto credere. Quello che non si può negare è che il Ministero delle Finanze giapponese sia uno dei meno trasparenti del mondo...”

Fingleton riconosce che i passivi del governo giapponese sono ingenti, ma dice che dovremmo guardare anche all'aspetto patrimoniale del bilancio: 

“[I]l Ministero delle Finanze di Tokyo ottiene sempre più prestiti dai cittadini giapponesi, ma non per pazze spese statali in patria, bensì all'estero. Oltre a rimpolpare il piatto per far sopravvivere il FMI, Tokyo è ormai da tempo il prestatore di ultima istanza sia del governo statunitense sia di quello britannico. E intanto prende in prestito denaro con un tasso di appena l'1% in dieci anni, il secondo tasso più basso del mondo dopo quello svizzero.”

Per il governo giapponese è un buon affare: può farsi prestare denaro all'1% in dieci anni, e prestarlo agli USA a un tasso dell'1,6 (il tasso attuale dei titoli USA a dieci anni ), con un discreto margine di guadagno.

Il rapporto debito/PIL del Giappone è quasi del 230% , il peggiore tra i più grandi paesi del mondo. Eppure il Giappone resta il maggior creditore del mondo, con un netto di bilancio con l'estero di 3.190 miliardi di dollari. Nel 2010 il suo PIL pro capite era superiore a quello di Francia, Germania, Regno Unito e Italia. Inoltre, anche se l'economia della Cina è arrivata, a causa della sua popolazione in progressivo aumento (1,3 miliardi contro 128 milioni), a superare quella del Giappone, i 5.414 dollari di PIL pro capite dei cinesi è solo il 12% dei 45.920 dei giapponesi.

Come si spiegano queste anomalie? Un buon 95% del debito pubblico giapponese è detenuto all'interno del paese, dagli stessi cittadini.

Oltre il 20% del debito è in possesso della Japan Post Bank [1], dalla Banca centrale e da altre istituzioni statali. La Japan Post è la più grande detentrice di risparmio interno del mondo, e gli interessi li versa ai suoi clienti giapponesi. Anche se in teoria è stata privatizzata nel 2007, è pesantemente influenzata dalla politica, e il 100% delle sue azioni è in mano pubblica. La Banca centrale giapponese è posseduta dallo stato per il 55%, ed è sotto il suo controllo per il 100%. Del debito rimanente, oltre il 60% è detenuto da banche giapponesi, compagnie assicurative e fondi pensione. Un ulteriore porzione è in mano a singoli risparmiatori. Solo il 5% è detenuto all'estero , per lo più da banche centrali. Come osserva il New York Times in un articolo del settembre 2011:

“Il governo giapponese è pieno di debiti, ma il resto del Giappone ha denaro in abbondanza.”

Il debito pubblico giapponese è il denaro dei cittadini. Si possiedono l'un l'altro e ne raccolgono insieme i frutti.

I Miti del Rapporto Debito/PIL in Giappone

Il rapporto debito pubblico/PIL del Giappone sembra davvero pessimo. Ma, come osserva l'economista Hazel Henderson , si tratta solo di una questione di procedura contabile – una procedura che lei e altri esperti ritengono fuorviante. Il Giappone èleader mondiale in parecchi settori della produzione di alta tecnologia, inclusa quella aerospaziale. Il debito che compare sull'altra colonna del suo bilancio rappresenta il premio riscosso dai cittadini giapponesi per tutta questa produttività. 

Secondo Gary Shilling
 in un suo articolo su Bloomberg del giugno 2012, più della metà della spesa pubblica giapponese va in servizi al debito e previdenza sociale. Il servizio al debito viene erogato sotto forma di interessi ai “risparmiatori” giapponesi. La previdenza e gli interessi sul debito pubblico non vengono inclusi nel PIL, ma in realtà si tratta della rete di sicurezza sociale e dei dividendi collettivi di un'economia altamente produttiva. Sono questi, più dell'industria bellica e dei “prodotti finanziari” che costituiscono una grossa parte del PIL degli USA, i veri frutti dell'attività economica di una nazione. Per quel che riguarda il Giappone, rappresentano il godimento da parte dei cittadini dei grandi risultati della loro base industriale ad alta tecnologia. Shilling scrive: 

“Il deficit statale si suppone serva a stimolare l'economia, eppure la composizione della spesa pubblica giapponese, sotto questo aspetto, non sembra molto utile. Si stima che il servizio al debito e la previdenza – in genere non uno stimolo per l'economia – consumeranno il 53,5% della spesa per il 2012...”

