domenica 12 giugno 2011

Il travet pubblico guadagna di più e lavora meno

di Gian Battista Bozzo

Dal 2002 al 2010 gli stipendi sono aumentati del 22,4% contro il 6,8% del settore privato, con un divario medio di 5mila euro. Ma non solo: gli impiegati di Stato stanno a casa 33 giorni in più. Sindacati indignati. Bonanni: "Sono dati fuorvianti"

Posto sicuro, meno ore di lavoro, ma anche retribuzio­ni più alte. Gli ultimi dati del­la Banca d’Italia confermano che il pubblico impiego è di­ventato molto più convenien­te rispetto al settore privato. Dal 2002 al 2010, le retribuzio­ni pubbliche sono cresciute in media da 23.813 euro a 29.165 euro, con un incre­mento di oltre 5.200 euro (+22,47%). I dipendenti del settore privato hanno portato a casa molto di meno. Le bu­ste paga partivano da 21.029 euro nel 2002 e sono arrivate a 23.275 euro nel 2010, con un incremento del 6,8%. Queste cifre, contenute nel­la-Relazione annuale di Banki­talia, hanno provocato una re­azione «molto vivace», per usare un eufemismo, di Cisl e Uil. Ma i sindacati più vicini al pubblico impiego non hanno contestato i dati.

«Gli amici di Bankitalia hanno avuto qual­che sbandamento perchè c’è stato qualche vuoto di direzio­ne », dice Raffaele Bonanni ri­f­erendosi alla partenza di Ma­rio Draghi da via Nazionale verso la Bce. Secondo il segre­tario cislino, «tutti quanti, go­verno compreso, devono fare chiarezza sul perchè, in un momento così importante si va a toccare una ferita così pu­rulenta ». E ricorda che nelle retribuzioni pubbliche sono comprese quelle di generali, prefetti, ambasciatori, magi­strati e manager. Meno cripti­co il segretario della Uil Luigi Angeletti. «Il pubblico impie­go ha già dato », con il congela­mento degli aumenti retribu­tivi fino al 2013. «I dati sono formalmente veri ma sostan­zialmente falsi - aggiunge ­perchè le retribuzioni dei non contrattualizzati (magi­­strati, docenti universitari) so­no aumentate del 40%».

La nota è, in ogni caso, do­lente, nel momento in cui si annunciano esuberi nel credi­to, nel tessile, nella contieristi­ca. Il travet è al sicuro da licen­ziamenti, prepensionamen­ti, cassa integrazione e quan­t’altro. Se poi si scopre che la­vora di meno e porta a casa di più del dipendente privato, qualcuno potrebbe irritarsi. Trentatre giorni in meno di la­voro all’anno non è cosa da poco, così come un differen­ziale di retribuzione media su­periore a 5.000 euro. Inoltre il ministro della Pubblica am­ministrazione Renato Brunet­ta ricorda a Bonanni che il 4 febbraio scorso è stata firma­ta coi sindacati un’intesa per il rilancio della contrattazio­ne integrativa, utilizzando le risorse che vengono rispar­miate dalle amministrazioni «virtuose». Altra questione delicatissi­ma quella sollevata dal diret­tore generale di Bankitalia, Fabrizio Saccomanni, al con­vegno dei giovani industriali di Santa Margherita: quasi il 40 % dei trentenni vive ancora a casa di mamma e papà, con­tro il 16% dell’inizio degli an­ni Ottanta. Sono soltanto bamboccioni? In realtà ci so­no cause concrete per questo fenomeno italiano: disoccu­pazione giovanile elevata, sa­lari bassi, instabilità dell’im­piego, scolarità inferiore alla media europea. Un problema giovanile emerge chiaramente anche nell’imprenditoria. Gli im­prenditori «innovatori» sono in numero minore rispetto agli altri Paesi. Oltre la metà dei dirigenti ha più di 55 anni d’età, contro i 40 anni della media europea.

I giovani so­no pochi e in quattro casi su cinque, ricorda Saccomanni, appartengono alla famiglia proprietaria dell’impresa. In due terzi delle imprese fami­liari italiane (l’80% del totale) la gestione è di un componen­te della famiglia. Questo tipo di azienda tende ad adottare pratiche manageriali meno incentivanti, fa meno ricerca, ha minore produttività e scar­sa penetrazione nei mercati emergenti. Un modello, evi­dentemente, da cambiare.

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