Questo è quello che sostiene la teoria convenzionale, ma in realtà la previdenza e gli interessi versati ai risparmiatori interni stimolano, eccome, l'economia. Lo fanno mettendo denaro in tasca ai cittadini, incrementando così la “domanda”. I consumatori che hanno soldi da spendere riempiono i centri commerciali, incrementando così gli ordini di ulteriori merci, e spingendo in su produzione e occupazione.

I Miti sull'Alleggerimento Quantitativo

Una parte del denaro destinato alla spesa pubblica viene ottenuto direttamente “stampando moneta” per mezzo della banca centrale, procedura nota anche come “alleggerimento quantitativo” [Quantitative easing]. Per più di un decennio la Banca del Giappone ha seguito questa procedura; e tuttavia l'iperinflazione che secondo i falchi del debito si sarebbe dovuta innescare non si è verificata. Al contrario, come osserva Wolf Richter in un articolo del 9 maggio 2012:

“I giapponesi [sono] infatti tra i pochi al mondo a godersi una vera stabilità dei prezzi, con periodi alternati di piccola inflazione o piccola deflazione – l'opposto di un'inflazione al 27% su dieci anni che la Fed si è inventata chiamandola, demenzialmente, 'stabilità dei prezzi'”. 

E cita come prova il seguente grafico diffuso dal Ministero degli Interni giapponese:



Com'è possibile? Dipende tutto da dove va a finire il denaro prodotto con l'alleggerimento quantitativo. In Giappone, il denaro preso in prestito dallo stato torna nelle tasche dei cittadini sotto forma di previdenza sociale o interessi sui loro risparmi. I soldi sui conti bancari dei consumatori stimolano la domanda, stimolando la produzione di beni e servizi, facendo aumentare l'offerta. E quando domanda e offerta aumentano insieme, i prezzi restano stabili.

I Miti sul “Decennio Perduto”

La finanza giapponese si è a lungo ammantata di segretezza, forse perché quando il paese era maggiormente disposto a stampare denaro per sostenere le proprie industrie, si è fatto coinvolgere nella II Guerra Mondiale . Nel suo libro del 2008, In the Jaws of the Dragon, Fingleton suggerisce che il Giappone abbia simulato l'insolvenza del “decennio perduto” degli anni 90 per evitare di incorrere nell'ira dei protezionisti americani a causa delle sue fiorenti esportazioni di automobili e altre merci. Smentendo le pessime cifre ufficiali, durante quel decennio le esportazioni giapponesi aumentarono del 75%, ci fu un incremento delle proprietà all'estero, e l'uso di energia elettrica aumentò del 30%, segnale rivelatore di un settore industriale in espansione. Arrivati al 2006, le esportazioni del Giappone erano diventate il triplo rispetto al 1989.

Il governo giapponese ha sostenuto la finzione di adeguarsi alle norme del sistema bancario internazionale, prendendo “in prestito” il denaro invece di “stamparlo” direttamente. Ma prendere in prestito il denaro emesso da una banca centrale proprietà dello stesso governo è l'equivalente pratico di un governo che il denaro se lo stampi, in particolare quando il debito continua a rimanere nei bilanci ma non viene mai ripagato.

Implicazioni per il “Precipizio Fiscale” [2]

Tutto questo ha delle implicazioni per gli americani preoccupati per un debito pubblico fuori controllo. Adeguatamente guidato e gestito, a quanto pare, il debito non deve far paura. Come il Giappone, e a differenza della Grecia e degli altri paesi dell'Eurozona, gli USA sono gli emittenti sovrani della propria valuta. Se lo volesse, il Congresso potrebbe finanziare il proprio bilancio senza ricorrere a investimenti esteri o banche private. Potrebbe farlo emettendo direttamente moneta o facendosela prestare dalla propria banca centrale, a tutti gli effetti a zero interessi, dato che la Fed versa allo stato i suoi profitti dopo averne sottratto i costi.

Un po' di alleggerimento quantitativo può essere positivo, se il denaro arriva allo stato e ai cittadini piuttosto che nelle riserve bancarie. Lo stesso debito pubblico può essere una cosa positiva. Come testimoniò Marriner Eccles , direttore della Commissione della Federal Reserve, in un'audizione davanti alla Commissione Parlamentare Bancaria e Valutaria [ House Committee on Banking and Currency] nel 1941, il credito dello stato (o il debito) “è ciò in cui consiste il nostro sistema monetario. Se nel nostro sistema monetario non ci fosse il debito, non ci sarebbe nemmeno denaro”.

Adeguatamente gestito, il debito pubblico diventa il denaro che i cittadini possono spendere. Stimola la domanda, finendo per stimolare la produttività. Per mantenere il sistema stabile e sostenibile, il denaro deve avere origine dallo stato e i suoi cittadini, e finire nelle tasche del medesimo stato e dei medesimi cittadini.

Ellen Brown è avvocato a Los Angeles e autrice di 11 libri. In Web of Debt: The Shocking Truth about Our Money System and How We Can Break Free,mostra come un monopolio bancario abbia usurpato il potere di emettere valuta, sottraendolo alla sovranità del popolo, e come il popolo possa riappropriarsene. Altri articoli di Ellen Brown. Il suo sito personale. 

Fonte: http://webofdebt.wordpress.com
Link: http://webofdebt.wordpress.com/2012/09/05/the-myth-that-japan-is-broke-the-worlds-largest-debtor-is-now-the-worlds-largest-creditor/
5.09.2012

Traduzione per www.Comedonchisciotte.org a cura di DOMENICO D'AMICO

note del traduttore

[1] Le poste giapponesi, pur diventando un vero e proprio istituto di credito, a differenza di altre banche commerciali ha come attività principale il risparmio. [Wikipedia]

[2] “Fiscal Cliff: letteralmente “rupe fiscale” ma reso in italiano anche con “precipizio”, il “fiscal cliff” indica il doppio impasse che dovranno affrontare gli Stati Uniti alla fine di quest'anno, quando scadranno gli incentivi fiscali introdotti nell'era Bush e si dovrà trovare un accordo sul tetto al debito Usa per evitare tagli automatici alle spese e aumenti delle tasse. Il fiscal cliff potrebbe esercitare pressioni significative sulla crescita Usa nei primi mesi del prossimo anno. Nel peggiore dei casi si rischierebbe anche una nuova recessione. Di qui la minaccia delle agenzie di rating (ultima ieri Fitch) di abbassare il giudizio sulla solvibilità degli Stati Uniti in caso di mancato accordo al Congresso. [Il Sole 24 Ore – 30 agosto 2012 ]

venerdì 7 settembre 2012

Sussulto di dignità: la Bulgaria dice no all'euro


Uno schiaffo ai burocrati di Bruxelles dal piu' povero dei paesi dell'eurozona. "Il progettato ingresso nella moneta unica ha perso di significato". "Il vento e' cambiato... In questo momento, non vedo alcun beneficio dall'ingresso nell'euro, solo costi", dice Boyko Borisov primo ministro dell'ex paese comunista.

La Bulgaria, il paese dell'Unione Europea piu' povero ma allo stesso tempo raro esempio di politica fiscale virtuosa nel blocco dei 27, ha congelato a tempo indeterminato il progetto di adottare l'euro come moneta. Si tratta dell'ultimo caso di nazione prudente a prendere le distanze da Bruxelles e dalla disastrosa politica Ue, un'Unione incapace di gestire la crisi dei debiti sovrani, il cui effetto e' mancata crescita, tasse piu' alte e sacrifici per centinaia di milioni di cittadini. 

Dalla capitale della Bulgaria Sofia, il primo ministro Boyko Borisov e il ministro delle finanze Simeon Djankov hanno spiegato che la decisione di non andare avanti con il piano strategico a lungo termine di adozione dell'euro, arriva in risposta al deterioramento delle condizioni economiche e alla crescita dell'incertezza sulle prospettive della Ue. 
Ugualmente importanti, nelle parole dei due politici dell'ex paese comunista, il decisivo cambio di atteggiamento della pubblica opinione in Bulgaria, dove questo e' il terzo anno consecutivo in cui sono in vogore misure di austerity.
"Il vento e' cambiato, sia per cio' che pensiamo noi al governo sia tra la gente... In questo momento, non vedo alcun beneficio dall'ingresso nell'eurozona, solo costi", ha detto il ministro delle finanze Djankov. "I cittadini giustamente vogliono sapere chi dovremo salvare (dal collasso) quando entriamo nell'euro; e' troppo rischioso per noi ed inoltre non e' certo quali siano le regole ne' come potranno cambiare tra un anno o due". 

fonte

mercoledì 20 giugno 2012

Salvare le banche (altrui) dell'eurozona ci è già costato 48 miliardi di euro


Nel 2010 spesi 3,9 miliardi, nel 2012 il sostegno ai Paesi in difficoltà è salito a 29,5 miliardi. Ma con l'aiuto alla Spagna la cifra aumenterà

Dopo il via libera di Bruxelles agli aiuti fino a un massimo da 100 miliardi al sistema bancario spagnolo, si aspettano i dettagli dell'accordo che diventerà operativo solo dopo la decisione dell'Ecofin convocato per 20-21 giugno. Al ministero dell'Economia hanno cominciato a fare i conti su quanto questo aiuto peserà sul bilancio. Nel 2010 l'aiuto ai paesi in difficoltà è costato all'Italia 3,9 miliardi pari allo 0,3% del pil.

Nel 2011 la somma degli esborsi è salita a 9,2 miliardi di cui 3,2 miliardi (per gli aiuti a Irlanda e Portogallo) erogati tramite il Fondo salva-stati europeo e il resto, 6,1 miliardi di prestiti diretti alla Grecia. Per il 2012 il governo stima di concedere finanziamenti complessivi in favore di Grecia, Irlanda e Portogallo per 29,5 miliardi che saranno sempre erogati dall'Esf (i fondi nati per salvare Portgollo, Irlanda e grecia colpiti dalla crisi). Nel 2012 i prestiti diretti dell'Italia verso la Grecia ammontano a 61 miliardi di euro.

Ci sono inoltre i versamenti per la sottoscrizione della quota italiana al capitale dell'Esm (L'european stablity nmechanism) il meccanismo permanente che sostituirà il vecchio fondo salva-Stati. Adesso bisognerà vedere se i 100 miliardi di aiuti alle banche spagnole richiederanno un nuovo intervento da parte dell'Italia appesantendo ulteriormente i conti dell'Italia. Bisogna capire se varranno ancora le regole dell'Efsf (il fondo salvastati). Finora le cifre sono sempre state in salita: finora l'Italia ha sborsato oltre 48 miliardi di euro, ma la somma rischia di aumentare ancora.


fonte: liberoquotidiano.it

Vedi anche: L'Italia è nella me**a ma continua a sborsare soldi per salvare gli altri

sabato 21 aprile 2012

L’Olanda proporrà un referendum per tornare al fiorino


Crisi EuroAnche i primi della classe, qualche volta, perdono la pazienza. Troppi i soldi buttati in quel pozzo senza fondo che rischia di diventare la Grecia. L’Olanda non ci sta più. È pronta a dire addio alla moneta unica e ai suoi guai.
Proporrà un referendum per tornare all’età del fiorino. E dopo l’autunno caldo delle politiche 2013 anche la Germania potrebbe seguirla, dicono gli esperti di mercato interpellati da Panorama.it. D’altra parte dalle sue colonne il Der Spiegel sbandiera un terzo piano di aiuti per Atene. Meglio quindiprendere contromisure.
È stato il leader di estrema destra olandese, Geert Wilders, che tiene sotto scacco il governo di Mark Rutte, a rompere gli indugi: proporrà un referendum. Obiettivo: reintrodurre il fiorino. Secondo uno studio commissionato alla società britannica Lombard Street Research, la moneta unica avrebbe significato un guadagno di circa 800 euro annui in più per gli olandesi, se l’economia europea fosse stata solida.
Con la crisi quel guadagno si è trasformato in una perdita di 2.700 euro. Così dire addio al sogno dorato dell’euro non è più un tabù. E non lo sarà neanche per Berlino dopo le elezioni 2013, anticipano gli analisti. Difficile trovare rimpianti d’altra parte anche perché il salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo è costato solo ad Amsterdam 127 miliardi. E potrebbe non essere finita qui.

Atene potrebbe avere bisogno di un terzo piano di aiuti da 50 miliardi di euro nel 2015, ha scritto il settimanale Der Spiegel. È stato l’ultimo rapporto compilato dalla troika Ue-Bce-Fmi, riportato dal giornale, a tracciare un quadro netto. Non c’è nessuna certezza che la Grecia torni a rifinanziarsi sui mercati fra qualche anno. Anzi, tra il 2015 e il 2020 potrebbe avere bisogno di un nuovo assegno. Si tratta di una analisi amara volutamente rimossa dal rapporto finale consegnato ai ministri delle Finanze dell’Eurozona, per volontà del governo tedesco.
Evidentemente visto da Amsterdam il tempo dei ricatti però è finito. Meglio chiamarsi fuori, prima che sia troppo tardi.


blog.panorama.it tratto da ECplanet

mercoledì 11 aprile 2012

Sale la disoccupazione Ma il governo tecnico non faceva i miracoli?


In un anno la disoccupazione sale di un punto: è al 9,3%. Smentiti gli anti Cav convinti che le dimissioni di Berlusconi bastassero a salvare l'Italia. Ma Monti non ha la bacchetta magica...

La speranza è che la riforma del mercato del lavoro riformi effettivamente il mercato del lavoro. Ma, soprattutto, che riesca a dare una sferzata all'occupazione.
Lavoro e disoccupazione
Lavoro e disoccupazione
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I dati pubblicati oggi dall'Ocse parlano, infatti, di un forte peggioramento nel corso dell'ultimo anno. Mentre il tasso di disoccupazione dell’area Ocse è rimasto stabile all’8,2% nel mese di febbraio, invariato rispetto a gennaio e dicembre, l’organizzazione di Parigi ha fatto sapere che in Italia il tasso dei senza lavoro è in continua crescita: nel giro di un mese si è passati dal 9,1% di gennaio al 9,3%.
Per farsi un'idea di quanto la situazione sia peggiorata basta dare un'occhiata ai dati dello scorso anno. Nel settembre del 2001, un paio di mesi prima che i mercati e i poteri forti obbligassero il governo Berlusconi a un passo indietro, in Italia il tasso di disoccupazione si aggirava intorno all'8,3% mentre nell'Eurozona si attestava al 10,2%. Il Vecchio Continente toccava così il livello più elevato dal giugno del 2010. In parlamento il centrosinistra chiedeva a gran voce le dimissioni del premier Silvio Berlusconiinvitandolo a far spazio a un esecutivo tecnico che avrebbe rilanciato lo sviluppo economico del Belpaese e abbattuto la disoccupazione. Con l'avvento di Mario Monti a Palazzo Chigi la riforma del mercato del lavoro è subito entrata tra le prime misure che hanno messo a confronto il governo e le parti sociali. La riforma adesso è al vaglio delle Camere ma il Wall Street Journal ha già accusato il Professore di essersi arreso nella battaglia coi sindacati sull'articolo 18.
La crisi economica è tutt'altro che passata. L'altalena dei mercati ne è la diretta conseguenza. A febbraio, si legge nel bollettino compilato dai tecnici dell'Ocse, la disoccupazione nell'Unione europea è aumentata per l’ottavo mese consecutivo con una crescita di 0,1 punti percentuali. L'Eurozona ha così raggiunto il 10,8% segnando un nuovo record (negativo) dall’inizio della crisi. Fra i paesi dell'area euro, la disoccupazione è aumentata un po' ovunque. Dall'Austria al Lussemburgo, dall'Italia, che ha toccato il 9,3%, al Portogallo. Va peggio in Spagna dove si è attestata al 23,6%: il dato peggiore di tutta l'Eurozona. I dati dell'istituto parigino dimostrano un malessere generalizzato, ma in meno di un anno il tasso di disoccupazione in Italia è peggiorato di almeno un punto percentuale. Alla faccia di chi credeva che le dimissioni del Cavaliere bastassero per sistemare tutti i mali dell'Italia e di chi confidava nella bacchetta magica di Mario Montiper risolvere la prepotenza dei sindacati, l'immobilismo della macchina politica e l'antagonismo delle lobby.

martedì 10 aprile 2012

Banche, ladri che speculano sul debito pubblico e i governi sono le loro "talpe"


banche
di Paolo Ferrero
Le banche dell'Eurozona hanno incassato una plusvalenza del 13% sui titoli di Stato italiani nel periodo tra l'annuncio del primo maxi-prestito della Bce dell'8 dicembre scorso e la fine del primo trimestre dell'anno, secondo quanto ha scritto Bloomberg ieri.
Questa situazione odiosa ci dice una cosa sola: le banche sono dei ladri che speculano sul debito pubblico e i governi, a partire dall'esecutivo guidato da Mario Monti, sono le ""talpe"" che favoriscono gli speculatori e usano il ricatto dello spread per togliere i diritti ai lavoratori. Siamo davanti ad una truffa bella e buona, organizzata dai governanti e dai poteri finanziari sulle spalle e alla faccia del popolo italiano.
Martedì 10 Aprile 2012